Sgombero delle palazzine di Sant’Agabio entro il 31 luglio «ma 13 famiglie vivono ancora lì. Quale soluzione?»

Si tratta di 43 persone che abitano abusivamente negli alloggi che dovranno essere abbattuti. Il capogruppo di opposizione Baroni parla di «grave problema sui Servizi sociali: non c'è visione nè trasparenza». Anche il dormitorio resta una questione in sospeso

Il 31 luglio è stata fissata come data ultima per lo sgombero degli alloggi di via Bonola , via Pianca e via della Riotta a Sant’Agabio, per consentire l’abbattimento e il rifacimento delle nuove palazzine «ma per 13 famiglie, 22 adulti e 21 bambini, ancora non si conosce il destino. Sono persone che vivono lì abusivamente, il Comune ci aveva dato rassicurazioni circa una loro collocazione temporanea ma non si è saputo più nulla» ha affermato il capogruppo di opposizione “Insieme per Novara” Piergiacomo Baroni durante una conferenza stampa convocata ieri mattina sul tema dell’emergenza abitativa in città, argomento per il quale Baroni si batte dall’inizio del suo mandato.

«A marzo le famiglie erano 15, ora sono 13, due di loro hanno trovato un’alternativa. Il problema è un solo: se li butti fuori, o andranno a occupare un’altra casa oppure a bussare alla porta dei Servizi sociali del Comune – ha proseguito -. Durante l’unico tavolo di incontro in Prefettura, frutto di una nostra mozione presentata in consiglio, la comunità di Sant’Egidio aveva proposto di utilizzare le case di Atc non ancora ristrutturate: sono circa un centinaio. Ma l’Agenzia aveva risposto di no. La motivazione è che non si possono dare gli alloggi a chi non ne ha diritto, ma non si può nemmeno risolvere la situazione con la guerra dei poveri. Il Comune deve ammettere che da solo non ce la può fare e che deve farsi dare una mano dalle realtà del territorio in grado di accompagnare persone in difficoltà nei percorsi di reinserimento, quali Sant’Egidio, Liberazione e Speranza e altre cooperative della città che si sono anche già rese disponibili».

Altro problema sollevato da Baroni è quello del dormitorio: «Dopo ipotesi fantasiose come la tensostruttura proposta dall’allora assessore ai Servizi sociali Luca Piantanida, anche di questo argomento non si è saputo più nulla. Il dormitorio all’ex campo Tav dovrà essere smantellato per consentire le nuove costruzioni, ma dove le mettiamo queste persone senza fissa dimora? In mezzo a una strada? L’unica soluzione è di sistemarli in piccole strutture decentrate nei quartieri, vicino al centro dove ci sono tutti i servizi, cercando di integrarli e non in un unico rione-ghetto fuori dalla città, come invece sarà il nuovo ex villaggio Tav. Il decoro urbano è anche questo. A Novara c’è un grave problema sui Servizi sociali: non c’è visione nè trasparenza, l’ufficio si presenta male e passa l’idea che i poveri sono pericolosi e si devono tenere lontani. Il Comune dà sempre la solita risposta: non ci sono posti e dunque nemmeno soluzioni».

Infine la questione mensa domiciliare «alla quale è impossibile accedere – ha aggiunto Baroni-. i tempi di attesa lunghissimi, ma in lista c’è poca gente: come mai? Perchè ci vogliono almeno sei mesi da quando si presenta la domanda. Attualmente sono 280 le persone seguite, più della metà con servizi offerti a famiglie con minori. A Novara ci sono 8000 anziani soli che se venissero seguite parrocchie o dalle associazioni sarebbero già morti: dove è il Comune? Dopo il Covid si era parlato di domiciliarità, invece la gente è disperata e non si fa nulla».

Il problema dell’emergenza abitativa è stato confermato anche dalla neo assessore ai Servizi sociali, Teresa Armienti, durante il suo intervento di ieri pomeriggio durante il primo rapporto di Fondazione Cariplo sul tema delle disuguaglianze. «Nel 2019 le persone seguiti dai Servizi sul territorio del comune di Novara era no 2075, nel 2023 sono 2207 tra anziani, disabili, famiglie in povertà – ha detto Armienti -. Nei nostri uffici arrivano persone che non sanno dove andare: l’emergenza abitativa è l’aspetto più urgente. Il Covid ha peggiorato la situazione e il Comune ha dovuto fare fronte a diverse emergenze, lavorativa scolastica, sociale ed economica con disagi che ancora permangono». Per fortuna Novara ha una fitta rete di associazioni del Terzo settore e di percorsi di rigenerazione sociale, esempi sono Nòva e Fadabrav: noi siamo il pronto soccorso sociale, ma le persone hanno anche bisogno di essere accompagnate per tornare a una vita normale».

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Cecilia Colli

Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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