Il maggiore Vincent Joppolo è veramente esistito. Si chiamava Frank Toscani. I suoi erano originari di Parma, non di Firenze come nel libro, ed era nato a Manhattan nel 1911, dunque coetaneo di Hersey, autore, appunto, di A Bell for Adano, di cui Joppolo è protagonista (leggi qui). Davvero dovette abbandonare Licata per essere entrato in contrasto con Patton, e davvero trovò una nuova campana per la torre municipale, anche se in modo più prosastico di quanto narrato da Hersey. Nel 1962 tornò a Licata, dove venne accolto in modo trionfale e insignito di numerose onoreficenze. E anche al momento della sua morte, nel 2001, gli fu tributato un ricordo riconoscente sia in patria che in Italia.
Ma Hersey non avrebbe mai potuto conoscere Toscani e la sua storia, senza l’intervento di Charles Poletti. Hersey, corrispondente di guerra di Time, aveva preso contatto con il governatore della Sicilia, Poletti appunto, che si era insediato a Palermo il 22 luglio, subito dopo la liberazione della città. Poletti gli aveva messo a disposizione un veicolo militare per muoversi in città e lo aveva messo nelle condizioni di conoscere dall’interno la macchina amministrativa dell’esercito americano, fornendogli lasciapassare e informazioni. Quando Hersey si presentò per salutarlo e ringraziarlo, Poletti gli disse che la sua conoscenza dei fatti sarebbe stata superficiale, perché aveva visto soltanto il funzionamento del centro delle operazioni. Avrebbe dovuto recarsi a constatare di persona cosa succedeva nei piccoli centri. Così predispose per permetteregli di rimanere una settimana a Licata, dove sapeva che stava operando il migliore dei suoi uomini.
Poletti fu un uomo chiave del governo militare alleato. Dopo Palermo, amministrò Napoli, Firenze, Roma e Milano e la Lombardia, man mano che le truppe alleate risalivano la penisola. Fu, quindi, anche la massima autorità novarese dal 2 maggio 1945, quando gli alleati arrivarono in città, al 31 dicembre 1945, scontrandosi spesso e volentieri con il professor Fornara, che a lui doveva rispondere, soprattutto riguardo le misure da prendere per la ripresa dell’attività agricola. Ma al di là delle divergenze connesse al diverso ruolo, tra i due uomini nacque una consuetudine, dovuta alle origini del colonnello. Già perché suo padre Dino Poletti aveva dovuto lasciare Pogno, dove era nato nel 1865, sul limitare del diciannovesimo secolo per emigrare a Barre, nel Vermont, dove Charles nacque il 2 luglio del 1903. Barre è conosciuta come granite center of the world, e Dino trovò lavoro come tagliatore di granito in una miniera.
L’umile estrazione non impedì a Charles di diplomarsi alla locale Spaulding High School, facendo mille mestieri per mantenersi, e di vincere una borsa di studio che gli permise di conseguire la laurea in Scienze politiche alla prestigiosa Università di Harvard, di perfezionarsi alle Università di Roma e di Madrid e di conseguire una seconda laurea in giurisprudenza nel 1928, di nuovo ad Harvard. Sotto l’influsso della figura di Woodrow Wilson, Poletti si avvicinò presto al partito democratico, all’interno del quale mantenne posizioni di chiara ascendenza socialista, del tutto inusuali nella cultura politica americana. Parallelamente, entrò in uno dei più prestigiosi studi forensi americani, il cui dominus, John W. Davis era stato sconfitto dal repubblicano Coolidge nelle elezioni presidenziali del 1924. Nel 1932 divenne membro del Consiglio del Comitato nazionale democratico, sostenendo la candidatura di Franklin Delano Roosevelt, con cui stabilì un solido rapporto, tanto che nel dopoguerra il figlio primogenito di Roosevelt trovò impiego nel suo studio professionale.
