Al Coccia una Tosca dove gli opposti si attraggono e la musica si sposa con l’arte

La chiusura della prima parte della stagione ha messo in scena una produzione del Teatro novarese

L’ultima produzione del Teatro Coccia, in coproduzione con l’Ente Luglio Trapanese, era attesa da tre anni. Lo stop causato dalla pandemia non ha, però, fermato l’entusiasmo tanto che venerdì 27 maggio con la Tosca di Puccini è andata in scena una vera e propria opera d’arte.

Charlotte Anne Shipley (Tosca), soprano inglese con un importante repertorio pucciniano, è la quintessenza della purezza. Da “Non la sospiri la nostra casetta” a “Vissi d’arte, vissi d’amore” fino alla scena finale, la Shipley non delude il pubblico e si guadagna meritatissimi applausi a scena aperta.

Luciano Ganci (Cavaradossi) è una certezza: padrone nella scena, una vocalità rotonda e voce colorita da una sicura forma interpretativa, con il suo “E lucean le stelle” manda letteralmente in delirio il pubblico che interrompe la scena e lo applaude per due lunghissimi minuti.

Francesco Landolfi (Scarpia), dall’imponente background pucciniano e verdiano, è colui che rapisce la scena: malefico e malvagio fin dal primo sguardo, si fa interprete della tanto ambita quanto debole supremazia maschile che lo porterà alla morte. Fin da “Va Tosca, nel tuo cuor si annida Scarpia” non una sbavatura o un’incertezza e con il Te Deum che chiude il primo atto fa tremare le poltrone.

Stefano Marchisio (Sagrestano e Sciarrone), volto noto al Coccia dove ha già interpretato “La vedova allegra”, “Un viaggio a Reims” e “Il barbiere di Siviglia”, è un giovane basso che dà modo di farsi apprezzare.

Una vera sorpresa Graziano Dellavalle, nel doppio ruolo di Angelotti e del carceriere: eccellente timbro vocale scuro. Merita di più. Da segnalare anche Saverio Pugliese (Spoletta) sia per l’aspetto vocale che scenico, seppur in ruolo minore.

All’altezza della situazione sia il coro San Gregorio Magno diretto da Mauro Trombetta che quello di voci bianche diretto da Alberto Veggiotti e Paolo Beretta.

Bacchetta esperta priva di imperfezioni quella del Maestro Fabrizio Maria Carminati chiamato a dirigere l’orchestra Filarmonica italania.

La regia di Renato Bonajuto è tutta centrata su un gioco di opposti che si attraggono e si scontrano senza annullarsi mai: la sacralità e la perversione, la luce e le tenebre, la lealtà e il potere. Un percorso coerente dalla chiesa di Sant’Andrea della Valle, luogo di inequivocabile e antica devozione, a Palazzo Farnese, simbolo dell’autorità dispotica, a Castel Sant’Angelo dove si consumano atmosfere che ricordano i dipinti di Goya e Raffaello.

Spiccano quali straordinarie protagoniste di tutti e tre gli atti le opere di Giovanni Gasparro, interprete dell’arte caravaggesca riproposta in chiave contemporanea. Un artista universalmente riconosciuto per la genialità artistica, capace di concedere all’occhio del pubblico una tenebrosa imponente atmosfera.

Pregevoli e curate nei dettagli le scenografie di Danilo Coppola e le luci di Ivan Pastrovicchio: un lavoro in grado da una parte di esaltare i dipinti di Gasparro, dall’altro di usare il chiaro scuro come elemento fondante della scena. Al terzo atto c’è da restare a bocca aperta: l’illusione ottica del tetto di Castel Sant’Angelo con una magnifica statua dell’Arcangelo Michele è totale.

I costumi di Artemio Cabassi, classici e ricercati, sono frutto di uno studio approfondito del periodo storico e ben si inquadrano in un allestimento in cui nulla è lasciato al caso.

Uno spettacolo (andato in scena venerdì 27 e sabato 28 maggio, ultima replica oggi, domenica 29) che non a caso ha fatto il tutto esaurito e con il quale il Teatro Coccia di Novara torna finalmente a imporsi nel panorama operistico nazionale.

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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La chiusura della prima parte della stagione ha messo in scena una produzione del Teatro novarese

L'ultima produzione del Teatro Coccia, in coproduzione con l'Ente Luglio Trapanese, era attesa da tre anni. Lo stop causato dalla pandemia non ha, però, fermato l'entusiasmo tanto che venerdì 27 maggio con la Tosca di Puccini è andata in scena una vera e propria opera d'arte.

Charlotte Anne Shipley (Tosca), soprano inglese con un importante repertorio pucciniano, è la quintessenza della purezza. Da “Non la sospiri la nostra casetta” a “Vissi d’arte, vissi d’amore” fino alla scena finale, la Shipley non delude il pubblico e si guadagna meritatissimi applausi a scena aperta.

Luciano Ganci (Cavaradossi) è una certezza: padrone nella scena, una vocalità rotonda e voce colorita da una sicura forma interpretativa, con il suo “E lucean le stelle” manda letteralmente in delirio il pubblico che interrompe la scena e lo applaude per due lunghissimi minuti.

Francesco Landolfi (Scarpia), dall’imponente background pucciniano e verdiano, è colui che rapisce la scena: malefico e malvagio fin dal primo sguardo, si fa interprete della tanto ambita quanto debole supremazia maschile che lo porterà alla morte. Fin da “Va Tosca, nel tuo cuor si annida Scarpia” non una sbavatura o un’incertezza e con il Te Deum che chiude il primo atto fa tremare le poltrone.

Stefano Marchisio (Sagrestano e Sciarrone), volto noto al Coccia dove ha già interpretato “La vedova allegra”, “Un viaggio a Reims” e “Il barbiere di Siviglia”, è un giovane basso che dà modo di farsi apprezzare.

Una vera sorpresa Graziano Dellavalle, nel doppio ruolo di Angelotti e del carceriere: eccellente timbro vocale scuro. Merita di più. Da segnalare anche Saverio Pugliese (Spoletta) sia per l’aspetto vocale che scenico, seppur in ruolo minore.

All’altezza della situazione sia il coro San Gregorio Magno diretto da Mauro Trombetta che quello di voci bianche diretto da Alberto Veggiotti e Paolo Beretta.

Bacchetta esperta priva di imperfezioni quella del Maestro Fabrizio Maria Carminati chiamato a dirigere l’orchestra Filarmonica italania.

La regia di Renato Bonajuto è tutta centrata su un gioco di opposti che si attraggono e si scontrano senza annullarsi mai: la sacralità e la perversione, la luce e le tenebre, la lealtà e il potere. Un percorso coerente dalla chiesa di Sant’Andrea della Valle, luogo di inequivocabile e antica devozione, a Palazzo Farnese, simbolo dell’autorità dispotica, a Castel Sant’Angelo dove si consumano atmosfere che ricordano i dipinti di Goya e Raffaello.

Spiccano quali straordinarie protagoniste di tutti e tre gli atti le opere di Giovanni Gasparro, interprete dell’arte caravaggesca riproposta in chiave contemporanea. Un artista universalmente riconosciuto per la genialità artistica, capace di concedere all’occhio del pubblico una tenebrosa imponente atmosfera.

Pregevoli e curate nei dettagli le scenografie di Danilo Coppola e le luci di Ivan Pastrovicchio: un lavoro in grado da una parte di esaltare i dipinti di Gasparro, dall’altro di usare il chiaro scuro come elemento fondante della scena. Al terzo atto c’è da restare a bocca aperta: l’illusione ottica del tetto di Castel Sant’Angelo con una magnifica statua dell’Arcangelo Michele è totale.

I costumi di Artemio Cabassi, classici e ricercati, sono frutto di uno studio approfondito del periodo storico e ben si inquadrano in un allestimento in cui nulla è lasciato al caso.

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Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore