All’ombra della Cupola cala il sipario su “Nu Arts and Community”

Comincia alla domenica mattina la giornata finale del festival “Nu Arts and Community” con la performance singolare e suggestiva, di Elisabetta Consonni (coreografia) e Mario Mariotti (tromba), “Il secondo paradosso di Zenone” (che tutti ricorderanno dai tempi della scuola). Un astronauta e un trombettista, camminano (e suonano) con esasperante lentezza nel centro della città, tra passanti incuriositi e divertiti, come se esplorare e “sondare” il mondo fosse cosa ridicola. Mentre Elisabetta scruta da presso panchine, segnali stradali, muri, porte, la tromba di Massimo Mariotti si cimenta non solo con lo spazio-tempo, comune per un musicista, ma anche con lo spazio urbano fatto di barriere, passaggi, percorsi. La performance si conclude nel giardino del Museo Faraggiana dove ad aspettarli, per il secondo appuntamento della giornata, ci sono grandi pagine di Hayden, Chopin, Liszt, interpretati da una ultra-talentuosa diciassettenne bolognese, Sofia Donato che letteralmente incanta l’attento pubblico di Nu.

Al pomeriggio presso Nòva è la volta di Jonas Mekas, “As I was moving ahead occasionally I saw brief glimpses of beauty”, titolo del chilometrico lungometraggio. Mekas è stato un artista che ha attraversato la vita con la macchina da presa in mano. Guardando il film di Jonas Mekas viene in mente un pensiero di un grandioso scrittore, Peter Handke, quando ne “Il peso del mondo” scrive “In un vecchio film di Renoir delle nuvole passavano dietro la cattedrale di Notre Dame ed io pensavo: dunque quelle nuvole sono passate di là.”

Ecco c’è un pensiero in apertura di “As I was moving ahead occasionally I saw brief glimpses of beauty” che assomiglia molto al pensiero di Mekas: “Ci sono posti in cui siamo stati nella vita” ed proprio è in questo concetto che si può riassumere il colossale film presentato a Nòva in questo assolato pomeriggio d’autunno. Potremmo dire che sono frammenti di vita, come ricorda anche Andrea Lissoni in apertura del film che Mekas ha assemblati senza un preciso ordine cronologico e senza una logica concettuale. Mekas filmava tutto, come ha detto Corrado Beldì, che ricorda come l’artista avesse sempre la macchina da presa in mano o un aggeggio per filmare qualsiasi cosa vedesse. Non importa che cosa e, paradossalmente, nemmeno la qualità delle immagini, che sono per lo più “sporche”, per nulla “professionali”, spesso sgranate o sfuocate e che lasciano trasparire con un certo compiacimento anche il trascorrere del tempo. Anzi è il trascorrere del tempo uno degli argomenti del film insieme alla vita. Lo dice chiaramente Andrea Lissoni in apertura: “senza la vita e la collettività dei viventi, e il loro vivere associati, questo monumento del cinema-realtà non sarebbe mai stato concepito. “La vita facile salverà solo la tua anima, quella difficile la tua e quella di qualcun altro”, scrive Mekas sotto ad immagini di struggente malinconia. Mekas non è un videomaker, ha solo dato un senso alla sua vita filmando qualsiasi cosa vedesse e consegnandoci questa pellicola enormemente lunga e fatta tutta di immagini non simboliche, ma solo reali e alle quali nemmeno Mekas sa dare un senso che sia diverso da quello di osservare le immagini della vita, poiché sono la vita stessa.

È difficile districare il bandolo della matassa: immagini della famiglia girati in super 8, immagini di amici e conoscenti a New York o a Vienna, in campagna come in città, immagini che riguardano, le cose o gli spazi che non hanno apparentemente nessun senso, i pieni e i vuoti. Riguardano le cose come i sentimenti, i momenti belli, quelli brutti, riguardano l’indifferenza, come l’amicizia, alla quale Mekas dedica un pensiero speciale: “Ci sono momenti in cui eravamo sulla terra ma ci siamo sentiti in paradiso.” L’imponete mole di “girato” ha solo una suddivisione in capitoli, con un accompagnamento musicale variegato, qualche commmento dello stesso Mekas e numerose didascalie, ma film fatto anche di lunghi silenzi. Cosa succede durante i silenzi, si chiede l’autore nel “Chapter Three”. Più volte Mekas sottolinea che nel film non succede niente. Il film, presentato al London Film Festival nel 2000, oltre ad essere un capolavoro del cinema-realtà, è un gigantesco frammento di poesia visiva, assolutamente geniale.

