Un nuovo appello per Ahmad da Italia, Svezia e Belgio

Un nuovo appello per Ahmad da Italia, Svezia e Belgio. Il Crimedim, il Centro di ricerca di medicina dei disastri dell’Università del Piemonte Orientale, dove ha lavorato Ahmad Dajalali, lancia l’ennesimo grido di aiuto per la liberazione dello studioso iraniano – svedese. questa volta lo fa insieme ad altre due università europee: Karolinska Institutet di Stoccolma e Vrije Universiteit di Bruxelles.

«Sono passati cinque anni da quando il dottor Ahmadreza Djalali è stato ingiustamente imprigionato. Ad oggi le basi probatorie per il suo arresto, la condanna a morte e la detenzione continuata rimangono nascoste – si legge nella petizione -. Il dottor Djalali deve essere rilasciato ora. La sua salute si sta rapidamente deteriorando. Durante la sua prigionia, gli è stato ripetutamente negato l’accesso alle cure mediche essenziali, nonostante le prove che fosse affetto da leucemia. Per tutta la pandemia è stato tenuto in una cella di circa 30 metri quadrati che condivideva con altri quattordici prigionieri, fino a quando è stato trasferito il 24 novembre 2020 in completo isolamento. Dopo oltre 140 giorni in isolamento, il dottor Djalali è stato trasferito di nuovo in una cella a più occupazioni nella prigione di Evin, dove rimane sotto la costante minaccia di esecuzione. Le autorità continuano a negare al dottor Djalali l’accesso al suo avvocato o alla sua famiglia, sollevando gravi preoccupazioni che le autorità stiano ancora progettando di eseguire la sua esecuzione in segreto. Il loro rifiuto di fornire al dottor Djalali l’accesso a cure mediche appropriate suggerisce inoltre che hanno deciso di permettergli di morire senza doverlo giustiziare esplicitamente».

 

 

«È stato condannato a morte in apparente rappresaglia per la collaborazione accademica internazionale nel suo campo di studi – prosegue l’appello -. La sua ingiusta persecuzione e incarcerazione, proprio come l’ingiusta persecuzione e incarcerazione di studiosi e ricercatori come lui, mette in pericolo il lavoro accademico e priva tutti i benefici dell’indagine scientifica e dello scambio. Chiediamo alle autorità di garantire che il Dr. Djalali abbia accesso immediato a un professionista sanitario qualificato, che può fornire assistenza sanitaria nel rispetto dell’etica medica, inclusi i principi di riservatezza, autonomia e consenso informato. Esortiamo la comunità internazionale a intraprendere un’azione immediata e rinnovata in risposta al deterioramento della situazione in cui si trova attualmente il dottor Djalali, e invitiamo l’UE e gli Stati membri a intercedere in questo caso prima che sia troppo tardi».

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Un nuovo appello per Ahmad da Italia, Svezia e Belgio. Il Crimedim, il Centro di ricerca di medicina dei disastri dell’Università del Piemonte Orientale, dove ha lavorato Ahmad Dajalali, lancia l’ennesimo grido di aiuto per la liberazione dello studioso iraniano – svedese. questa volta lo fa insieme ad altre due università europee: Karolinska Institutet di Stoccolma e Vrije Universiteit di Bruxelles.

«Sono passati cinque anni da quando il dottor Ahmadreza Djalali è stato ingiustamente imprigionato. Ad oggi le basi probatorie per il suo arresto, la condanna a morte e la detenzione continuata rimangono nascoste – si legge nella petizione -. Il dottor Djalali deve essere rilasciato ora. La sua salute si sta rapidamente deteriorando. Durante la sua prigionia, gli è stato ripetutamente negato l’accesso alle cure mediche essenziali, nonostante le prove che fosse affetto da leucemia. Per tutta la pandemia è stato tenuto in una cella di circa 30 metri quadrati che condivideva con altri quattordici prigionieri, fino a quando è stato trasferito il 24 novembre 2020 in completo isolamento. Dopo oltre 140 giorni in isolamento, il dottor Djalali è stato trasferito di nuovo in una cella a più occupazioni nella prigione di Evin, dove rimane sotto la costante minaccia di esecuzione. Le autorità continuano a negare al dottor Djalali l’accesso al suo avvocato o alla sua famiglia, sollevando gravi preoccupazioni che le autorità stiano ancora progettando di eseguire la sua esecuzione in segreto. Il loro rifiuto di fornire al dottor Djalali l’accesso a cure mediche appropriate suggerisce inoltre che hanno deciso di permettergli di morire senza doverlo giustiziare esplicitamente».

 

 

«È stato condannato a morte in apparente rappresaglia per la collaborazione accademica internazionale nel suo campo di studi – prosegue l’appello -. La sua ingiusta persecuzione e incarcerazione, proprio come l’ingiusta persecuzione e incarcerazione di studiosi e ricercatori come lui, mette in pericolo il lavoro accademico e priva tutti i benefici dell’indagine scientifica e dello scambio. Chiediamo alle autorità di garantire che il Dr. Djalali abbia accesso immediato a un professionista sanitario qualificato, che può fornire assistenza sanitaria nel rispetto dell’etica medica, inclusi i principi di riservatezza, autonomia e consenso informato. Esortiamo la comunità internazionale a intraprendere un’azione immediata e rinnovata in risposta al deterioramento della situazione in cui si trova attualmente il dottor Djalali, e invitiamo l’UE e gli Stati membri a intercedere in questo caso prima che sia troppo tardi».

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