Tutto è partito da una banale denuncia di furto in abitazione, almeno all’apparenza. Un maresciallo dei carabinieri, insospettito, era andato oltre al singolo episodio e aveva scoperto che all’anziana ultranovantenne non solo erano spariti alcuni oggetti in casa, ma non le tornavano i conti nemmeno in banca: dal suo conto corrente mancavano dei soldi, oltre 100 mila euro. Ad approfittare della situazione, era emerso alla fine delle indagini, una compaesana che si prendeva cura di lei, andando ad assisterla in casa, e il figlio della donna. Ora la «badante», una settantasettenne residente a Vespolate, è a processo per circonvenzione di incapace e appropriazione indebita, mentre il figlio cinquantenne è accusato di furto.
Secondo quanto verificato dai militari, la novantenne ha dei problemi di salute piuttosto seri che non le consentono di muoversi autonomamente e di uscire di casa. Proprio per questo motivo, era stata convinta a firmare una delega alla domestica perché andasse alla filiale bancaria del paese a prelevare ogni qual volta ve ne fosse la necessità. Prelievo su prelievo, nel corso dei mesi la collaboratrice avrebbe accumulato una somma che si aggira intorno ai 123 mila euro. La cosa era passata inosservata per lungo tempo. Nemmeno il direttore della filiale, sentito come testimone, aveva avuto dei sospetti, anche perché non vedeva quasi mai chi si presentava allo sportello e comunque gli erano stati fatti presente dei problemi della novantenne che richiedevano soldi per le cure. Aveva appreso della cosa quando si erano presentati gli investigatori.
Poi nell’abitazione dell’anziana pensionata era stato commesso un furto, e i carabinieri avevano identificato come possibile autore il figlio della badante. Poco dopo, visto lo stato di confusione e le disabilità della vittima, avevano voluto effettuare qualche verifica su come venivano gestiti i soldi e avevano verificato il prelievo ingiustificato dell’ingente somma dal suo conto.