“Maldetti cantautori” è, prima di tutto, un libro. Un volume scritto dallo scrittore e performer Nicholas Ciuferri che ripercorre la vita “maledetta” di venti grandi artisti che hanno fatto la storia della musica internazionale.
In poco tempo la proiezione “in carta” di Ciuferri si è “evoluta” in un vero e proprio tour di musica e reading nei maggiori teatri italiani tra cui il Faraggiana. E in occasione della tappa novarese di venerdì 27 maggio alle ore 21 Nicholas Ciuferri verrà affiancato dal cantautore torinese Daniele Celona e il collega novarese Pit Coccato. Celona è un autore musicale, produttore e musicista torinese che negli anni si è fatto conoscere grazie a una musica “materica”, pregna di significati e visceralità. I suoi testi, parafrasando lo stesso Celona, “sono lasciati a mantecare a lungo” e la sua musica, allo stesso modo, riflette un desiderio quasi nucleare di vedere la luce solo nel momento in cui la maturità è raggiunta. Lo abbiamo incontrato a poche ore dal concerto al Faraggiana per sbriciare nel suo mondo musicale e non solo…
Prendi parte a questa “visione” di Ciuferri. Ma sei un po’ “cantautore maledetto”, oppure no?
Leggendo i grandi nomi ripresi da Ciuferri nel suo libro, direi di no, non mi sento di accostarmi a certe grandezze. Tuttavia, da un lato prettamente artistico, si sa: scrivere comporta a conflitti interiori inevitabili, dunque mi sento di risponderti di sì.
I tuoi testi, infatti, sono tremendamente evocativi…
Diciamo che non sono testi riempitivi, buttati lì a caso. MI piace scrivere e farlo bene: quando lo faccio lascio i miei scritti a mantecare a lungo, appunto perchè è un lavoro che richiede tempo e dedizione. Un lavoro di taglio e cucito.
Il tuo è un ritorno a Novara. Ma come nasce questa collaborazione con il cantautore novarese Pit Coccato?
Sì, ho avuto modo di suonare diverse volte a Novara, anche nella splendida cornice del castello Sforzesco, l’anno scorso. Ho fatto anche alcuni secret concert che mi hanno fatto conoscere anche la realtà indipendente novarese.
…ed allora che hai conosciuto il “nostro” Pit Coccato?
No, in realtà no. La nostra collaborazione nasce per vie traverse e grazie a conoscenze comuni. Ci siamo subito trovati musicalmente parlando e ho idea che le nostre strade si incroceranno molto spesso, anche perchè in cantiere ci sono progetti comuni davvero interessanti.
Il tuo ultimo disco, “Abissi tascabili” è datato 2018: hai nuovo materiale in uscita?
Ho tantissimo materiale da parte. Per lo stesso discorso che facevo prima, tendo a centellinare le uscite, sono un po’ “pigro” se vogliamo. Fondamentalmente perché tutto ciò che segue la fase primitiva del mio approccio ai brani è un lavoro di grande impegno, lungo e artificioso. In più è un periodo storico in cui fare uscire un disco con tanti pezzi non ha molto senso per vie delle dinamiche del mercato post pandemia. Ha più senso concentrarsi sui singoli, un po’ come già si faceva negli anni Sessanta. Sto comunque valutando con calma e “testa” come e quando fare uscire il mio nuovo lavoro: non dovrà essere un’uscita giusto per fare due foto da pubblicare sui social, non dovrà essere un’uscita “finta” di “plastica”. Un discorso molto complicato, ma credo altrettanto onesto.
A proposito di post pandemia, da artista, questa lenta ripartenza come la stai vivendo?
La sto vivendo con sollievo, ma innanzitutto da ascoltatore: primi concerti senza mascherine con un po’ di gente affianco mi sono sembrati quasi irreali, ho dovuto riabituarmi all’idea della normalità. Ho apprezzato il poter tornare nei locali piccolini e ascoltare le band locali, insomma l’atmosfera che sento più vicino a me. Mi piace vedere l’impegno di una band misconosciuta, le loro attrezzature, come si approcciano al pubblico, dunque, da ascoltatore, non posso che sentirmi rincuorato da questa nuova ripartenza. Da musicista ti dico che negli ultimi due anni ho comunque suonato in giro per l’Italia in condizioni impossibili pur di suonare, dunque ho toccato con mano le difficoltà che si è portata dietro la pandemia.