Situazione delle aziende locali: «Esiste una forte “polarizzazione” tra chi è in salute e chi non lo è»

Qual è lo stato di salute delle aziende del Nord Piemonte dopo oltre un anno di pandemia e quali possono essere le prospettive all’orizzonte? Dai “freddi numeri” emersi dall’indagine condotta dal Centro studi terziario del Piemonte Nord con la collaborazione di Econlab research viene chiaramente evidenziata la presenza (i dati elaborati “fotografano” un campione di 423 ditte intervistate non più di un paio di settimane fa), «di una forte “polarizzazione” fra chi, nonostante tutto, continua a ritenere la propria azienda il salute, il 56%, e chi no, il 44%». Ma tra i secondi coloro che hanno deciso di gettare la spugna ritenendo impossibile una svolta nei prossimi mesi non sono purtroppo pochi. Tradotto: le imprese a rischio chiusura entro l’anno sono più di duemila nel Novarese, alle quali si potrebbe aggiungere un altro migliaio nel Verbano Cusio Ossola.

«La pandemia ha radicalizzato le posizioni – ha detto Alessandro Minello (nell’immagine durante la presentazione avvenuta online), direttore del Centro studi terziario e docente di Economia all’Università Ca’ Foscari di Venezia – in maniera maggiore rispetto ad altri territori. Fra i nostri intervistati (metà del campione è rappresentato da ditte individuali, il 30% da società di persone e il 13% da società di capitali, nel loro insieme attività longeve perché presenti sul mercato da oltre vent’anni in misura principale nei settori del commercio e del turismo, ndr) l’80% ha dichiarato una diminuzione di fatturato in media di oltre il 40%, valori ancora più gravi nel settore turistico, dove per il 96% la perdita è stata di almeno la metà rispetto all’anno precedente».

Nonostante tutto questo calo le previsioni del 2021 sul fatturato non sono ancora rose: «Quasi la metà, il 48%, dichiara uno stallo, cioè non ritiene una crescita del suo fatturato nell’anno in corso, mentre purtroppo un 36% ha dichiarato che le entrate subiranno un’ulteriore diminuzione. Insomma, l’effetto rilancio sull’economia non è ancora stato metabolizzato nelle aspettative degli imprenditori. Solo un 16% ha dichiarato di aspettarsi un aumento»

Per quanto riguarda le prospettive future, metà degli intervistati ha dichiarato di aspettarsi un ulteriore peggioramento; meno di un terzo non prevede variazioni, mentre «interessante è osservare come un quarto ha dichiarato di attendersi un miglioramento. Si tratta del risultato di una serie di problematiche che in questo ultimo anno hanno colpito le imprese: nell’ordine la forte diminuzione della clientela, seguita dai mancati o ritardi negli incassi, oltre all’aumento delle spese fisse e da una minore spesa da parte dei clienti. Nell’insieme ha generato una forte carenza di liquidità».

Per quanto riguarda l’area di Novara le due problematiche maggiori sono la diminuzione della clientela e i mancati-ritardi incassi, mentre a Verbania, dove le strutture sono più “pesanti”, il problema più importante è stato quello dei costi fissi ed elevate delle strutture.

Aspetto più preoccupante riguarda il rischio o meno di chiusura da parte delle imprese: «Il settore sta tenendo – ha detto ancora Minello – in quanto il 75% degli intervistati ha dichiarato “improbabile” un rischio di chiusura, ma per il rimanente 25% dei soggetti lo ritiene “probabile”». Ma fra questi ultimi occorre fare dei distinguo: «Il 2% ha dichiarato che chiuderà “sicuramente” (percentuale che non si discosta da quella registrata a livello nazionale e internazionale e che l’Ocse ha definito “area delle aziende zombie”). Accanto a queste ci sono oltre un 6% per cui la chiusura potrebbe essere “molto probabile” in base a come si evolverà la situazione nei prossimi mesi, senza dimenticare che oltre il 40% ha dichiarato che cederebbe l’attività».

Entrando più nello specifico, valutando questi dati, si può ipotizzare quante potranno essere le aziende soggette a rischio chiusura entro la fine del 2021: «Nel caso di Novara potrebbero chiudere tra le 400 e 500 aziende rispetto alle 22 mila esistenti. Considerando l’intero Piemonte Nord sono circa 1.150 quelle interessate, ma se aggiungiamo quelle la cui chiusura è molto probabile ecco che nel caso di Novara dovremo considerare altre 1.500, 4.300 considerando l’intero “Quadrante”».

Nonostante questo, proprio per effetto della già citata polarizzazione, il 43% prevede di reagire nei prossimi sei mesi attraverso investimenti: nel marketing e comunicazione (38%), innovazione del pacchetto prodotto-servizio, formazione del capitale umano, ammodernamento delle strutture, acquisto materiale informatico. Accanto a questo oltre il 70% prevede di effettuare tagli ai costi di produzione (meno spese accessorie per due terzi del campione, mentre altro elemento su cui concentrare l’attenzione è quello che un quinto degli imprenditori soprattutto nel comparto turistico potrebbe essere costretto a ridurre il proprio personale». Ma nella sostanza, cosa chiedono gli imprenditori? «Agevolazioni dal punto di vista fiscale e burocratico, i tanto promessi ristori, l’eliminazione delle commissioni sui pagamenti elettronici e un migliore accesso ai contributi a fondo perduto». Ma il grido che emerge è quello di non perdere altro tempo, perché, come ha commentato il presidente di Confcommercio Alto Piemonte Maurizio Grifoni «questa è davvero l’ultima occasione per poter intervenire».

