Lavoratori introvabili e imprese in difficoltà. Consulenti del lavoro di Novara: «Ecco il perchè»

A giugno 2022, su quasi 560mila profili richiesti, 219mila (39,2%) risultavano di difficile reperimento. Nello stesso mese del 2019, questo valore si attestava al 25,6%

La mancanza di lavoratori sul mercato sembra essere diventata una nuova emergenza nazionale. A far scalpore nell’opinione pubblica è soprattutto la lamentata carenza di cuochi e camerieri che però rischia di dare una visione alterata di un deficit di offerta molto più strutturale di quanto non fosse pochi anni fa.

«Il problema della carenza dei profili, che rileviamo anche nel novarese – ha spiegato Annalisa Coda Zabetta (in foto), presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Novara – si è acuito negli ultimi mesi, ma non è nuovo. Da anni affligge il nostro mercato del lavoro che sconta almeno due deficit strutturali. Il primo è il disallineamento, ancora profondo, dell’offerta formativa rispetto alla richiesta di competenze che proviene dalle imprese, il secondo è il cattivo funzionamento dei meccanismi di incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Non si tratta quindi di affermare semplicisticamente che i giovani non hanno voglia di lavorare, di fare la gavetta, di faticare, che vogliono tutto e subito, o che è tutta colpa del reddito di cittadinanza. Noi abbiamo a che fare tutti i giorni con datori di lavoro da una parte e lavoratori dall’altra e vediamo che la questione è molto più complessa e necessita di un serio approfondimento».

Nelle ultime settimane i Consulenti hanno realizzato due indagini su questi temi e ne hanno discusso al Festival del Lavoro, l’evento organizzato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e dalla Fondazione Studi a Bologna dal 23 al 25 giugno 2022, al quale hanno partecipato anche numerosi Consulenti novaresi, in attesa di confrontarsi fra loro anche durante l’assemblea annuale al Castello di Novara martedì 5 luglio.

Dall’indagine ‘Il lavoro che c’è, i lavoratori che non ci sono’ realizzata dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro a maggio su un campione di circa 2000 iscritti, emerge che la difficoltà di reperimento di alcuni profili per le aziende non solo rappresenta uno dei principali ostacoli all’attuale ripresa occupazionale, ma costituisce la tendenza che più caratterizzerà il mercato nei prossimi sei mesi, caratterizzato anche dalla crescita della povertà lavorativa, dalla ripresa di fenomeni di irregolarità del lavoro, ma anche dalla difficoltà crescente delle aziende a trattenere i giovani.

Complessivamente, a giugno 2022, su quasi 560mila profili richiesti, 219mila (39,2%) risultavano di difficile reperimento. Nello stesso mese del 2019, questo valore si attestava al 25,6%. Non mancano solo lavoratori nei settori della ristorazione (circa 50mila irreperibili nel mese di giugno), mancano ad esempio operai specializzati nell’edilizia, conduttori di mezzi di trasporto, tecnici dell’ingegneria.

Le cause? Una oggettiva è il calo demografico: tra 2018 e 2021, la popolazione in età da lavoro, dai 15 ai 64 anni, si è ridotta di misura, con una perdita di 636mila residenti (-1,7%) di cui 262mila con meno di 35 anni (-2,1%). Una seconda causa, è lo storico mismatch esistente nel nostro Paese tra offerta e domanda di formazione, che interviene nello spiegare la difficoltà di reperimento dei profili più specializzati, così come il malfunzionamento delle strutture pubbliche di intermediazione. Una terza, da non sottovalutare, è anche la tendenza, emersa proprio nell’ultimo anno, ad una maggiore mobilità degli italiani nel lavoro. Nel 2021 le dimissioni volontarie in Italia hanno raggiunto la quota record di quasi 1,9 milioni, in aumento dell’11,9% rispetto al 2019. Si tratta della punta dell’iceberg di un fenomeno più vasto, di una voglia di cambiamento del lavoro che sta interessando gli italiani.

Per capire in particolare quest’ultimo fenomeno, i primi di giugno la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, in collaborazione con SWG, ha realizzato l’indagine ‘Italiani e lavoro nell’anno della transizione’ su un campione di 1.085 lavoratori, dalla quale emerge la grande voglia di cambiamento in ambito lavorativo che hanno gli italiani.

Il 5,5% dei lavoratori interpellati ha infatti cambiato occupazione negli ultimi due anni. A questi si aggiunge il 14,4% che sta cercando attivamente un altro lavoro. Ma c’è poi un 35,1% che, pur non avendo messo in pratica alcuna azione concreta, desidera un cambiamento professionale. Complessivamente, è più della metà dei lavoratori (55%) a volere un nuovo lavoro. E non sono solo i giovani: anche tra i 35-44enni (58,3% a fronte del 61% degli under 35) e 45-55enni (53,4%), più della metà degli intervistati desidera un nuovo lavoro o si sta attivando per cercarlo.

