Se si esclude Enrico De Nicola, per un anno mezzo “capo provvisorio” e dopo l’entrata in vigore della Costituzione per pochi mesi presidente “vero”, il mandato ricoperto da Antonio Segni risulta il più breve della storia repubblicana. Eletto, come abbiamo visto, nel 1962, l’esponente democristiano viene improvvisamente colpito da una trombosi cerebrale nell’estate di due anni dopo durante un colloquio – che i bene informati definirono piuttosto concitato – al Quirinale con Aldo Moro e il socialdemocratico Giuseppe Saragat, rispettivamente presidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Da prassi costituzionale, le sue funzioni vengono “temporaneamente” assunte dal presidente del Senato Cesare Merzagora. Solo nel successivo dicembre Segni rassegna le dimissioni, aprendo una successione che si rivela piuttosto travagliata.
All’inizio la Dc, partito di maggioranza relativa, propone ancora una volta un suo esponente per il Colle, indicandolo nell’ex presidente della Camera Giovanni Leone. Socialisti e socialdemocratici (entrambi nella maggioranza di Governo) presentano una prima volta la candidatura di Saragat, mentre i comunisti votano Umberto Terracini. Di fronte a una lunga situazione che non si sblocca, tramontata in casa democristiana anche l’opzione Amintore Fanfani, solo dal diciottesimo scrutinio, dopo che in precedenza Psi e Pci avevano fatto confluire le loro preferenze sul leader socialista Pietro Nenni, la Dc accetta l’opzione Saragat, che viene eletto il 28 dicembre 1964 (al 21° scrutinio) con 646 voti su 963.
Altra elezione decisamente contrastata è quella del 1971, alla quale per la prima volta a deputati e senatori si affiancano i delegati delle Regioni, istituite l’anno precedente. La tensioni fra le forze di maggioranza (alcune correnti democristiane considerano esaurita l’esperienza del centro-sinistra e auspicano un ritorno al “centrismo”) si ripercuotano in vista della scelta del nuovo inquilino del Quirinale: la Dc presenta ufficialmente Amintore Fanfani; socialisti e comunisti si uniscono sostenendo Francesco De Martino, mentre i socialdemocratici puntano sul “loro” presidente uscente Saragat.
La candidatura di Fanfani, però, regge solo sei scrutini, dove l’esponente politico toscano raccoglie meno voti del previsto. Una situazione di stallo che si protrae per una ventina di scrutini, poi la Dc gioca la carta di Giovanni Leone, ma anche l’avvocato napoletano deve a lungo fare i conti con “franchi tiratori” presenti all’interno dello stesso partito. Solo alla vigilia di Natale, al ventireesimo scrutinio, viene eletto con 518 voti su 996 (52%, la percentuale più bassa fino ad allora). Considerando che le sinistre hanno sino alla fine votato Nenni, si saprà poi che sarebbero risultati determinanti le schede del Movimento sociale italiano.