Quando c’è fretta, troppa, allora si perdono i dettagli. Si perde il piacere di rigirarsi in bocca i sapori, di guardarsi attorno o peggio, il gusto di fermarsi un attimo ad ascoltare. Questo è il guaio di una società che corre veloce: ha smarrito la bellezza e l’importanza dell’ascolto. Eppure, di motivi per rallentare ce ne sarebbero molti. Un esempio? Un buon disco, meglio se ascoltato in macchina, fermi in un parcheggio nel mezzo di una nottata senza troppe pretese.
Questa premessa è d’obbligo se ci si affaccia all’universo musicale del trecatese Andrea Camatarri, aka Kamahatma, sì perché la sua creatura è fatta di pause, di ascolto e tanta, ma tanta sostanza. I testi, mai banali, prendono spunto dalla vita di provincia e la musica è contagiosa e tentacolare. Lo abbiamo incontrato e nell’intervista che segue, il musicista novarese, ci ha spiegato di come un bisbiglio può diventare musica.
Partiamo dal tuo nome d’arte, ha qualche significato particolare?
Il mio soprannome, da quando ero alle medie, è sempre stato Kama. Poi ho scoperto che in sanscrito significa “amore”, mentre Atman significa “anima”. Il mio nome letteralmente significa anima innamorata. In un panorama musicale sempre più veloce e superficiale, mi piaceva scegliere un nome che avesse un significato, anche se non è proprio immediato.
Qual è il tuo approccio alla musica e come nascono i tuoi brani?
Kamahatma nasce nelle pause caffè di una azienda chimica, cresce grazie alla monotonia ed esplode in tutti i momenti liberi in cui a disposizione c’è una chitarra. Kamahatma è musica da cameretta. Una dodici corde che bisbiglia o un microfono con un costante fruscio di sottofondo, nella profonda provincia dove la nebbia e le risaie rendono le giornate tutte uguali. Amori di provincia, speranze e sogni, con un crudo realismo sullo sfondo.
Sei legato al territorio novarese, nei testi citi, per esempio, il Ticino e nei tuoi video non ti allontani troppo da qui. Questioni di radici?
Radici ancorate nella labirintica provincia. A volte più cerchi di fuggire, e più ti ritrovi al centro del ciclone. È una sorta di amore/odio. Io mi sento molto legato al territorio grazie agli amici di sempre. Come si dice? Del paradiso mi piace il clima, della provincia mi piace la compagnia.
A proposito di territorio: quali sono secondo te le difficoltà di fare musica, Covid a parte, nel nostro territorio?
Ci sono città, in Italia, in cui lo scambio di idee tra persone avviene in maniera più fluida. In queste zone si fa fatica a creare un collettivo, una band o un progetto artistico in generale. È faticoso, perché non ci sono centri di aggregazione, su questo siamo rimasti un po’ indietro. È solo questione di tempo, ci sono tante associazioni e tante persone che, appena le restrizioni spariranno, riempiranno i loro cartelloni con molti eventi.
Ci sveli i progetti musicali di Kamahatma?
È appena uscito il video di “Karaoke”, girato da Roberta Marangon. Dal 2020 ho fatto uscire una seria di singoli e un EP (“Immobile”), con sonorità indie. Il 2022 sarà l’anno del folk: tematiche e sonorità differenti. Chi scrive la propria musica deve sempre poter avere la libertà di cambiare. Presto uscirà un album folk.
Dove ti immagini fra cinque anni, musicalmente parlando?
Fare musica è il mio lavoro. Ho fatto il tecnico e il manutentore per molti anni, ma adesso comporre canzoni è ciò che tiene occupata la mia giornata. Tra cinque anni vorrei avere degli introiti che mi permettano di vivere la mia vita, senza dover accettare il compromesso di un’esistenza stabile ma noiosa. L’ho già provata e non fa per me.