La trasversalità del fenomeno, abbastanza nuovo per un mercato del lavoro da sempre caratterizzato da stabilità e basso turnover interno, ha diversi motivi che hanno anche a che vedere con gli effetti della pandemia sulla vita delle persone. A fare da motore sono soprattutto la ricerca di un miglioramento retributivo (il 52,5% considera questo aspetto irrinunciabile nel nuovo lavoro), ma sempre più, soprattutto tra le generazioni meno adulte, il raggiungimento di un maggiore equilibrio e benessere personale (49%). Tutto questo accentua la mobilità effettiva e potenziale, fatta di ricerca di nuove opportunità, a tutti i livelli della piramide professionale. E la crescita della concorrenzialità tra profili, di cui la carenza sofferta dalle imprese è il segnale più lampante, è allo stesso tempo causa ed effetto.

«In questo scenario – ha commentato Coda Zabetta – i cui tanti elementi si fondono in un mosaico di comportamenti ed aspettative diversi, emergono sottotraccia anche gli elementi di criticità del sistema. La mancata crescita degli ultimi 20 anni ha riflessi rilevantissimi sul lavoro, le sue condizioni, ma anche le aspettative individuali dei tanti lavoratori. La mancata dinamica ascendente dei salari, ma, ancora di più, quella delle carriere e dei percorsi professionali, riflesso incondizionato di un Paese che non riesce ad invertire il ciclo di stagnazione, genera un senso diffuso di frustrazione tra i lavoratori. Il mondo del lavoro è la cartina al tornasole dei complessi cambiamenti che hanno caratterizzato gli anni passati e ancora di più incideranno su quelli futuri. È quindi necessario intervenire in tempi rapidi sulle tante variabili di un mercato che ha voglia e bisogno di crescere. Il rischio che di qui ai prossimi quattro anni la situazione possa diventare più critica, non è lontano dalla realtà. Il rapporto con le previsioni di Unioncamere Excelsior sui fabbisogni occupazionali a medio termine prevede una domanda di circa 4,3 milioni di lavoratori entro il 2026. Sebbene si tratti di stime, già oggi è possibile prevedere che almeno 1 milione e 350mila possano andare in fumo per assenza di candidati. È una stima prudenziale. Se le tante variabili in gioco dovessero confermarsi nei prossimi mesi, il rischio è che il danno per l’occupazione possa essere ancora più elevato».

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Lavoratori introvabili e imprese in difficoltà. Consulenti del lavoro di Novara: «Ecco il perchè»

A giugno 2022, su quasi 560mila profili richiesti, 219mila (39,2%) risultavano di difficile reperimento. Nello stesso mese del 2019, questo valore si attestava al 25,6%

La mancanza di lavoratori sul mercato sembra essere diventata una nuova emergenza nazionale. A far scalpore nell’opinione pubblica è soprattutto la lamentata carenza di cuochi e camerieri che però rischia di dare una visione alterata di un deficit di offerta molto più strutturale di quanto non fosse pochi anni fa.

«Il problema della carenza dei profili, che rileviamo anche nel novarese - ha spiegato Annalisa Coda Zabetta (in foto), presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Novara - si è acuito negli ultimi mesi, ma non è nuovo. Da anni affligge il nostro mercato del lavoro che sconta almeno due deficit strutturali. Il primo è il disallineamento, ancora profondo, dell’offerta formativa rispetto alla richiesta di competenze che proviene dalle imprese, il secondo è il cattivo funzionamento dei meccanismi di incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Non si tratta quindi di affermare semplicisticamente che i giovani non hanno voglia di lavorare, di fare la gavetta, di faticare, che vogliono tutto e subito, o che è tutta colpa del reddito di cittadinanza. Noi abbiamo a che fare tutti i giorni con datori di lavoro da una parte e lavoratori dall’altra e vediamo che la questione è molto più complessa e necessita di un serio approfondimento».

Nelle ultime settimane i Consulenti hanno realizzato due indagini su questi temi e ne hanno discusso al Festival del Lavoro, l’evento organizzato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e dalla Fondazione Studi a Bologna dal 23 al 25 giugno 2022, al quale hanno partecipato anche numerosi Consulenti novaresi, in attesa di confrontarsi fra loro anche durante l’assemblea annuale al Castello di Novara martedì 5 luglio.

Dall’indagine ‘Il lavoro che c’è, i lavoratori che non ci sono’ realizzata dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro a maggio su un campione di circa 2000 iscritti, emerge che la difficoltà di reperimento di alcuni profili per le aziende non solo rappresenta uno dei principali ostacoli all’attuale ripresa occupazionale, ma costituisce la tendenza che più caratterizzerà il mercato nei prossimi sei mesi, caratterizzato anche dalla crescita della povertà lavorativa, dalla ripresa di fenomeni di irregolarità del lavoro, ma anche dalla difficoltà crescente delle aziende a trattenere i giovani.

Complessivamente, a giugno 2022, su quasi 560mila profili richiesti, 219mila (39,2%) risultavano di difficile reperimento. Nello stesso mese del 2019, questo valore si attestava al 25,6%. Non mancano solo lavoratori nei settori della ristorazione (circa 50mila irreperibili nel mese di giugno), mancano ad esempio operai specializzati nell’edilizia, conduttori di mezzi di trasporto, tecnici dell’ingegneria.

Le cause? Una oggettiva è il calo demografico: tra 2018 e 2021, la popolazione in età da lavoro, dai 15 ai 64 anni, si è ridotta di misura, con una perdita di 636mila residenti (-1,7%) di cui 262mila con meno di 35 anni (-2,1%). Una seconda causa, è lo storico mismatch esistente nel nostro Paese tra offerta e domanda di formazione, che interviene nello spiegare la difficoltà di reperimento dei profili più specializzati, così come il malfunzionamento delle strutture pubbliche di intermediazione. Una terza, da non sottovalutare, è anche la tendenza, emersa proprio nell’ultimo anno, ad una maggiore mobilità degli italiani nel lavoro. Nel 2021 le dimissioni volontarie in Italia hanno raggiunto la quota record di quasi 1,9 milioni, in aumento dell’11,9% rispetto al 2019. Si tratta della punta dell’iceberg di un fenomeno più vasto, di una voglia di cambiamento del lavoro che sta interessando gli italiani.

Per capire in particolare quest’ultimo fenomeno, i primi di giugno la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, in collaborazione con SWG, ha realizzato l’indagine ‘Italiani e lavoro nell’anno della transizione’ su un campione di 1.085 lavoratori, dalla quale emerge la grande voglia di cambiamento in ambito lavorativo che hanno gli italiani.

Il 5,5% dei lavoratori interpellati ha infatti cambiato occupazione negli ultimi due anni. A questi si aggiunge il 14,4% che sta cercando attivamente un altro lavoro. Ma c’è poi un 35,1% che, pur non avendo messo in pratica alcuna azione concreta, desidera un cambiamento professionale. Complessivamente, è più della metà dei lavoratori (55%) a volere un nuovo lavoro. E non sono solo i giovani: anche tra i 35-44enni (58,3% a fronte del 61% degli under 35) e 45-55enni (53,4%), più della metà degli intervistati desidera un nuovo lavoro o si sta attivando per cercarlo.

La trasversalità del fenomeno, abbastanza nuovo per un mercato del lavoro da sempre caratterizzato da stabilità e basso turnover interno, ha diversi motivi che hanno anche a che vedere con gli effetti della pandemia sulla vita delle persone. A fare da motore sono soprattutto la ricerca di un miglioramento retributivo (il 52,5% considera questo aspetto irrinunciabile nel nuovo lavoro), ma sempre più, soprattutto tra le generazioni meno adulte, il raggiungimento di un maggiore equilibrio e benessere personale (49%). Tutto questo accentua la mobilità effettiva e potenziale, fatta di ricerca di nuove opportunità, a tutti i livelli della piramide professionale. E la crescita della concorrenzialità tra profili, di cui la carenza sofferta dalle imprese è il segnale più lampante, è allo stesso tempo causa ed effetto.

«In questo scenario - ha commentato Coda Zabetta - i cui tanti elementi si fondono in un mosaico di comportamenti ed aspettative diversi, emergono sottotraccia anche gli elementi di criticità del sistema. La mancata crescita degli ultimi 20 anni ha riflessi rilevantissimi sul lavoro, le sue condizioni, ma anche le aspettative individuali dei tanti lavoratori. La mancata dinamica ascendente dei salari, ma, ancora di più, quella delle carriere e dei percorsi professionali, riflesso incondizionato di un Paese che non riesce ad invertire il ciclo di stagnazione, genera un senso diffuso di frustrazione tra i lavoratori. Il mondo del lavoro è la cartina al tornasole dei complessi cambiamenti che hanno caratterizzato gli anni passati e ancora di più incideranno su quelli futuri. È quindi necessario intervenire in tempi rapidi sulle tante variabili di un mercato che ha voglia e bisogno di crescere. Il rischio che di qui ai prossimi quattro anni la situazione possa diventare più critica, non è lontano dalla realtà. Il rapporto con le previsioni di Unioncamere Excelsior sui fabbisogni occupazionali a medio termine prevede una domanda di circa 4,3 milioni di lavoratori entro il 2026. Sebbene si tratti di stime, già oggi è possibile prevedere che almeno 1 milione e 350mila possano andare in fumo per assenza di candidati. È una stima prudenziale. Se le tante variabili in gioco dovessero confermarsi nei prossimi mesi, il rischio è che il danno per l’occupazione possa essere ancora più elevato».

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