Il Teatro Coccia porta in scena La Bohème e segna il primo passo per l’inaugurazione dell’anno pucciniano tanto atteso per il 2024. Tre i titoli in cartellone: Madama Butterfly per l’apertura di stagione, in programma il 19 gennaio, poi La Rondine e Gianni Schicchi.
Per Bohème, l’allestimento del Teatro del Giglio di Lucca porta la firma del regista Marco Gandini, tra i più esperti del capolavoro di Puccini, che ha portato in giro per il mondo lo storico allestimento di Franco Zeffirelli. Come promesso dallo stesso Gandini, le scelte sono aderenti al testo, senza sbavature o passi falsi, elementi di una classicità non scontata che per Bohème è garanzia di successo.
Le scene di Italo Grassi sono coerenti con il fluire della melodia pucciniana che si ripete da un atto all’altro: un impianto scenico modulabile e mobile ben costruito, dalla soffitta al Quartiere latino fino alla suggestiva nevicata alla Barriera d’Enfer. Un ondeggiare che ben si nota tra il primo e il quarto: la soffitta è la stessa, ma più spoglia, sinonimo di realismo e concretezza, dove gli entusiasmi dei giovani artisti si dissolvono fino all’irrimediabile finale di un destino troppo severo.
Anche i costumi di Anna Biagiotti rispecchiano le scelte registiche, dai colori sobri e dalle forme tradizionali, con qualche nota di attualità.
Un cast di buon valore dal quale spiccano senza ombra di dubbio le due voci femminili: Valentina Mastrangelo, nel debutto di Mimì, dimostra un timbro limpido sia nelle note acute che in quelle più gravi. Con il “Sì, mi chiamano Mimì” guadagna un lungo applauso del pubblico che interrompe la scena per qualche minuto, poi in un crescendo sempre più netto fino al culmine di un “Donde lieta uscì” quasi perfetto. Spazi di miglioramento per quanto riguarda la presenza scenica. Pregevole anche la giovanissima Eleonora Boaretto, alla sua prima Musetta, in grado di farsi notare sia vocalmente che scenicamente, in particolare nel “Quando me n’vo” deciso e ben equilibrato.
Il tenore Mario Rojas (Rodolfo) inizia molto sottotono: la sua “Che gelida manina” presenta numerose incertezze, soprattutto in acuto, tanto da finire quasi strozzato. La situazione, comunque, migliora nel prosieguo dell’opera, in particolare nei duetti con Mimì. Insomma, il timbro c’è ma c’è anche molto lavoro da fare.
Simone Alberghini è il Marcello che ci si aspetta: domina la scena senza esitazioni e musicalmente regala al pubblico una notevole interpretazione baritonale nonostante la sua vocalità sia quella del basso-baritono. Ogni volta una certezza.
Da segnalare lo Schaunard molto buono di Italo Proferisce e il Colline di Abramo Rosalen: vale la pena attendere fino la fine per beneficiare di una ben definita “Vecchia zimarra” che gli frutta un meritato applauso.
Completano il cast Matteo Mollica con due divertenti Benoit e Alcindoro e Zheng Hui nella parte di Parpignol. Menzione speciale per la voce bianca del piccolo Michelangelo Micanti e la sua tenerissima “Vo’ la tromba, il cavallin”.
Nonostante in un paio di momenti nel primo e nel quarto atto le voci siano state coperte dalla musica, la direzione di Josè Luis Gomez è decisa e attenta, in particolare nel secondo atto dove il Maestro deve tenere sotto controllo, oltre che l’Orchestra filarmonica italiana, anche il coro As.Li.Co. diretto da Massimo Fiocchi Malaspina, il coro di voci bianche del Teatro sociale di Como, i musicanti della Banda filarmonica di Oleggio e i solisti. Il sudore copioso chiaramente percepibile sul suo volto è il segno di un impegno studiato in ogni singolo dettaglio che rende al pubblico un’interpretazione suggestiva e toccante.
Un’operazione nel complesso ben riuscita, nel segno di quel rilancio d’immagine del Teatro Coccia tanto auspicato dal presidente della Fondazione, Fabio Ravanelli.
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Credit Mario Finotti
Una risposta
Concordo con la vostra critica: la musica ha soffocato le voci ed è stato un peccato.