Dai Corti del Coccia al videogioco Hwaet: le ultime creazioni di Capobianco

L'artista ha ideato le scenografie delle mini opere che in questo fine settimana segnano il ritorno in sala del pubblico e disegnato le ambientazioni del serious game prodotto dal Museo del tesoro del Duomo di Vercelli, progetto a cui ha collaborato anche l'illustratore novarese Andrea Capone

Dai Corti del Coccia al videogioco Hwaet: le ultime creazioni di Matteo Capobianco, fra tradizione e digitale, arrivano al pubblico in contemporanea. L’artista ha infatti ideato le scenografie delle mini opere che in questo fine settimana segnano il ritorno in sala del pubblico, dopo 16 mesi di stop forzato per il teatro. Ed è anche fra gli autori del gioco elettronico prodotto dal Museo del tesoro del Duomo di Vercelli, in collaborazione con il Cnr di Palermo e l’impresa culturale Bepart.

A ottobre avevi realizzato le scenografie dello spettacolo televisivo con Neri Marcorè dedicato al centenario di Rodari (leggi qui), si può dire che con i Corti sei tornato anche tu a teatro, a livello professionale?
«E’ stata una sfida complessa – ammette – I Corti hanno, di fatto, sette scenografie in una. Come in un film a episodi degli Anni ’70, ci sono dei continui cambi di scena, in cui a fare da filo rosso c’è un personaggio che fa zapping fra sette canali televisivi. Per questo è stato necessario realizzare una vera e propria macchina scenica, che ruotando cala il pubblico in contesti completamente diversi fra loro: dal camerino della diva, a una casa, al cielo stellato e così via. Era quindi necessario creare delle ambientazioni apparentemente semplici ed essenziali, ma con elementi molto caratterizzanti, che potessero dare subito un colpo d’occhio. Tutto è pensato perché il pubblico possa capire immediatamente i singoli contesti che si succedono. Per la prima volta ho dovuto basarmi sulla partitura: la macchina scenica deve muoversi a braccetto con il direttore d’orchestra».

In questi giorni è anche uscito “Hwaet!”, il videogioco ispirato al Vercelli Book: custodito nella biblioteca capitolare del Museo del tesoro del Duomo, scritto in antica lingua anglosassone e risalente alla fine del X secolo, è l’unico di 4 manoscritti analoghi sopravvissuti, al di fuori del territorio inglese (leggi qui).

E’ la prima volta che ti confronti con il digitale?
«Più che altro per la prima volta sono passato da giocatore a realizzatore di videogame ed è stato un bel cambio di prospettiva».

Di cosa ti sei occupato?
«Il mio compito è stato quello di disegnare le ambientazioni e un centinaio di elementi di scena del gioco. Da una parte mi sono trovato subito a mio agio, vista l’ambientazione medievale che è una delle mie passioni (molto presente nei suoi lavori, si veda ad esempio la sezione ragazzi della biblioteca Negroni, ndr), ma allo stesso tempo è stato un lavoro lungo e complesso, perché gli oggetti di scena hanno molte varianti, in base al contesto in cui sono inseriti. A livello operativo siamo partiti appena prima del primo lockdown, per arrivare a chiuderlo nelle scorse settimane. In questo progetto ho lavorato a stretto contatto con un altro novarese: l’illustratore Andrea Capone, che si è occupato di dare forma ai personaggi del gioco. Abbiamo dovuto lavorare praticamente in simbiosi, seppur a distanza visto il periodo, perché era fondamentale ottenere un risultato estetico omogeneo fra personaggi, oggetti e ambientazioni».

Quali sono le potenzialità di questo gioco?
«L’aspetto più interessante e innovativo è che è in grado di mettere in contatto due mondi normalmente distanti fra loro, quali tradizione e contemporaneità. I nuovi media offrono l’opportunità di incuriosire e attrarre il pubblico in modo diretto e divertente ad argomenti che normalmente sono ritenuti più vicini alla sfera della “cultura alta”. Collaborare alla realizzazione di questo gioco è stato per me un’esperienza molto formativa. E mi ha permesso di scoprire il Vercelli Book, un vero e proprio gioiello nascosto, custodito a poche decine di chilometri da Novara, che ho conosciuto proprio grazie a questo progetto. Spero – conclude – che questo serious game, scaricabile gratuitamente dagli store per iOS e Android, possa affascinare anche molti altri, ragazzi compresi».

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Elena Ferrara

Nata a Novara, diplomata al liceo scientifico Antonelli, si è poi laureata in Scienze della Comunicazione multimediale all'Università degli studi di Torino. Iscritta all'albo dei giornalisti pubblicisti dal 2006.

