Quirinale story: dalla ricostruzione al boom con Einaudi, Gronchi e Segni

Con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana si esaurisce l'esperienza di De Nicola e le forze politiche danno vita alle prime operazioni “sotterranee” nella scelta di chi deve salire al Colle. Un tormentone destinato a ripetersi periodicamente ogni sette anni

Con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana il 1° gennaio 1948 e le successive elezioni politiche del 18 aprile per la I legislatura (quelle, tanto per intenderci del braccio di ferro fra la Dc di De Gasperi e le sinistre unite nel Fronte Popolare) il nuovo Stato italiano trova un assetto quasi definito. Al momento di eleggere il presidente della Repubblica subito dopo l’insediamento del nuovo Parlamento si assiste a un primo colpo di scena. De Nicola, che non avrebbe sgradito una rielezione, viene “bocciato” dallo stesso De Gasperi che vuole così punire il giurista napoletano per un paio di scontri avuti con lui l’anno precedente: il primo dopo l’uscita dei social-comunisti dalla maggioranza e il varo della prima formula “centrista” con liberali, repubblicani e i neonati socialdemocratici di Giuseppe Saragat; il secondo al momento della ratifica del trattato di pace, votata dalla Costituente ma con la necessaria firma del capo dello Stato.


De Gasperi propone come candidato “governativo” il ministro degli Esteri Carlo Sforza, mentre le sinistre, quasi per ripicca, scelgono di votare proprio De Nicola. Al secondo scrutinio Sforza supera nei voti il presidente uscente ma non gli basta, perché continuano a mancargli i consensi da una parte dei democristiani e dei socialdemocratici. Per la prima volta, insomma, entrano in scena i “franchi tiratori”, che gli esperti quantificano in una cinquantina. Davanti alla bocciatura di Sforza, De Gasperi gioca allora la carta del ministro del Bilancio e governatore della Banca d’Italia Luigi Einaudi, liberale piemontese vecchio stampo e apprezzato economista, che viene eletto al quarto scrutinio con 518 voti su 871 l’11 maggio 1948, insediandosi subito dopo al Quirinale, primo a farlo. De Nicola, partenopeo superstizioso prima ancora che monarchico, non aveva infatti… osato mettere piede in quella che ancora tanti considerano la reggia dei Savoia, preferendo il vicino Palazzo Giustiniani.


Trascorrono sette anni e arriviamo giusto al 1955. L’Italia ha chiuso la partita con la ricostruzione, è stata tra i fondatori della Nato, si appresta ad entrare nell’Onu ed è avviata al boom. Non c’é più De Gasperi, scomparso l’anno precedente, ma la Dc sì; e propone come suo candidato per il Quirinale il presidente del Senato Cesare Merzagora, scelta tuttavia ancora una volta non gradita alla sinistra democristiana (le opposizioni votano invece inizialmente Ferrucio Parri e poi scheda bianca), che gli preferisce il presidente dell’altro ramo del Parlamento, Giovanni Gronchi. E’ una nuova vittoria dei dissidenti interni e al tempo stesso una sconfitta del segretario della Dc Amintore Fanfani, che dopo aver inutilmente cercato di convincere Gronchi a farsi da parte, alla fine è costretto ad accettarlo. Il 29 aprile 1955, anche lui al quarto scrutinio, l’esponente pisano viene eletto con 658 voti su 883.


Quando si giunge al 1962 appare evidente che le possibilità di una rielezione di Gronchi sono remote, anche se a questa operazione, dietro le quinte della politica ufficiale, sta da tempo lavorando addirittura il presidente dell’Eni Enrico Mattei. Il leader della Dc Aldo Moro vuole invece controbilanciare le aperture ai socialisti in ottica di Governo collocando al Quirinale un conservatore, scelta che ricade sul sassarese Antonio Segni. Per la prima volta l’operazione – eleggere il candidato iniziale ufficiale – viene condotta in porto, seppure tra non poche difficoltà, il 6 maggio 1962, al nono scrutinio, con 443 voti su 842.

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Quirinale story: dalla ricostruzione al boom con Einaudi, Gronchi e Segni

Con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana si esaurisce l’esperienza di De Nicola e le forze politiche danno vita alle prime operazioni “sotterranee” nella scelta di chi deve salire al Colle. Un tormentone destinato a ripetersi periodicamente ogni sette anni

Con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana il 1° gennaio 1948 e le successive elezioni politiche del 18 aprile per la I legislatura (quelle, tanto per intenderci del braccio di ferro fra la Dc di De Gasperi e le sinistre unite nel Fronte Popolare) il nuovo Stato italiano trova un assetto quasi definito. Al momento di eleggere il presidente della Repubblica subito dopo l’insediamento del nuovo Parlamento si assiste a un primo colpo di scena. De Nicola, che non avrebbe sgradito una rielezione, viene “bocciato” dallo stesso De Gasperi che vuole così punire il giurista napoletano per un paio di scontri avuti con lui l’anno precedente: il primo dopo l’uscita dei social-comunisti dalla maggioranza e il varo della prima formula “centrista” con liberali, repubblicani e i neonati socialdemocratici di Giuseppe Saragat; il secondo al momento della ratifica del trattato di pace, votata dalla Costituente ma con la necessaria firma del capo dello Stato.


De Gasperi propone come candidato “governativo” il ministro degli Esteri Carlo Sforza, mentre le sinistre, quasi per ripicca, scelgono di votare proprio De Nicola. Al secondo scrutinio Sforza supera nei voti il presidente uscente ma non gli basta, perché continuano a mancargli i consensi da una parte dei democristiani e dei socialdemocratici. Per la prima volta, insomma, entrano in scena i “franchi tiratori”, che gli esperti quantificano in una cinquantina. Davanti alla bocciatura di Sforza, De Gasperi gioca allora la carta del ministro del Bilancio e governatore della Banca d’Italia Luigi Einaudi, liberale piemontese vecchio stampo e apprezzato economista, che viene eletto al quarto scrutinio con 518 voti su 871 l’11 maggio 1948, insediandosi subito dopo al Quirinale, primo a farlo. De Nicola, partenopeo superstizioso prima ancora che monarchico, non aveva infatti… osato mettere piede in quella che ancora tanti considerano la reggia dei Savoia, preferendo il vicino Palazzo Giustiniani.


Trascorrono sette anni e arriviamo giusto al 1955. L’Italia ha chiuso la partita con la ricostruzione, è stata tra i fondatori della Nato, si appresta ad entrare nell’Onu ed è avviata al boom. Non c’é più De Gasperi, scomparso l’anno precedente, ma la Dc sì; e propone come suo candidato per il Quirinale il presidente del Senato Cesare Merzagora, scelta tuttavia ancora una volta non gradita alla sinistra democristiana (le opposizioni votano invece inizialmente Ferrucio Parri e poi scheda bianca), che gli preferisce il presidente dell’altro ramo del Parlamento, Giovanni Gronchi. E’ una nuova vittoria dei dissidenti interni e al tempo stesso una sconfitta del segretario della Dc Amintore Fanfani, che dopo aver inutilmente cercato di convincere Gronchi a farsi da parte, alla fine è costretto ad accettarlo. Il 29 aprile 1955, anche lui al quarto scrutinio, l’esponente pisano viene eletto con 658 voti su 883.


Quando si giunge al 1962 appare evidente che le possibilità di una rielezione di Gronchi sono remote, anche se a questa operazione, dietro le quinte della politica ufficiale, sta da tempo lavorando addirittura il presidente dell’Eni Enrico Mattei. Il leader della Dc Aldo Moro vuole invece controbilanciare le aperture ai socialisti in ottica di Governo collocando al Quirinale un conservatore, scelta che ricade sul sassarese Antonio Segni. Per la prima volta l’operazione – eleggere il candidato iniziale ufficiale – viene condotta in porto, seppure tra non poche difficoltà, il 6 maggio 1962, al nono scrutinio, con 443 voti su 842.

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