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Situazione delle aziende locali: «Esiste una forte “polarizzazione” tra chi è in salute e chi non lo è»

Qual è lo stato di salute delle aziende del Nord Piemonte dopo oltre un anno di pandemia e quali possono essere le prospettive all’orizzonte? Dai “freddi numeri” emersi dall’indagine condotta dal Centro studi terziario del Piemonte Nord con la collaborazione di Econlab research viene chiaramente evidenziata la presenza (i dati elaborati “fotografano” un campione di 423 ditte intervistate non più di un paio di settimane fa), «di una forte “polarizzazione” fra chi, nonostante tutto, continua a ritenere la propria azienda il salute, il 56%, e chi no, il 44%». Ma tra i secondi coloro che hanno deciso di gettare la spugna ritenendo impossibile una svolta nei prossimi mesi non sono purtroppo pochi. Tradotto: le imprese a rischio chiusura entro l’anno sono più di duemila nel Novarese, alle quali si potrebbe aggiungere un altro migliaio nel Verbano Cusio Ossola.

«La pandemia ha radicalizzato le posizioni – ha detto Alessandro Minello (nell’immagine durante la presentazione avvenuta online), direttore del Centro studi terziario e docente di Economia all’Università Ca’ Foscari di Venezia – in maniera maggiore rispetto ad altri territori. Fra i nostri intervistati (metà del campione è rappresentato da ditte individuali, il 30% da società di persone e il 13% da società di capitali, nel loro insieme attività longeve perché presenti sul mercato da oltre vent’anni in misura principale nei settori del commercio e del turismo, ndr) l’80% ha dichiarato una diminuzione di fatturato in media di oltre il 40%, valori ancora più gravi nel settore turistico, dove per il 96% la perdita è stata di almeno la metà rispetto all’anno precedente».

Nonostante tutto questo calo le previsioni del 2021 sul fatturato non sono ancora rose: «Quasi la metà, il 48%, dichiara uno stallo, cioè non ritiene una crescita del suo fatturato nell’anno in corso, mentre purtroppo un 36% ha dichiarato che le entrate subiranno un’ulteriore diminuzione. Insomma, l’effetto rilancio sull’economia non è ancora stato metabolizzato nelle aspettative degli imprenditori. Solo un 16% ha dichiarato di aspettarsi un aumento»

Per quanto riguarda le prospettive future, metà degli intervistati ha dichiarato di aspettarsi un ulteriore peggioramento; meno di un terzo non prevede variazioni, mentre «interessante è osservare come un quarto ha dichiarato di attendersi un miglioramento. Si tratta del risultato di una serie di problematiche che in questo ultimo anno hanno colpito le imprese: nell’ordine la forte diminuzione della clientela, seguita dai mancati o ritardi negli incassi, oltre all’aumento delle spese fisse e da una minore spesa da parte dei clienti. Nell’insieme ha generato una forte carenza di liquidità».

Per quanto riguarda l’area di Novara le due problematiche maggiori sono la diminuzione della clientela e i mancati-ritardi incassi, mentre a Verbania, dove le strutture sono più “pesanti”, il problema più importante è stato quello dei costi fissi ed elevate delle strutture.

Aspetto più preoccupante riguarda il rischio o meno di chiusura da parte delle imprese: «Il settore sta tenendo – ha detto ancora Minello – in quanto il 75% degli intervistati ha dichiarato “improbabile” un rischio di chiusura, ma per il rimanente 25% dei soggetti lo ritiene “probabile”». Ma fra questi ultimi occorre fare dei distinguo: «Il 2% ha dichiarato che chiuderà “sicuramente” (percentuale che non si discosta da quella registrata a livello nazionale e internazionale e che l’Ocse ha definito “area delle aziende zombie”). Accanto a queste ci sono oltre un 6% per cui la chiusura potrebbe essere “molto probabile” in base a come si evolverà la situazione nei prossimi mesi, senza dimenticare che oltre il 40% ha dichiarato che cederebbe l’attività».

Entrando più nello specifico, valutando questi dati, si può ipotizzare quante potranno essere le aziende soggette a rischio chiusura entro la fine del 2021: «Nel caso di Novara potrebbero chiudere tra le 400 e 500 aziende rispetto alle 22 mila esistenti. Considerando l’intero Piemonte Nord sono circa 1.150 quelle interessate, ma se aggiungiamo quelle la cui chiusura è molto probabile ecco che nel caso di Novara dovremo considerare altre 1.500, 4.300 considerando l’intero “Quadrante”».

Nonostante questo, proprio per effetto della già citata polarizzazione, il 43% prevede di reagire nei prossimi sei mesi attraverso investimenti: nel marketing e comunicazione (38%), innovazione del pacchetto prodotto-servizio, formazione del capitale umano, ammodernamento delle strutture, acquisto materiale informatico. Accanto a questo oltre il 70% prevede di effettuare tagli ai costi di produzione (meno spese accessorie per due terzi del campione, mentre altro elemento su cui concentrare l’attenzione è quello che un quinto degli imprenditori soprattutto nel comparto turistico potrebbe essere costretto a ridurre il proprio personale». Ma nella sostanza, cosa chiedono gli imprenditori? «Agevolazioni dal punto di vista fiscale e burocratico, i tanto promessi ristori, l’eliminazione delle commissioni sui pagamenti elettronici e un migliore accesso ai contributi a fondo perduto». Ma il grido che emerge è quello di non perdere altro tempo, perché, come ha commentato il presidente di Confcommercio Alto Piemonte Maurizio Grifoni «questa è davvero l’ultima occasione per poter intervenire».

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