Nominato consigliere del Governatore dello Stato di New York Herbert Lehman, gli subentrò al governo dello stato quando questi si dimise per occupare un’altra carica. Così Poletti fu il primo governatore di uno stato figlio di immigrati nella storia degli Stati Uniti. Le sue politiche nettamente antirazziste e impegnate a costruire un modello di Welfare di stampo europeo sulla falsariga dei piani Beveridge gli valsero numerosi e furiosi attacchi da parte dei settori più conservatori del partito repubblicano, che lasciarono balenare immancabili legami con la mafia, ovviamante senza essere in grado di provarli minimamante, che curiosamente sono stati ampiamente ripresi da improvvisati storici nostrani, paladini della sinistra più intransigente. Nel gennaio del 1943, Roosevelt lo nominò assistente speciale del ministro della guerra Stimson e nell’aprile successivo lo integrò nell’esercito con il grado di tenente colonello, per potergli affidare la direzione dell’Allied Military Government in Italia, che fece da modello ai governi militari dei territori occupati dopo lo sbarco in Normandia.
Questo origine esterna della sua autorità militare gli procurò l’ostilità sistematica della gerarchia militare, come si evince chiaramente dal caso del maggiore Toscani, che Poletti non fu in grado di proteggere dalle ire, gratuite e ingiustificate, di Patton. Con la nuova amministrazione Truman, Poletti si ritrovò ai margini del partito al termine della guerra; i susseguenti otto anni di presidenza repubblicana lo allontanarono ulteriormente dalla vita politica. Tornò ad avere incarichi pubblici con le amministrazioni Kennedy e Johnson; al termine del primo mandato di quest’ultimo, si dedicò definitivamente alla sua attività professionale. Morì a 99 anni l’8 agosto del 2002 a Marco Island, in Florida.
Naturalmente durante il periodo del suo incarico milanese, Poletti si recò a visitare Pogno, accompagnato dal suo principale collaboratore in tutta la campagna d’Italia, Maurice Neufeld, professore della Cornell University. L’idea venne a Moscatelli, che lo invitò a tenere un discorso nel corso di una manifestazione garibaldina. Al suo arrivo, volle per prima cosa incontrare la sorella di suo padre, la zia Savina, più giovane di Dino di tre anni, una donna energica e senza fronzoli, madre di otto figli, pur risultando nubile allo stato civile. Moscatelli, con la sua indubbia abilità comunicativa, insistette perché alla testa del corteo sfilassero Poletti e la zia, una signora vestita di nero che aveva allora settantasette anni.
Ma quando Poletti salì sulla piccola piattaforma allestita per i discorsi, si accorse che la zia era sparita. Al termine della cerimonia, mentre la gente gli si faceva intorno per stringergli la mano, molti gli amici del padre che raccontavano anedotti della loro infanzia comune, vide la zia che tornava. «Zia, ma dove sei stata?», le chiese. «Oh, guarda che io dovevo dar da mangiare alle galline!» Dar da mangiare alle galline. Nemmeno l’orgoglio per il nipote prediletto, tornato a Pogno come colonello dell’esercito americano poteva distoglierla dalle incombenze quaotidiane. Nel raccontare l’anedotto, Poletti si divertiva molto, sottolineando nel contempo le virtù della gente semplice che fa innanzitutto il suo dovere. In fondo, quale modo migliore per festeggiare la liberazione?
Le notizie biografiche sono tratte dall’intervista rilasciata da Charles Poletti a Lamberto Mercuri e pubblicata nel volume Charles Poletti, “Governatore d’Italia”, a cura di L. Mercuri, Bastogi, Foggia 1992 e dalle Note biografiche accluse alle Charles W. Poletti papers, conservate nelle Archivial Collections della Columbia University.
[Nella foto in evidenza il colonnello Charles Poletti e il professor Piero Fornara (Archivio fotografico Istituto storico della Resistenza di Novara)]
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