Sermais: «La situazione dei minori all’ex campo Tav è molto complessa»

«La situazione dei minori all’ex campo Tav è molto complessa, soprattutto da quando è scoppiata la pandemia. Ormai sono dieci anni che la nostra associazione svolge attività in via Alberto Da Giussano e non c’è mai stata alcuna volontà da parte delle amministrazioni comunali di occuparsi davvero di quell’area».

Inizia così il racconto di Pietro Favaretto, presidente di Sermais, associazione novarese che dal 2011 si occupa del sostegno allo studio dando un mano ai bambini e ai ragazzi che vivono nei moduli abitativi nell’ex villaggio operaio dell’alta velocità. «Il 23 dicembre – prosegue – i nostri volontari hanno distribuito i pacchi di Natale e gli occupanti hanno riferito di continue tensioni tra loro che vivono nelle casette e chi stanzia nel dormitorio che in questa stagione è abitato anche durante la giornata a causa dell’emergenza freddo. Alla fine del 2019 il Comune diceva di aver trovato una soluzione abitativa per tutti e invece ha prorogato di altre due anni la chiusura del campo; inoltre con il Covid sono stati congelati gli sfratti e di conseguenza anche i nuovi ingressi negli alloggi popolari».

Una delle realtà sociali più complesse della città (voluta nel 2010 dell’amministrazione Giordano, cresciuto a dismisura per alcuni anni diventando un vero e proprio ghetto con oltre cinquecento persone rimaste senza casa) avrebbe, infatti, dovuto chiudere alla fine del 2018; ad agosto 2019, invece, la giunta Canelli aveva deciso di trasferire anche il dormitorio e i bagni pubblici che si trovavano alla caserma Passalacqua e alla fine dell’anno di rinnovare l’appalto di gestione dell’area alla cooperativa Emmaus fino al 2022.

Attualmente le casette sono abitate da un’ottantina di persone, circa venti nuclei famigliari con quaranta minori; la maggior parte sono stranieri maghrebini, curdi e provenienti dalla Costa d’Avorio. A loro si aggiungono i 57 occupanti del dormitorio, tra cui qualche italiano oltre a un paio di famiglie con una decina di minori.

«A causa dell’emergenza sanitaria – spiega Federica Caccianotti, una delle volontarie di Sermais che presta servizio al campo Tav insieme all’associazione Solidonda – da diversi mesi non possiamo più entrare e le lezioni vengono svolte on line con tutte le difficoltà che ne conseguono: bambini e ragazzi hanno ricevuto i dispositivi dalle scuole, ma non c’è il wifi. Inoltre hanno difficoltà con l’italiano, soprattutto nella scrittura, e con le proprie famiglie tendono a parlare la propria lingua di origine. Sono, infatti, gli adulti, quelli che hanno più difficoltà a integrarsi, in modo particolare le donne, nonostante tempo fa sia Enaip, tramite il progetto Petrarca, e Caritas avessero organizzato dei corsi di italiano che erano stati molto partecipati. Spesso ci sono tensioni anche tra etnie diverse».

Secondo Caccianotti il trend dell’area è destinato a peggiorare: «È vero che molte famiglie assegnatarie di alloggio sono riuscite a uscire dal campo, ma quando ripartiranno gli sfratti molte altre saranno costrette a lasciare la propria casa e l’unica soluzione sarà l’area di via Alberto da Giussano. Al momento non esistono altre strutture in città per ospitare le persone che resteranno senza un tetto».

Ma l’assessore alle Politiche sociali Franco Caressa smentisce il fatto che il campo Tav sia, nelle volontà dell’amministrazione comunale, una soluzione definitiva: «Quell’area accoglie le persone in emergenza, l’obiettivo è quello di poter dare a tutti un’abitazione dignitosa, a maggior ragione se ci sono dei minori. Molte di quelle famiglie sono assegnatarie di case popolari dal 2017 con il bando di Atc che però, nel corso degli anni, ha rallentato tutto. Il cambio al vertice dell’Agenzia che ha dovuto riorganizzare il lavoro e poi l’emergenza sanitaria hanno complicato ulteriormente la situazione».

In vista dello sblocco degli sfratti, fissato al 1 luglio, l’assessore prospetta una soluzione: «Stanno per essere stanzianti circa 200 mila euro per la sistemazione di una trentina di alloggi di Atc attualmente vuoti e che necessitano di manutenzione. Contiamo in quattro mesi di renderli abitabili e di poterli finalmente assegnare alle famiglie in graduatoria».

Caressa smentisce anche che all’interno dell’area ci siano tensioni: «Si erano verificati alcuni problemi nel mese di maggio a causa di un paio di soggetti che occupavano il dormitorio, ma che non sono più lì da parecchio tempo – afferma -. Ne è una prova il fatto che il servizio di vigilanza all’ingresso messo a disposizione da Emmaus è necessario solo per controllare gli ingressi a seguito dell’emergenza Covid».

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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Sermais: «La situazione dei minori all’ex campo Tav è molto complessa»

«La situazione dei minori all’ex campo Tav è molto complessa, soprattutto da quando è scoppiata la pandemia. Ormai sono dieci anni che la nostra associazione svolge attività in via Alberto Da Giussano e non c’è mai stata alcuna volontà da parte delle amministrazioni comunali di occuparsi davvero di quell’area».

Inizia così il racconto di Pietro Favaretto, presidente di Sermais, associazione novarese che dal 2011 si occupa del sostegno allo studio dando un mano ai bambini e ai ragazzi che vivono nei moduli abitativi nell’ex villaggio operaio dell’alta velocità. «Il 23 dicembre – prosegue – i nostri volontari hanno distribuito i pacchi di Natale e gli occupanti hanno riferito di continue tensioni tra loro che vivono nelle casette e chi stanzia nel dormitorio che in questa stagione è abitato anche durante la giornata a causa dell’emergenza freddo. Alla fine del 2019 il Comune diceva di aver trovato una soluzione abitativa per tutti e invece ha prorogato di altre due anni la chiusura del campo; inoltre con il Covid sono stati congelati gli sfratti e di conseguenza anche i nuovi ingressi negli alloggi popolari».

Una delle realtà sociali più complesse della città (voluta nel 2010 dell’amministrazione Giordano, cresciuto a dismisura per alcuni anni diventando un vero e proprio ghetto con oltre cinquecento persone rimaste senza casa) avrebbe, infatti, dovuto chiudere alla fine del 2018; ad agosto 2019, invece, la giunta Canelli aveva deciso di trasferire anche il dormitorio e i bagni pubblici che si trovavano alla caserma Passalacqua e alla fine dell’anno di rinnovare l’appalto di gestione dell’area alla cooperativa Emmaus fino al 2022.

Attualmente le casette sono abitate da un’ottantina di persone, circa venti nuclei famigliari con quaranta minori; la maggior parte sono stranieri maghrebini, curdi e provenienti dalla Costa d’Avorio. A loro si aggiungono i 57 occupanti del dormitorio, tra cui qualche italiano oltre a un paio di famiglie con una decina di minori.

«A causa dell’emergenza sanitaria – spiega Federica Caccianotti, una delle volontarie di Sermais che presta servizio al campo Tav insieme all’associazione Solidonda – da diversi mesi non possiamo più entrare e le lezioni vengono svolte on line con tutte le difficoltà che ne conseguono: bambini e ragazzi hanno ricevuto i dispositivi dalle scuole, ma non c’è il wifi. Inoltre hanno difficoltà con l’italiano, soprattutto nella scrittura, e con le proprie famiglie tendono a parlare la propria lingua di origine. Sono, infatti, gli adulti, quelli che hanno più difficoltà a integrarsi, in modo particolare le donne, nonostante tempo fa sia Enaip, tramite il progetto Petrarca, e Caritas avessero organizzato dei corsi di italiano che erano stati molto partecipati. Spesso ci sono tensioni anche tra etnie diverse».

Secondo Caccianotti il trend dell’area è destinato a peggiorare: «È vero che molte famiglie assegnatarie di alloggio sono riuscite a uscire dal campo, ma quando ripartiranno gli sfratti molte altre saranno costrette a lasciare la propria casa e l’unica soluzione sarà l’area di via Alberto da Giussano. Al momento non esistono altre strutture in città per ospitare le persone che resteranno senza un tetto».

Ma l’assessore alle Politiche sociali Franco Caressa smentisce il fatto che il campo Tav sia, nelle volontà dell’amministrazione comunale, una soluzione definitiva: «Quell’area accoglie le persone in emergenza, l’obiettivo è quello di poter dare a tutti un’abitazione dignitosa, a maggior ragione se ci sono dei minori. Molte di quelle famiglie sono assegnatarie di case popolari dal 2017 con il bando di Atc che però, nel corso degli anni, ha rallentato tutto. Il cambio al vertice dell’Agenzia che ha dovuto riorganizzare il lavoro e poi l’emergenza sanitaria hanno complicato ulteriormente la situazione».

In vista dello sblocco degli sfratti, fissato al 1 luglio, l’assessore prospetta una soluzione: «Stanno per essere stanzianti circa 200 mila euro per la sistemazione di una trentina di alloggi di Atc attualmente vuoti e che necessitano di manutenzione. Contiamo in quattro mesi di renderli abitabili e di poterli finalmente assegnare alle famiglie in graduatoria».

Caressa smentisce anche che all’interno dell’area ci siano tensioni: «Si erano verificati alcuni problemi nel mese di maggio a causa di un paio di soggetti che occupavano il dormitorio, ma che non sono più lì da parecchio tempo – afferma -. Ne è una prova il fatto che il servizio di vigilanza all’ingresso messo a disposizione da Emmaus è necessario solo per controllare gli ingressi a seguito dell’emergenza Covid».

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Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore