Alle urne “Senza rossetto”. Il 75esimo anniversario del voto alle donne si celebra così

La mattina del 2 giugno 1946 il Corriere della Sera usciva in edicola con un articolo intitolato “Senza rossetto nella cabina elettorale” con il quale invitava le donne a presentarsi ai seggi senza rossetto sulle labbra. La motivazione era la seguente: «Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio».

Era la prima volta che le donne venivano chiamate alle urne: era il referendum che chiedeva ai cittadini di scegliere tra monarchia o repubblica. Un momento storico decisivo per la storia d’Italia che nel 2016, in occasione del 70esimo anniversario del primo voto alle donne, ha spinto l’archivista Emanuela Mazzina e l’antropologa visuale Silvana Profeta a dare vita a “Senza rossetto”.

«In quel periodo – raccontano – stavamo lavorando alla schedatura di Rai Storia e ogni due ore questa ricorrenza ci passava sotto gli occhi. Abbiamo così deciso di mettere insieme le nostre competenze per dare voce a tutte quelle donne che il 2 giugno avevano votato con l’obiettivo di creare una banca dati disponibile in rete. Alla fine delle interviste ci siamo ritrovate con una mole di materiale incredibile che però, a cinque anni di distanza, e quest’anno cade il 75esimo anniversario, è incompiuto. Per il momento sul sito e sulla pagina Facebook abbiamo messo a disposizione alcuni frammenti tra i più interessanti. Una sola intervista è stata pubblicata interamente due mesi fa, quella a Marisa Rodano in occasione del suo 100esimo compleanno».

Il progetto ha, infatti, lo scopo di raccontare l’importanza simbolica e politica che il voto, vissuto come concessione, conquista o naturale conseguenza dei tempi ebbe sulla percezione di sé ed è costruito attraverso le storie personali delle donne che l’hanno vissuto. Ci sono Elena, Marisa, le gemelle Silvia e Monalda, Luigina, Angela e di altre ancora; volti e racconti che riattivano ricordi sulla guerra e sulla sua fine.

«Un lavoro svolto in modo volontario – proseguono le due autrici – senza alcun finanziamento, solo con il sostegno di Regesta.exe e con la partecipazione della Fondazione Aamod (archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico). Le donne che abbiamo intervistato sono una trentina, tutte dai 92 anni su, e le abbiamo trovate con il passaparola, da nord a sud, di estrazione e livello culturale molti diversi. A oggi molte di loro non ci sono più, sono sopravvissute le centenarie e questo ci ha fatto riflettere: il 2016 era forse ancora l’ultimo momento per riuscire a parlare con quella generazione che ormai è quasi del tutto scomparsa. Da Roma, dove lavoriamo entrambe, siamo andate a casa di ognuna di loro e le abbiamo ascoltate parlare».

«L’aspetto che più ci ha colpite è stato che molte di loro il voto del 2 giugno non lo ricordavano o comunque l’avevano vissuto come un passaggio normale dopo la fine della guerra, il momento in cui tutti, finalmente, uomini e donne, potevano alzare la testa ed esprimere il loro parere – continuano -. Per molte, infatti, non era la fine del fascismo, ma la fine dei bombardamenti. A parte alcune come Tina Costa che è stata partigiana e che nel corso della vita era stata abituata a raccontare la sua storia, le altre esordivano dicendo “ma io non ho niente da raccontare” senza rendersi conto che il solo fatto di esseere lì le rendeva interessanti. Eppure mentre parlavano si accorgevano di non aver mai descritto a nessuno quei momenti, neanche ai loro figli o nipoti. È stato bello poter ricentrare la loro consapevolezza su un momento storico decisivo per la nostra nazione e non solo come un passaggio. Stiamo parlando di persone che a quell’epoca aveva tra i 21 e i 30 anni, per molte di loro era comunque il primo voto e questa novità delle donne alle urne a molte di loro era sfuggita, hanno dovuto ripensarci».

E se i racconti del 2 giugno sono molto eterogenei, c’è un filo che unisce tutte le storie: «I bombardamenti – proseguono le autrici –. Tutte ce ne hanno parlato come il peggior incubo della loro infanzia tra sofferenze, povertà, vite devastate dalla guerra. “Abbiamo ancora nelle orecchie il rumore degli aerei che sganciavano, dalla paura ci battevano i denti per giorni” raccontavano».

Il progetto, però, non è rimasto solo on line. Nel 2016 il “corto” di dodici minuti è stato premiato al Festival internazionale Cinema e Donne di Firenze e l’anno successivo è stato chiesto alle due autrici di farne un film. Nel 2018, sempre a Firenze, è stato così presentato il mediometraggio che porta lo stesso nome del progetto realizzato con le testimonianze delle donne intervistate e i repertori dell’Istituto Luce e di Aamod.

Il video è disponibile qui sotto.