Come ricorda Mekas in uno dei suoi frammenti sonori, “Compito del poeta non è quello di parlare per categorie generali, ma per singoli frammenti fattuali”. Coraggiosi i curatori del Festival “Nu” a proporlo nella sua versione integrale. Questa sera i due ultimi appuntamenti con Ginevra Nervi e “Romeo e Giulietta. Opera Ibrida” di Cabiria Teatro.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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All’ombra della Cupola cala il sipario su “Nu Arts and Community”

Comincia alla domenica mattina la giornata finale del festival “Nu Arts and Community” con la performance singolare e suggestiva, di Elisabetta Consonni (coreografia) e Mario Mariotti (tromba), “Il secondo paradosso di Zenone” (che tutti ricorderanno dai tempi della scuola). Un astronauta e un trombettista, camminano (e suonano) con esasperante lentezza nel centro della città, tra passanti incuriositi e divertiti, come se esplorare e “sondare” il mondo fosse cosa ridicola. Mentre Elisabetta scruta da presso panchine, segnali stradali, muri, porte, la tromba di Massimo Mariotti si cimenta non solo con lo spazio-tempo, comune per un musicista, ma anche con lo spazio urbano fatto di barriere, passaggi, percorsi. La performance si conclude nel giardino del Museo Faraggiana dove ad aspettarli, per il secondo appuntamento della giornata, ci sono grandi pagine di Hayden, Chopin, Liszt, interpretati da una ultra-talentuosa diciassettenne bolognese, Sofia Donato che letteralmente incanta l’attento pubblico di Nu.

Al pomeriggio presso Nòva è la volta di Jonas Mekas, “As I was moving ahead occasionally I saw brief glimpses of beauty”, titolo del chilometrico lungometraggio. Mekas è stato un artista che ha attraversato la vita con la macchina da presa in mano. Guardando il film di Jonas Mekas viene in mente un pensiero di un grandioso scrittore, Peter Handke, quando ne “Il peso del mondo” scrive “In un vecchio film di Renoir delle nuvole passavano dietro la cattedrale di Notre Dame ed io pensavo: dunque quelle nuvole sono passate di là.”

Ecco c’è un pensiero in apertura di “As I was moving ahead occasionally I saw brief glimpses of beauty” che assomiglia molto al pensiero di Mekas: “Ci sono posti in cui siamo stati nella vita” ed proprio è in questo concetto che si può riassumere il colossale film presentato a Nòva in questo assolato pomeriggio d’autunno. Potremmo dire che sono frammenti di vita, come ricorda anche Andrea Lissoni in apertura del film che Mekas ha assemblati senza un preciso ordine cronologico e senza una logica concettuale. Mekas filmava tutto, come ha detto Corrado Beldì, che ricorda come l’artista avesse sempre la macchina da presa in mano o un aggeggio per filmare qualsiasi cosa vedesse. Non importa che cosa e, paradossalmente, nemmeno la qualità delle immagini, che sono per lo più “sporche”, per nulla “professionali”, spesso sgranate o sfuocate e che lasciano trasparire con un certo compiacimento anche il trascorrere del tempo. Anzi è il trascorrere del tempo uno degli argomenti del film insieme alla vita. Lo dice chiaramente Andrea Lissoni in apertura: “senza la vita e la collettività dei viventi, e il loro vivere associati, questo monumento del cinema-realtà non sarebbe mai stato concepito. “La vita facile salverà solo la tua anima, quella difficile la tua e quella di qualcun altro”, scrive Mekas sotto ad immagini di struggente malinconia. Mekas non è un videomaker, ha solo dato un senso alla sua vita filmando qualsiasi cosa vedesse e consegnandoci questa pellicola enormemente lunga e fatta tutta di immagini non simboliche, ma solo reali e alle quali nemmeno Mekas sa dare un senso che sia diverso da quello di osservare le immagini della vita, poiché sono la vita stessa.

È difficile districare il bandolo della matassa: immagini della famiglia girati in super 8, immagini di amici e conoscenti a New York o a Vienna, in campagna come in città, immagini che riguardano, le cose o gli spazi che non hanno apparentemente nessun senso, i pieni e i vuoti. Riguardano le cose come i sentimenti, i momenti belli, quelli brutti, riguardano l’indifferenza, come l’amicizia, alla quale Mekas dedica un pensiero speciale: “Ci sono momenti in cui eravamo sulla terra ma ci siamo sentiti in paradiso.” L’imponete mole di “girato” ha solo una suddivisione in capitoli, con un accompagnamento musicale variegato, qualche commmento dello stesso Mekas e numerose didascalie, ma film fatto anche di lunghi silenzi. Cosa succede durante i silenzi, si chiede l’autore nel “Chapter Three”. Più volte Mekas sottolinea che nel film non succede niente. Il film, presentato al London Film Festival nel 2000, oltre ad essere un capolavoro del cinema-realtà, è un gigantesco frammento di poesia visiva, assolutamente geniale.

Come ricorda Mekas in uno dei suoi frammenti sonori, “Compito del poeta non è quello di parlare per categorie generali, ma per singoli frammenti fattuali”. Coraggiosi i curatori del Festival “Nu” a proporlo nella sua versione integrale. Questa sera i due ultimi appuntamenti con Ginevra Nervi e “Romeo e Giulietta. Opera Ibrida” di Cabiria Teatro.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.