«Dopo il rock e il pop ho scoperto l’opera. Senza di lei la mia vita sarebbe nulla»

Il basso Simone Alberghini si racconta a poche ore dal debutto di Cenerentola al Teatro Coccia, spettacolo di apertura di stagione. E promette: «Il mio Don Magnifico sarà cattivissimo»

«Dopo il rock e il pop ho scoperto l’opera. Senza di lei la mia vita sarebbe nulla». E poi promette: «Il mio Don Magnifico sarà cattivissimo». Simone Alberghini, basso, bolognese, classe 1973, si racconta a poche ore dal debutto di Cenerentola – in programma questa sera al Teatro Coccia per l’apertura di stagione. Interpreterà il protagonista maschile della storia, Don Magnifico appunto, che rappresenta una sfida vocale e scenica per ogni artista che lo porta sul palco.

«La lunghezza del ruolo di per sé è già una sfida – racconta – oltre al fatto che la parte è molto aggressiva vocalmente con esplosioni di ira che bisogna cercare di tenere sotto controllo, in modo particolare nel quintetto del primo atto. Però provo anche molta soddisfazione: Don Magnifico è il classico basso buffo rossiniano, non richiede tanta agilità, ma precisione per i numerosi sillabati.

Buffo nella tradizione, ma padre padrone nei fatti, denigratorio nei confronti del genere femminile. Credi possa essere appropriato portare in scena un personaggio così?

Penso sia giusto mettere in luce la sua crudeltà per dare poi modo alla bontà di trionfare. Come tutte le storie ci vogliono gli opposti che più sono contrastanti, più il dramma acquista forza e interesse per lo spettatore. Per questo il mio Don Magnifico sarà cattivissimo, soprattutto nei confronti di Cenerentola, e cercherò di mantenerlo vero fino alla fine nonostante i tratti propri della tradizione buffa.

Cenerentola che fa da contraltare al tuo personaggio.

Non solo. Mi piace il fatto che la Cenerentola dell’opera rossiniana, a differenza della favola classica, non sia per nulla remissiva, anzi lotta e prende in mano il suo destino: non c’è nessuna casualità ed è lei che chiede al principe Ramiro di cercarla.

Quante volte hai recitato in quest’opera rossiniana?

Almeno in una ventina di produzioni. Ho interpretato tante volte sia Alidoro che Dandini al Metropolitan di New York, al Covent Garden di Londra ma anche al San Carlo di Napoli. Una volta ho fatto Dandini al Metropolitan con Alessandro Corbelli, il più grande Don Magnifico del Dopoguerra.

Rossini è davvero centrale nei tuoi discorsi e, insieme a Mozart e Donizetti, è predominante nel tuo repertorio.

Direi l’80% del mio curriculum. Tutti e tre sono autori che mi permettono di recitare sul palcoscenico. A loro mi sono avvicinato grazie all’indirizzo dato dai miei maestri; in seguito, dopo le prime esperienze, sono le tue caratteristiche vocali che ti portano verso un repertorio piuttosto che un altro. Spesso per avere una lunga carriera bisogna essere in grado di ascoltare quello che la natura di suggerisce senza forzarla. Quest’anno sono al 29esimo anno di attività, ho avuto la fortuna di lavorare nei più grandi teatri del mondo, e io spero di aver seguito il più possibile questo insegnamento.

Ora non resta che venire a vederti. Dopo quasi due anni di pandemia il pubblico dei teatri si è un po’ disaffezionato: come lo riportiamo in sala?

Ricordandoci dove eravamo un anno fa, un periodo così buio dal quale tutti stiamo cercando faticosamente di uscire. Oltre a un cambio di mentalità, soprattutto in Italia dove l’opera viene ancora vista come uno spettacolo d’élite. Non è così e su questo all’estero sono molto più avanti. Purtroppo questo stereotipo è alimentato anche da un certo atteggiamento dei melomani estremisti che criticano pesantemente spettacoli innovativi, come è successo per il Macbeth all’inaugurazione della Scala. Io credo sia importante proporre opere nuove e non demonizzare quelle di repertorio messe in scena con allestimenti attualizzati: se si fa nel rispetto della musica che problema c’è? L’attualità del sette/ottocento era diversa dalla nostra, ma i temi portati in scena sono ancora attuali, pensiamo a quello della prostituzione in Traviata o al turismo sessuale di Madama Butterfly.

Per chiudere, è vero che da bambino hai cantato nel coro dell’Antoniano?

Non nel coro, ma nelle Verdi Note dove confluiscono i bambini cresciuti nel coro. I miei studi di musica, infatti, hanno avuto inizio con il rock e il pop e la maestra Tania Bellanca che a Bologna è stata anche insegnante di Luca Carboni e grande amica di Lucio Dalla e Ron. Le ultime esibizioni con le Verdi Note le ho fatte quando avevo già debuttato a teatro. Poi all’Antoniano ho anche fatto anche il servizio civile e proprio in quell’anno ricevetti la notizia di aver vinto Operalia, il concorso di Placido Domingo a Città del Messico. Mi lasciarono andare per due settimane e ricordo ancora il titolo di allora de Il Resto del Carlino “Lavora all’Antoniano il basso scelto da Domingo”. C’è un filo che ancora oggi mi lega a quel luogo: proprio all’Antoniano un mese fa abbiamo fatto un Don Giovanni con l’Orchestra Senza Spine molto attiva Bologna per le sue attività che coinvolgono persone diversamente abili.

E alla fine è arrivata la lirica.

Sì grazie al maestro Carlo Meliciani, scomparso la scorsa settimana a 93 anni. Dopo 29 anni di lavoro cerco di trasmettere ai più giovani quello che è stato insegnato a me. Non credo che potrei vivere senza l’opera, non avrebbe nemmeno senso. Anzi, senza di lei la mia vita sarebbe nulla.

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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«Dopo il rock e il pop ho scoperto l’opera. Senza di lei la mia vita sarebbe nulla»

Il basso Simone Alberghini si racconta a poche ore dal debutto di Cenerentola al Teatro Coccia, spettacolo di apertura di stagione. E promette: «Il mio Don Magnifico sarà cattivissimo»

«Dopo il rock e il pop ho scoperto l'opera. Senza di lei la mia vita sarebbe nulla». E poi promette: «Il mio Don Magnifico sarà cattivissimo». Simone Alberghini, basso, bolognese, classe 1973, si racconta a poche ore dal debutto di Cenerentola - in programma questa sera al Teatro Coccia per l’apertura di stagione. Interpreterà il protagonista maschile della storia, Don Magnifico appunto, che rappresenta una sfida vocale e scenica per ogni artista che lo porta sul palco.

«La lunghezza del ruolo di per sé è già una sfida – racconta – oltre al fatto che la parte è molto aggressiva vocalmente con esplosioni di ira che bisogna cercare di tenere sotto controllo, in modo particolare nel quintetto del primo atto. Però provo anche molta soddisfazione: Don Magnifico è il classico basso buffo rossiniano, non richiede tanta agilità, ma precisione per i numerosi sillabati.

Buffo nella tradizione, ma padre padrone nei fatti, denigratorio nei confronti del genere femminile. Credi possa essere appropriato portare in scena un personaggio così?

Penso sia giusto mettere in luce la sua crudeltà per dare poi modo alla bontà di trionfare. Come tutte le storie ci vogliono gli opposti che più sono contrastanti, più il dramma acquista forza e interesse per lo spettatore. Per questo il mio Don Magnifico sarà cattivissimo, soprattutto nei confronti di Cenerentola, e cercherò di mantenerlo vero fino alla fine nonostante i tratti propri della tradizione buffa.

Cenerentola che fa da contraltare al tuo personaggio.