[Nell’immagine in copertina Emanuela Mazzina e Silvana Profeta]

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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Alle urne “Senza rossetto”. Il 75esimo anniversario del voto alle donne si celebra così

La mattina del 2 giugno 1946 il Corriere della Sera usciva in edicola con un articolo intitolato “Senza rossetto nella cabina elettorale” con il quale invitava le donne a presentarsi ai seggi senza rossetto sulle labbra. La motivazione era la seguente: «Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio».

Era la prima volta che le donne venivano chiamate alle urne: era il referendum che chiedeva ai cittadini di scegliere tra monarchia o repubblica. Un momento storico decisivo per la storia d’Italia che nel 2016, in occasione del 70esimo anniversario del primo voto alle donne, ha spinto l’archivista Emanuela Mazzina e l’antropologa visuale Silvana Profeta a dare vita a “Senza rossetto”.

«In quel periodo – raccontano – stavamo lavorando alla schedatura di Rai Storia e ogni due ore questa ricorrenza ci passava sotto gli occhi. Abbiamo così deciso di mettere insieme le nostre competenze per dare voce a tutte quelle donne che il 2 giugno avevano votato con l’obiettivo di creare una banca dati disponibile in rete. Alla fine delle interviste ci siamo ritrovate con una mole di materiale incredibile che però, a cinque anni di distanza, e quest’anno cade il 75esimo anniversario, è incompiuto. Per il momento sul sito e sulla pagina Facebook abbiamo messo a disposizione alcuni frammenti tra i più interessanti. Una sola intervista è stata pubblicata interamente due mesi fa, quella a Marisa Rodano in occasione del suo 100esimo compleanno».

Il progetto ha, infatti, lo scopo di raccontare l’importanza simbolica e politica che il voto, vissuto come concessione, conquista o naturale conseguenza dei tempi ebbe sulla percezione di sé ed è costruito attraverso le storie personali delle donne che l’hanno vissuto. Ci sono Elena, Marisa, le gemelle Silvia e Monalda, Luigina, Angela e di altre ancora; volti e racconti che riattivano ricordi sulla guerra e sulla sua fine.

«Un lavoro svolto in modo volontario – proseguono le due autrici – senza alcun finanziamento, solo con il sostegno di Regesta.exe e con la partecipazione della Fondazione Aamod (archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico). Le donne che abbiamo intervistato sono una trentina, tutte dai 92 anni su, e le abbiamo trovate con il passaparola, da nord a sud, di estrazione e livello culturale molti diversi. A oggi molte di loro non ci sono più, sono sopravvissute le centenarie e questo ci ha fatto riflettere: il 2016 era forse ancora l’ultimo momento per riuscire a parlare con quella generazione che ormai è quasi del tutto scomparsa. Da Roma, dove lavoriamo entrambe, siamo andate a casa di ognuna di loro e le abbiamo ascoltate parlare».

«L’aspetto che più ci ha colpite è stato che molte di loro il voto del 2 giugno non lo ricordavano o comunque l’avevano vissuto come un passaggio normale dopo la fine della guerra, il momento in cui tutti, finalmente, uomini e donne, potevano alzare la testa ed esprimere il loro parere – continuano -. Per molte, infatti, non era la fine del fascismo, ma la fine dei bombardamenti. A parte alcune come Tina Costa che è stata partigiana e che nel corso della vita era stata abituata a raccontare la sua storia, le altre esordivano dicendo “ma io non ho niente da raccontare” senza rendersi conto che il solo fatto di esseere lì le rendeva interessanti. Eppure mentre parlavano si accorgevano di non aver mai descritto a nessuno quei momenti, neanche ai loro figli o nipoti. È stato bello poter ricentrare la loro consapevolezza su un momento storico decisivo per la nostra nazione e non solo come un passaggio. Stiamo parlando di persone che a quell’epoca aveva tra i 21 e i 30 anni, per molte di loro era comunque il primo voto e questa novità delle donne alle urne a molte di loro era sfuggita, hanno dovuto ripensarci».

E se i racconti del 2 giugno sono molto eterogenei, c’è un filo che unisce tutte le storie: «I bombardamenti – proseguono le autrici –. Tutte ce ne hanno parlato come il peggior incubo della loro infanzia tra sofferenze, povertà, vite devastate dalla guerra. “Abbiamo ancora nelle orecchie il rumore degli aerei che sganciavano, dalla paura ci battevano i denti per giorni” raccontavano».

Il progetto, però, non è rimasto solo on line. Nel 2016 il “corto” di dodici minuti è stato premiato al Festival internazionale Cinema e Donne di Firenze e l’anno successivo è stato chiesto alle due autrici di farne un film. Nel 2018, sempre a Firenze, è stato così presentato il mediometraggio che porta lo stesso nome del progetto realizzato con le testimonianze delle donne intervistate e i repertori dell’Istituto Luce e di Aamod.

Il video è disponibile qui sotto.

[Nell’immagine in copertina Emanuela Mazzina e Silvana Profeta]

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore