Gian Marco Griffi e le sue “Ferrovie del Messico”: «Scrivo per passione e non potrei farne a meno»

Il caso editoriale dell'anno ha già venduto 35mila copie, si è aggiudicato 8 premi letterari e presto potrebbe diventare una serie tv. L'autore Griffi è stato ospite nella biblioteca bellinzaghese dove lo abbiamo incontrato

Gian Marco Griffi, autore di “Ferrovie del Messico”, definisce il suo ultimo lavoro letterario come un romanzo “antimilitarista”. Il libro – ambizioso e corale – edito da Laurana, è stato delineato caso editoriale dell’anno dagli addetti ai lavori e intuirne il motivo viene facile se si considerano i riconoscimenti che si è aggiudicato: semifinalista del Premio Strega 2023,  vincitore del Premio Libro dell’anno di Fahrenheit, Premio Mastercard Letteratura e Premio letterario Mario La Cava 2023. Un libro che ha venduto oltre 35mila copie – ambientato nel ’44 nella Repubblica Sociale e in particolare ad Asti città di origine di Griffi –  in grado di raccogliere numerosi personaggi, intrecci e sfumature e che, nonostante l’impegnativa lunghezza, scorre e si fa leggere senza fatica.

Abbiamo incontrato lo “scrittore del lunedì” – così dice di sè Gian Marco Griffi «perchè in settimana lavoro in un golf club e il lunedì è il mio giorno libero, quello che dedico alla scrittura» – subito dopo la presentazione di venerdì 20 ottobre nella biblioteca di Bellinzago per conoscere più da vicino la sua creazione letteraria.

Più di ottocento pagine, storie che si intrecciano, tanti personaggi: condensiamo in pochi aggettivi questo lavoro che ha saputo attirare l’attenzione.

Molteplice, senz’altro: è un romanzo pieno di cose, di temi, di linguaggi, di persone. Centrifugo: il nucleo iniziale esplode in mille pezzi di un mosaico-mondo, come nel Big Bang. Centripeto: tutti i mille pezzi tornano al centro, si riuniscono e si amalgamano per ricomporre un nuovo mosaico-mondo, simile ma completamente diverso da quello iniziale, ossia trasfigurato dalla mia lingua, dalla mia sensibilità, dal mio disincanto e dalla mia visione del mondo. Fondamentalmente scrivere è intraprendere questo processo. Talvolta si riesce a proporre una nuova visione soddisfacente del mosaico-mondo, altre volte no. Ma la scrittura è il tentativo di ordinare, o meglio riordinare, il mondo esterno e il mondo interiore.

Ha definito il suo romanzo “antimilitarista”. Le va di spiegarci il perché?

Rispondo così. A un certo punto Ennio e Pietro, due tra i tanti personaggi del romanzo, due militi della Guardia nazionale repubblicana di frontiera – la cosiddetta Confinaria -, dopo aver disertato, essere fuggiti in Svizzera ed essere tornati in Italia attratti da un richiamo quasi ancestrale, il richiamo della propria terra devastata e depredata da una forza straniera, hanno questo scambio di battute: “la seconda notte tornammo a seppellire i fucili. Era una notte alpina scura d’ombre giganti e luminosa di Via Lattea. Avevo i muscoli indolenziti e mi stavano uscendo i calli sulle mani. Ennio mi guardò scavare una fossa sempre più profonda. Disse di smettere, che la buca era sufficiente. Dissi no. Dissi che avrei scavato una fossa grande come tutta la catena alpina e profonda come l’inferno, pur di seppellire tutti i fucili del mondo. E le pistole? domandò. Anche le pistole, dissi. E i carrarmati, i cannoni, i pugnali, le baionette e le bombe a mano? Anche, dissi. Disse che se anche avessimo scavato una fossa tanto grande da poterci seppellire tutte le armi conosciute, dalle clave ai bombardieri americani, gli uomini avrebbero fatto la guerra lo stesso. Disse che per ammazzarsi avrebbero usato le forchette e le zappe, i forconi per il fieno e gli uncinetti delle donne, le canne delle biciclette e i turiboli dei preti”. Aveva ragione.

Caso e destino. Entrambi sorreggono le plurime trame di questo “librone”. E’ affascinato dall’idea che ci sia un piano già scritto per tutti?

Non mi piace per niente. Il futuro non è scritto, per citare Joe Strummer. Sono convinto che l’essere umano determini il proprio destino di scelta in scelta. Semmai potrebbero esistere infiniti futuri, infiniti mondi, e l’esistenza umana, come ricordano Lito e Mec (i due becchini-custodi dell’enorme e terribile cimitero di San Rocco n.d.r) citando Borges, potrebbe essere un intricatissimo giardino dei sentieri che si biforcano: a ogni nostra decisione, ogni volta che compiamo un’azione, che pronunciamo una parola, che agiamo o non agiamo, si crea una linea temporale diversa, un futuro differente. 

Nel suo romanzo ci si imbatte in numerosi personaggi – ne ha uno che le sta più a cuore? Provo a indovinare: è per caso Tilde?

Di Tilde sono innamorato per la sua forza surreale, trasognante, per la sua ribellione nei confronti dell’autorità. In Cesco, nelle sue umane debolezze e nel suo mal di vivere mi ritrovo. Lito è il personaggio che mi sono divertito di più a portare in scena, la sua voce, la sua presenza, mi hanno coinvolto.

Scrive di Messico senza esserci mai stato un po’ come faceva Salgari con le sue avventure: ha mai pensato – ovviamente di lunedì – di farci un salto adesso e fare i conti con la realtà?

Non ci sono mai stato e mi sono costruito un Messico della mente, ma a differenza di Salgari io avevo molti elementi in più per farmi un’idea del Messico: in primis la letteratura, soprattutto coi due folgoranti libri di Juan Rulfo, “La pianura in fiamme” e “Pedro Paramo”, e poi ancora Bolaño, e soprattutto il romanzo “Sotto il vulcano”, uno dei romanzi del mio cuor, di Malcolm Lowry. E poi naturalmente mi sono documentato, ho studiato e fatto i compiti. Sono riuscito a pescare due pazzi che quindici anni fa hanno preso un’automobile, gli hanno montato delle ruote da treno e hanno scorrazzato per diecimila chilometri sulle linee ferroviarie messicane abbandonate – e raccontavano questa loro esperienza agli alunni delle scuole elementari-. Sono riuscito a contattarli, e hanno condiviso con me il loro viaggio. La loro esperienza mi è stata d’ispirazione per creare il personaggio di Gustavo Baz, il giornalista che gira le ferrovie messicane raccontando avventure ferroviarie mirabolanti agli alunni delle scuole, va alla ricerca del padre che lo ha abbandonato e scrive il libro che diventa il Santo Graal di “Ferrovie del Messico”, il principale oggetto della ricerca di Cesco Magetti, la “Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México”.

Ha sfiorato il Premio Strega: parlando di eventi che possono cambiare la vita, pensa che è stato a un passo dallo stravolgimento più totale?

“Ferrovie del Messico” ha vinto otto premi letterari, tra i quali il premio Mastercard Letteratura e il libro dell’anno di Fahrenheit, ha venduto 35mila copie, è stato recensito mille volte, ne hanno parlato ovunque, ne hanno scritto ovunque, è stato amato da persone agli opposti, che so, da Barbero e da Jovanotti, mi hanno dedicato servizi sulla Rai, su tutti i quotidiani nazionali, sulle riviste settimanali, ho ricevuto proposte da quindici editori per pubblicare i miei prossimi romanzi, ad Asti mi fermano per la strada, mi hanno invitato a presentarlo ovunque, in Italia e all’estero, mi chiedono racconti e storie, il romanzo sarà tradotto in Francia, Germania, Catalogna, Cechia, e tanto altro che dimentico; la mia vita è (sarebbe) già stata cambiata e stravolta profondamente, lo Strega è stato un bel gioco finché è durato, ma è stato soltanto un pezzettino dell’avventura splendida di questo romanzo. Ho scritto sarebbe perché in realtà non ho permesso che si verificasse un vero e proprio cambiamento sostanziale della mia vita, né lo permetterò in futuro: va bene la sbornia, ma continuo e continuerò a scrivere per passione, per passatempo, ho il mio bravo lavoro da direttore di un circolo di golf e me lo tengo, anche se mi fa incazzare, disperare, anche se mi stressa e lo maledico un giorno sì e uno no, come tutti, come con tutti i lavori. Ma questa è la mia vita, la scrittura è una parte fondamentale, talvolta totalizzante, ma deve restare un gioco bellissimo, fatto s’intende con la massima professionalità, come se facessi lo scrittore professionista, e invece resto e resterò uno scrittore del lunedì.  

Sogniamo un po’: Ferrovie del Messico sbarca al cinema, ma è lei che deve scegliere regista e protagonisti.

Qui c’è poco da sognare, perché siamo in trattativa per farne una serie tv. Per cui il sogno potrebbe diventare realtà. Per quanto riguarda gli attori, non saprei proprio. Un attore che si è innamorato delle Ferrovie è Lino Guanciale, ne ha parlato e scritto spesso, mi ha scritto, gli piacerebbe fare qualcosa, magari ringiovanendolo un po’ potrebbe interpretare Cesco Magetti. Lito è veneto, mi piacerebbe che lo interpretasse Andrea Pennacchi; Tilde è troppo difficile, e francamente non conosco così bene le attrici italiane ventenni o poco più. 

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Gian Marco Griffi e le sue “Ferrovie del Messico”: «Scrivo per passione e non potrei farne a meno»

Il caso editoriale dell’anno ha già venduto 35mila copie, si è aggiudicato 8 premi letterari e presto potrebbe diventare una serie tv. L’autore Griffi è stato ospite nella biblioteca bellinzaghese dove lo abbiamo incontrato

Gian Marco Griffi, autore di “Ferrovie del Messico”, definisce il suo ultimo lavoro letterario come un romanzo “antimilitarista”. Il libro – ambizioso e corale – edito da Laurana, è stato delineato caso editoriale dell’anno dagli addetti ai lavori e intuirne il motivo viene facile se si considerano i riconoscimenti che si è aggiudicato: semifinalista del Premio Strega 2023,  vincitore del Premio Libro dell’anno di Fahrenheit, Premio Mastercard Letteratura e Premio letterario Mario La Cava 2023. Un libro che ha venduto oltre 35mila copie – ambientato nel ’44 nella Repubblica Sociale e in particolare ad Asti città di origine di Griffi –  in grado di raccogliere numerosi personaggi, intrecci e sfumature e che, nonostante l’impegnativa lunghezza, scorre e si fa leggere senza fatica.

Abbiamo incontrato lo “scrittore del lunedì” – così dice di sè Gian Marco Griffi «perchè in settimana lavoro in un golf club e il lunedì è il mio giorno libero, quello che dedico alla scrittura» – subito dopo la presentazione di venerdì 20 ottobre nella biblioteca di Bellinzago per conoscere più da vicino la sua creazione letteraria.

Più di ottocento pagine, storie che si intrecciano, tanti personaggi: condensiamo in pochi aggettivi questo lavoro che ha saputo attirare l’attenzione.

Molteplice, senz’altro: è un romanzo pieno di cose, di temi, di linguaggi, di persone. Centrifugo: il nucleo iniziale esplode in mille pezzi di un mosaico-mondo, come nel Big Bang. Centripeto: tutti i mille pezzi tornano al centro, si riuniscono e si amalgamano per ricomporre un nuovo mosaico-mondo, simile ma completamente diverso da quello iniziale, ossia trasfigurato dalla mia lingua, dalla mia sensibilità, dal mio disincanto e dalla mia visione del mondo. Fondamentalmente scrivere è intraprendere questo processo. Talvolta si riesce a proporre una nuova visione soddisfacente del mosaico-mondo, altre volte no. Ma la scrittura è il tentativo di ordinare, o meglio riordinare, il mondo esterno e il mondo interiore.

Ha definito il suo romanzo “antimilitarista”. Le va di spiegarci il perché?

Rispondo così. A un certo punto Ennio e Pietro, due tra i tanti personaggi del romanzo, due militi della Guardia nazionale repubblicana di frontiera – la cosiddetta Confinaria -, dopo aver disertato, essere fuggiti in Svizzera ed essere tornati in Italia attratti da un richiamo quasi ancestrale, il richiamo della propria terra devastata e depredata da una forza straniera, hanno questo scambio di battute: “la seconda notte tornammo a seppellire i fucili. Era una notte alpina scura d’ombre giganti e luminosa di Via Lattea. Avevo i muscoli indolenziti e mi stavano uscendo i calli sulle mani. Ennio mi guardò scavare una fossa sempre più profonda. Disse di smettere, che la buca era sufficiente. Dissi no. Dissi che avrei scavato una fossa grande come tutta la catena alpina e profonda come l’inferno, pur di seppellire tutti i fucili del mondo. E le pistole? domandò. Anche le pistole, dissi. E i carrarmati, i cannoni, i pugnali, le baionette e le bombe a mano? Anche, dissi. Disse che se anche avessimo scavato una fossa tanto grande da poterci seppellire tutte le armi conosciute, dalle clave ai bombardieri americani, gli uomini avrebbero fatto la guerra lo stesso. Disse che per ammazzarsi avrebbero usato le forchette e le zappe, i forconi per il fieno e gli uncinetti delle donne, le canne delle biciclette e i turiboli dei preti”. Aveva ragione.

Caso e destino. Entrambi sorreggono le plurime trame di questo “librone”. E’ affascinato dall’idea che ci sia un piano già scritto per tutti?

Non mi piace per niente. Il futuro non è scritto, per citare Joe Strummer. Sono convinto che l’essere umano determini il proprio destino di scelta in scelta. Semmai potrebbero esistere infiniti futuri, infiniti mondi, e l’esistenza umana, come ricordano Lito e Mec (i due becchini-custodi dell’enorme e terribile cimitero di San Rocco n.d.r) citando Borges, potrebbe essere un intricatissimo giardino dei sentieri che si biforcano: a ogni nostra decisione, ogni volta che compiamo un’azione, che pronunciamo una parola, che agiamo o non agiamo, si crea una linea temporale diversa, un futuro differente. 

Nel suo romanzo ci si imbatte in numerosi personaggi – ne ha uno che le sta più a cuore? Provo a indovinare: è per caso Tilde?

Di Tilde sono innamorato per la sua forza surreale, trasognante, per la sua ribellione nei confronti dell’autorità. In Cesco, nelle sue umane debolezze e nel suo mal di vivere mi ritrovo. Lito è il personaggio che mi sono divertito di più a portare in scena, la sua voce, la sua presenza, mi hanno coinvolto.

Scrive di Messico senza esserci mai stato un po’ come faceva Salgari con le sue avventure: ha mai pensato – ovviamente di lunedì – di farci un salto adesso e fare i conti con la realtà?

Non ci sono mai stato e mi sono costruito un Messico della mente, ma a differenza di Salgari io avevo molti elementi in più per farmi un’idea del Messico: in primis la letteratura, soprattutto coi due folgoranti libri di Juan Rulfo, “La pianura in fiamme” e “Pedro Paramo”, e poi ancora Bolaño, e soprattutto il romanzo “Sotto il vulcano”, uno dei romanzi del mio cuor, di Malcolm Lowry. E poi naturalmente mi sono documentato, ho studiato e fatto i compiti. Sono riuscito a pescare due pazzi che quindici anni fa hanno preso un’automobile, gli hanno montato delle ruote da treno e hanno scorrazzato per diecimila chilometri sulle linee ferroviarie messicane abbandonate – e raccontavano questa loro esperienza agli alunni delle scuole elementari-. Sono riuscito a contattarli, e hanno condiviso con me il loro viaggio. La loro esperienza mi è stata d’ispirazione per creare il personaggio di Gustavo Baz, il giornalista che gira le ferrovie messicane raccontando avventure ferroviarie mirabolanti agli alunni delle scuole, va alla ricerca del padre che lo ha abbandonato e scrive il libro che diventa il Santo Graal di “Ferrovie del Messico”, il principale oggetto della ricerca di Cesco Magetti, la “Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México”.

Ha sfiorato il Premio Strega: parlando di eventi che possono cambiare la vita, pensa che è stato a un passo dallo stravolgimento più totale?

“Ferrovie del Messico” ha vinto otto premi letterari, tra i quali il premio Mastercard Letteratura e il libro dell’anno di Fahrenheit, ha venduto 35mila copie, è stato recensito mille volte, ne hanno parlato ovunque, ne hanno scritto ovunque, è stato amato da persone agli opposti, che so, da Barbero e da Jovanotti, mi hanno dedicato servizi sulla Rai, su tutti i quotidiani nazionali, sulle riviste settimanali, ho ricevuto proposte da quindici editori per pubblicare i miei prossimi romanzi, ad Asti mi fermano per la strada, mi hanno invitato a presentarlo ovunque, in Italia e all’estero, mi chiedono racconti e storie, il romanzo sarà tradotto in Francia, Germania, Catalogna, Cechia, e tanto altro che dimentico; la mia vita è (sarebbe) già stata cambiata e stravolta profondamente, lo Strega è stato un bel gioco finché è durato, ma è stato soltanto un pezzettino dell’avventura splendida di questo romanzo. Ho scritto sarebbe perché in realtà non ho permesso che si verificasse un vero e proprio cambiamento sostanziale della mia vita, né lo permetterò in futuro: va bene la sbornia, ma continuo e continuerò a scrivere per passione, per passatempo, ho il mio bravo lavoro da direttore di un circolo di golf e me lo tengo, anche se mi fa incazzare, disperare, anche se mi stressa e lo maledico un giorno sì e uno no, come tutti, come con tutti i lavori. Ma questa è la mia vita, la scrittura è una parte fondamentale, talvolta totalizzante, ma deve restare un gioco bellissimo, fatto s’intende con la massima professionalità, come se facessi lo scrittore professionista, e invece resto e resterò uno scrittore del lunedì.  

Sogniamo un po’: Ferrovie del Messico sbarca al cinema, ma è lei che deve scegliere regista e protagonisti.

Qui c’è poco da sognare, perché siamo in trattativa per farne una serie tv. Per cui il sogno potrebbe diventare realtà. Per quanto riguarda gli attori, non saprei proprio. Un attore che si è innamorato delle Ferrovie è Lino Guanciale, ne ha parlato e scritto spesso, mi ha scritto, gli piacerebbe fare qualcosa, magari ringiovanendolo un po’ potrebbe interpretare Cesco Magetti. Lito è veneto, mi piacerebbe che lo interpretasse Andrea Pennacchi; Tilde è troppo difficile, e francamente non conosco così bene le attrici italiane ventenni o poco più. 

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