Non solo. Mi piace il fatto che la Cenerentola dell’opera rossiniana, a differenza della favola classica, non sia per nulla remissiva, anzi lotta e prende in mano il suo destino: non c’è nessuna casualità ed è lei che chiede al principe Ramiro di cercarla.

Quante volte hai recitato in quest’opera rossiniana?

Almeno in una ventina di produzioni. Ho interpretato tante volte sia Alidoro che Dandini al Metropolitan di New York, al Covent Garden di Londra ma anche al San Carlo di Napoli. Una volta ho fatto Dandini al Metropolitan con Alessandro Corbelli, il più grande Don Magnifico del Dopoguerra.

Rossini è davvero centrale nei tuoi discorsi e, insieme a Mozart e Donizetti, è predominante nel tuo repertorio.

Direi l’80% del mio curriculum. Tutti e tre sono autori che mi permettono di recitare sul palcoscenico. A loro mi sono avvicinato grazie all’indirizzo dato dai miei maestri; in seguito, dopo le prime esperienze, sono le tue caratteristiche vocali che ti portano verso un repertorio piuttosto che un altro. Spesso per avere una lunga carriera bisogna essere in grado di ascoltare quello che la natura di suggerisce senza forzarla. Quest’anno sono al 29esimo anno di attività, ho avuto la fortuna di lavorare nei più grandi teatri del mondo, e io spero di aver seguito il più possibile questo insegnamento.

Ora non resta che venire a vederti. Dopo quasi due anni di pandemia il pubblico dei teatri si è un po’ disaffezionato: come lo riportiamo in sala?

Ricordandoci dove eravamo un anno fa, un periodo così buio dal quale tutti stiamo cercando faticosamente di uscire. Oltre a un cambio di mentalità, soprattutto in Italia dove l’opera viene ancora vista come uno spettacolo d'élite. Non è così e su questo all’estero sono molto più avanti. Purtroppo questo stereotipo è alimentato anche da un certo atteggiamento dei melomani estremisti che criticano pesantemente spettacoli innovativi, come è successo per il Macbeth all'inaugurazione della Scala. Io credo sia importante proporre opere nuove e non demonizzare quelle di repertorio messe in scena con allestimenti attualizzati: se si fa nel rispetto della musica che problema c’è? L’attualità del sette/ottocento era diversa dalla nostra, ma i temi portati in scena sono ancora attuali, pensiamo a quello della prostituzione in Traviata o al turismo sessuale di Madama Butterfly.

Per chiudere, è vero che da bambino hai cantato nel coro dell’Antoniano?

Non nel coro, ma nelle Verdi Note dove confluiscono i bambini cresciuti nel coro. I miei studi di musica, infatti, hanno avuto inizio con il rock e il pop e la maestra Tania Bellanca che a Bologna è stata anche insegnante di Luca Carboni e grande amica di Lucio Dalla e Ron. Le ultime esibizioni con le Verdi Note le ho fatte quando avevo già debuttato a teatro. Poi all’Antoniano ho anche fatto anche il servizio civile e proprio in quell’anno ricevetti la notizia di aver vinto Operalia, il concorso di Placido Domingo a Città del Messico. Mi lasciarono andare per due settimane e ricordo ancora il titolo di allora de Il Resto del Carlino “Lavora all’Antoniano il basso scelto da Domingo”. C’è un filo che ancora oggi mi lega a quel luogo: proprio all’Antoniano un mese fa abbiamo fatto un Don Giovanni con l’Orchestra Senza Spine molto attiva Bologna per le sue attività che coinvolgono persone diversamente abili.

E alla fine è arrivata la lirica.

Sì grazie al maestro Carlo Meliciani, scomparso la scorsa settimana a 93 anni. Dopo 29 anni di lavoro cerco di trasmettere ai più giovani quello che è stato insegnato a me. Non credo che potrei vivere senza l’opera, non avrebbe nemmeno senso. Anzi, senza di lei la mia vita sarebbe nulla.

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore