Si riapre per aree. Questa la decisione della Regione

Si riapre per aree. Questa la decisione della Regione. Adottare misure differenziate per aree omogenee e non per il Piemonte intero è il suggerimento della task force guidata da Ferruccio Fazio.

«L’applicazione della strategia preventiva che verrà individuata per la Fase 2 dell’emergenza coronavirus – si legge nel documento – dovrà necessariamente basarsi sull’analisi della distribuzione delle intensità di contagio sul territorio del Piemonte». In analogia con altri contesti di controllo delle malattie da infezione (ad esempio, la malaria), verrebbero quindi individuati diverse aree, assimilabili e classificabili per omogeneità dei parametri considerati e/o della natura e intensità degli interventi.

 

 

Quanto al tracciamento dei contatti, la relazione del Gruppo Fazio osserva che «la strategia necessaria per una fase di uscita dal lockdown deve prevedere obbligatoriamente la previsione di un rimbalzo generale dei contagi, numericamente diverso rispetto al tipo di riaperture con le necessarie predisposizioni di sicurezza messe a sistema e con la possibilità che si creino dei nuovi macro focolai: occorre pertanto che il sistema di risposta della sanità regionale si collochi in modalità di “tracciamento attivo” dei contagi, senza attendere il peggioramento o il ricovero in ospedale, ma intercettandoli all’inizio per impedire che si diffondano ulteriormente su altri loro contatti, oppure che diventino più gravemente malati e prevalentemente ospedalizzabili».

Per quanto riguarda i tamponi: «Al momento – si legge nella relazione – la produttività massima teorica realizzabile è di circa 9.000 tamponi al giorno. Considerato che non è ipotizzabile che ogni laboratorio realizzi ogni giorno il suo massimo teorico (per problemi tecnici e di approvvigionamento di reagenti), si sottolinea che la produzione massima ottenuta (realizzata il 23 aprile 2020) pari a 7.330 tamponi (81% del massimo teorico) appare un’ottima performance».

Sull’impiego dei test sierologici, il Gruppo Fazio rileva che «l’interpretazione a fini diagnostici, clinici ed epidemiologici, deve avvenire in un contesto specialistico, senza il quale la lettura di qualsiasi risultato rischia di esporre il soggetto a incauti provvedimenti, come l’incongrua attestazione di guarigione. In particolare, la raccomandazione è che l’eventuale applicazione dei test in ambiti aziendali sia effettuata sotto la supervisione di un medico competente, così come si raccomanda la supervisione e/o l’autorizzazione da parte delle Asl per i test sulla popolazione».

Sulla base di queste prime constatazioni e considerazioni, il Gruppo Fazio si propone, come obiettivo prioritario, di «predisporre un modello di assistenza sanitaria territoriale che trovi il proprio fulcro nei medici del territorio, in primis i medici di medicina generale, valorizzando, al contempo, tutte le risorse che, in ambito sanitario sul territorio già operano (esempio le farmacie), ovvero che potrebbero essere opportunamente attivate (esempio l’infermiere di comunità e altri operatori sanitari) al fine di migliorare la qualità dell’assistenza territoriale anche per la gestione delle cronicità, in un rapporto integrato con la rete ospedaliera, sfruttando le potenzialità delle nuove tecnologie negli ambiti della telemedicina».

 

 

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Si riapre per aree. Questa la decisione della Regione

Si riapre per aree. Questa la decisione della Regione. Adottare misure differenziate per aree omogenee e non per il Piemonte intero è il suggerimento della task force guidata da Ferruccio Fazio.

«L’applicazione della strategia preventiva che verrà individuata per la Fase 2 dell’emergenza coronavirus – si legge nel documento – dovrà necessariamente basarsi sull’analisi della distribuzione delle intensità di contagio sul territorio del Piemonte». In analogia con altri contesti di controllo delle malattie da infezione (ad esempio, la malaria), verrebbero quindi individuati diverse aree, assimilabili e classificabili per omogeneità dei parametri considerati e/o della natura e intensità degli interventi.

 

 

Quanto al tracciamento dei contatti, la relazione del Gruppo Fazio osserva che «la strategia necessaria per una fase di uscita dal lockdown deve prevedere obbligatoriamente la previsione di un rimbalzo generale dei contagi, numericamente diverso rispetto al tipo di riaperture con le necessarie predisposizioni di sicurezza messe a sistema e con la possibilità che si creino dei nuovi macro focolai: occorre pertanto che il sistema di risposta della sanità regionale si collochi in modalità di “tracciamento attivo” dei contagi, senza attendere il peggioramento o il ricovero in ospedale, ma intercettandoli all’inizio per impedire che si diffondano ulteriormente su altri loro contatti, oppure che diventino più gravemente malati e prevalentemente ospedalizzabili».

Per quanto riguarda i tamponi: «Al momento – si legge nella relazione – la produttività massima teorica realizzabile è di circa 9.000 tamponi al giorno. Considerato che non è ipotizzabile che ogni laboratorio realizzi ogni giorno il suo massimo teorico (per problemi tecnici e di approvvigionamento di reagenti), si sottolinea che la produzione massima ottenuta (realizzata il 23 aprile 2020) pari a 7.330 tamponi (81% del massimo teorico) appare un’ottima performance».

Sull’impiego dei test sierologici, il Gruppo Fazio rileva che «l’interpretazione a fini diagnostici, clinici ed epidemiologici, deve avvenire in un contesto specialistico, senza il quale la lettura di qualsiasi risultato rischia di esporre il soggetto a incauti provvedimenti, come l’incongrua attestazione di guarigione. In particolare, la raccomandazione è che l’eventuale applicazione dei test in ambiti aziendali sia effettuata sotto la supervisione di un medico competente, così come si raccomanda la supervisione e/o l’autorizzazione da parte delle Asl per i test sulla popolazione».

Sulla base di queste prime constatazioni e considerazioni, il Gruppo Fazio si propone, come obiettivo prioritario, di «predisporre un modello di assistenza sanitaria territoriale che trovi il proprio fulcro nei medici del territorio, in primis i medici di medicina generale, valorizzando, al contempo, tutte le risorse che, in ambito sanitario sul territorio già operano (esempio le farmacie), ovvero che potrebbero essere opportunamente attivate (esempio l’infermiere di comunità e altri operatori sanitari) al fine di migliorare la qualità dell’assistenza territoriale anche per la gestione delle cronicità, in un rapporto integrato con la rete ospedaliera, sfruttando le potenzialità delle nuove tecnologie negli ambiti della telemedicina».

 

 

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