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Dai Corti del Coccia al videogioco Hwaet: le ultime creazioni di Capobianco

L’artista ha ideato le scenografie delle mini opere che in questo fine settimana segnano il ritorno in sala del pubblico e disegnato le ambientazioni del serious game prodotto dal Museo del tesoro del Duomo di Vercelli, progetto a cui ha collaborato anche l’illustratore novarese Andrea Capone

Dai Corti del Coccia al videogioco Hwaet: le ultime creazioni di Matteo Capobianco, fra tradizione e digitale, arrivano al pubblico in contemporanea. L’artista ha infatti ideato le scenografie delle mini opere che in questo fine settimana segnano il ritorno in sala del pubblico, dopo 16 mesi di stop forzato per il teatro. Ed è anche fra gli autori del gioco elettronico prodotto dal Museo del tesoro del Duomo di Vercelli, in collaborazione con il Cnr di Palermo e l’impresa culturale Bepart.

A ottobre avevi realizzato le scenografie dello spettacolo televisivo con Neri Marcorè dedicato al centenario di Rodari (leggi qui), si può dire che con i Corti sei tornato anche tu a teatro, a livello professionale?
«E’ stata una sfida complessa – ammette – I Corti hanno, di fatto, sette scenografie in una. Come in un film a episodi degli Anni ’70, ci sono dei continui cambi di scena, in cui a fare da filo rosso c’è un personaggio che fa zapping fra sette canali televisivi. Per questo è stato necessario realizzare una vera e propria macchina scenica, che ruotando cala il pubblico in contesti completamente diversi fra loro: dal camerino della diva, a una casa, al cielo stellato e così via. Era quindi necessario creare delle ambientazioni apparentemente semplici ed essenziali, ma con elementi molto caratterizzanti, che potessero dare subito un colpo d’occhio. Tutto è pensato perché il pubblico possa capire immediatamente i singoli contesti che si succedono. Per la prima volta ho dovuto basarmi sulla partitura: la macchina scenica deve muoversi a braccetto con il direttore d’orchestra».

In questi giorni è anche uscito “Hwaet!”, il videogioco ispirato al Vercelli Book: custodito nella biblioteca capitolare del Museo del tesoro del Duomo, scritto in antica lingua anglosassone e risalente alla fine del X secolo, è l’unico di 4 manoscritti analoghi sopravvissuti, al di fuori del territorio inglese (leggi qui).

E’ la prima volta che ti confronti con il digitale?
«Più che altro per la prima volta sono passato da giocatore a realizzatore di videogame ed è stato un bel cambio di prospettiva».

Di cosa ti sei occupato?
«Il mio compito è stato quello di disegnare le ambientazioni e un centinaio di elementi di scena del gioco. Da una parte mi sono trovato subito a mio agio, vista l’ambientazione medievale che è una delle mie passioni (molto presente nei suoi lavori, si veda ad esempio la sezione ragazzi della biblioteca Negroni, ndr), ma allo stesso tempo è stato un lavoro lungo e complesso, perché gli oggetti di scena hanno molte varianti, in base al contesto in cui sono inseriti. A livello operativo siamo partiti appena prima del primo lockdown, per arrivare a chiuderlo nelle scorse settimane. In questo progetto ho lavorato a stretto contatto con un altro novarese: l’illustratore Andrea Capone, che si è occupato di dare forma ai personaggi del gioco. Abbiamo dovuto lavorare praticamente in simbiosi, seppur a distanza visto il periodo, perché era fondamentale ottenere un risultato estetico omogeneo fra personaggi, oggetti e ambientazioni».

Quali sono le potenzialità di questo gioco?
«L’aspetto più interessante e innovativo è che è in grado di mettere in contatto due mondi normalmente distanti fra loro, quali tradizione e contemporaneità. I nuovi media offrono l’opportunità di incuriosire e attrarre il pubblico in modo diretto e divertente ad argomenti che normalmente sono ritenuti più vicini alla sfera della “cultura alta”. Collaborare alla realizzazione di questo gioco è stato per me un’esperienza molto formativa. E mi ha permesso di scoprire il Vercelli Book, un vero e proprio gioiello nascosto, custodito a poche decine di chilometri da Novara, che ho conosciuto proprio grazie a questo progetto. Spero – conclude – che questo serious game, scaricabile gratuitamente dagli store per iOS e Android, possa affascinare anche molti altri, ragazzi compresi».

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Elena Ferrara

Nata a Novara, diplomata al liceo scientifico Antonelli, si è poi laureata in Scienze della Comunicazione multimediale all'Università degli studi di Torino. Iscritta all'albo dei giornalisti pubblicisti dal 2006.