La cultura in Piemonte perde 50 milioni di euro. Il conto salato del Covid-19

La cultura in Piemonte perde 50 milioni di euro. Il conto salato del Covid-19. Un’indagine condotta dall’Osservatorio Culturale del Piemonte, che confronta i dati del 2020 con lo stesso periodo 2019, parla chiaro: a fine maggio si stimano 50 milioni di euro di mancati incassi per musei, spettacolo dal vivo e cinema. Considerando il paesaggio allargato delle attività culturali, gli operatori e le imprese che si occupano di produzione di attività culturali, le perdite stimate nel primo semestre superano la soglia dei 100 milioni. Un momento difficile per un comparto già fragile come quello culturale.

L’Osservatorio Culturale ha predisposto un monitoraggio rivolto agli operatori e alle organizzazioni del comparto presenti sul territorio regionale dividendo lo studio in 3 fasi di rilevazione dei dati che hanno seguito temporalmente le disposizioni ministeriali. Hanno preso parte alle tre fasi di rilevazione 958 soggetti attivi (operatori dello spettacolo dal vivo, musei e beni culturali, organizzazioni impegnate in eventi, biblioteche e archivi, centri culturali, imprese culturali ed erogatori di servizi al comparto). Un campione confrontabile di 246 soggetti su 958 ha aderito almeno alla seconda e alla terza fase, consentendo di tracciare l’evoluzione delle difficoltà e di operare un raffronto tra i vari periodi di rilevazione. In base alle risposte fornite esclusivamente dai soggetti rispondenti, le perdite dichiarate ammontano a circa 36 milioni di euro, di questi 23,4 milioni (oltre il 65% del totale) sono riconducibili al campione confrontabile. Pesano sulle casse delle organizzazioni non solo le entrate mancate ma anche i costi sostenuti durante il periodo di chiusura e sospensione delle attività: 16 milioni di euro (11,3 dei quali riferiti al solo campione confrontabile). Le cifre maggiori sono riconducibili al patrimonio, ovvero ai musei e beni culturali (il costo medio sostenuto ammonta a circa 125.000 euro).

 

 

La stima delle perdite economiche nei primi sei mesi del 2020

Si stimano in circa 50 milioni di euro i mancati incassi di tre comparti dell’offerta culturale regionale: i musei perdono tra i 19 e i 20 milioni di euro, ripartiti in una cifra attorno ai 14 milioni per la sola città di Torino e attorno ai 6 milioni per tutto il resto della regione. Per lo spettacolo dal vivo la perdita è stimata attorno ai 17,5 milioni (1,5 da servizi non effettuati come laboratori, didattica, affitti, service a manifestazioni ecc. mentre i restanti 16 milioni da mancati incassi da biglietteria, da ripartirsi in una quota attorno al 75% per la città di Torino e i rimanenti 4 milioni per il territorio regionale). Una forte variabilità nella cifra complessiva è relativa, anno per anno, ai grandi concerti pop che rappresentano macchine economiche di forte impatto. Inoltre, la stima sulle perdite del primo semestre non comprende la stagione estiva, ricca di eventi ma soprattutto di festival che intersecano i diversi settori, musica di generi differenti, teatro, danza, cinema. Il cinema registra una perdita di 13,5 milioni di euro, se si tiene conto della media di incassi negli ultimi 5 anni, suddivisibili in circa 5,5 milioni per Torino e 8 milioni per il territorio regionale.

In questo conteggio non rientrano i contratti per forniture esterne che musei e organizzazioni di spettacolo dal vivo hanno interrotto verso le cooperative, le imprese di pulizie, i servizi didattici, tutte risorse che vengono a mancare all’insieme del comparto culturale e al suo indotto. Vanno aggiunti al conteggio anche gli operatori e le imprese che si occupano della produzione di attività culturali, dagli eventi all’organizzazione di mostre, alla valorizzazione dei beni culturali e del comparto che viene compreso nel termine imprese culturali e creative. Considerando l’intero paesaggio, il computo delle perdite si estende ed emerge con evidenza come nel primo semestre si possa considerare già superata la soglia dei 100 milioni di euro.

Il lavoro culturale e l’emergenza degli invisibili

Il comparto culturale vede tra le fila dei propri lavoratori una forte presenza di soggetti non inquadrati nei contratti di dipendenza. Oltre alle partite Iva, i Co.Co.Co., ma anche lavoratori intermittenti (soprattutto dello Spettacolo Dal Vivo) con forme contrattuali che non permettono, nella gran parte dei casi, di essere inclusi nella platea dei destinatari di possibili sussidi. Lavoratori inquadrati, titolari di contratti regolari, che pagano tasse e contributi ma invisibili ai database degli istituti nazionali al momento di erogare forme di sussidio e aiuto, che si stima prossimo alle 300 mila unità  a livello nazionale.

Cosa è stato fatto in digitale durante il lockdown

Nonostante le difficoltà, durante il lockdown le organizzazioni culturali hanno manifestato un comportamento reattivo per riaffermare la propria presenza in modo alternativo attraverso strumenti digitali e canali social. Dai questionari compilati risulta che il 64% ha avviato iniziative, progettato o ideato contenuti per compensare la chiusura dei siti con un rapporto almeno virtuale con i propri pubblici. Una quota pari al 20% del totale ha prodotto contenuti nuovi espressamente progettati per il web, mentre per la maggioranza dei soggetti si è trattato di “spostare in rete” materiali già disponibili in formato digitale. Si evidenzia un balzo in avanti nell’uso del digitale e l’85% dei rispondenti ha reso disponibili le offerte digitali in maniera completamente gratuita.

Vale la pena sottolineare anche l’importante ruolo dell’offerta digitale nel caso delle biblioteche: la stima di 220 mila prestiti mancati viene attenuata dal potenziamento dei servizi digitali presenti già prima del lockdown e offerti attraverso la piattaforma di MLOL: nei sistemi bibliotecari piemontesi in cui è attivo il servizio gli accessi nei mesi da marzo a giugno sono raddoppiati, tanto che nel primo semestre del 2020 sono stati quasi raggiunti gli accessi di tutto il 2019. Simile la crescita dei prestiti di e-book che nel 2019 sono stati circa 62 mila e nei primi 5 mesi del 2020 poco meno di 52 mila. Le consultazioni dei quotidiani e delle riviste in tutto il 2019 sono state di 1,3 milioni mentre alla fine di maggio 2020 erano poco meno di 1,1 milioni.

La sfida per il futuro e il compito della cultura

Oggi la cultura si trova a fare i conti con i costi del distanziamento sociale e le limitazioni che abbassano le soglie di pubblico in moltissimi casi ben al di sotto delle soglie di sostenibilità economica. Molte istituzioni e organizzazioni culturali dovranno ripensare da zero le forme di sostenibilità e ri-inventare nuovi business model. Come afferma Luca Dal Pozzolo, Direttore dell’Osservatorio Culturale del Piemonte: «Pensare a un pubblico più che dimezzato, non significa un automatismo nel chiedere più soldi allo Stato per ripianare le perdite, indipendentemente dalla natura dell’organizzazione, ma implica trovare un altro modello di sostenibilità, economica, sociale e culturale e ripensare completamente la propria missione. Il pubblico nelle sale non significa solo euro nelle biglietterie, ma è anche l’indicatore di come le risorse – e specie quelle pubbliche – vengano distribuite nel corpo sociale. La conquista del più vasto pubblico possibile è un compito etico delle istituzioni, oltre a essere l’indicatore dell’efficacia della redistribuzione delle risorse pubbliche nella società. Un’offerta culturale costretta entro dimensioni di pubblico ridotte al limite dell’elitario, deve necessariamente pensare a un diverso modo di diffondere la propria produzione culturale, se vuole mantenere margini di legittimazione sociale per la propria spesa e per la quota di parte pubblica».

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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La cultura in Piemonte perde 50 milioni di euro. Il conto salato del Covid-19. Un'indagine condotta dall'Osservatorio Culturale del Piemonte, che confronta i dati del 2020 con lo stesso periodo 2019, parla chiaro: a fine maggio si stimano 50 milioni di euro di mancati incassi per musei, spettacolo dal vivo e cinema. Considerando il paesaggio allargato delle attività culturali, gli operatori e le imprese che si occupano di produzione di attività culturali, le perdite stimate nel primo semestre superano la soglia dei 100 milioni. Un momento difficile per un comparto già fragile come quello culturale. L'Osservatorio Culturale ha predisposto un monitoraggio rivolto agli operatori e alle organizzazioni del comparto presenti sul territorio regionale dividendo lo studio in 3 fasi di rilevazione dei dati che hanno seguito temporalmente le disposizioni ministeriali. Hanno preso parte alle tre fasi di rilevazione 958 soggetti attivi (operatori dello spettacolo dal vivo, musei e beni culturali, organizzazioni impegnate in eventi, biblioteche e archivi, centri culturali, imprese culturali ed erogatori di servizi al comparto). Un campione confrontabile di 246 soggetti su 958 ha aderito almeno alla seconda e alla terza fase, consentendo di tracciare l’evoluzione delle difficoltà e di operare un raffronto tra i vari periodi di rilevazione. In base alle risposte fornite esclusivamente dai soggetti rispondenti, le perdite dichiarate ammontano a circa 36 milioni di euro, di questi 23,4 milioni (oltre il 65% del totale) sono riconducibili al campione confrontabile. Pesano sulle casse delle organizzazioni non solo le entrate mancate ma anche i costi sostenuti durante il periodo di chiusura e sospensione delle attività: 16 milioni di euro (11,3 dei quali riferiti al solo campione confrontabile). Le cifre maggiori sono riconducibili al patrimonio, ovvero ai musei e beni culturali (il costo medio sostenuto ammonta a circa 125.000 euro).     La stima delle perdite economiche nei primi sei mesi del 2020 Si stimano in circa 50 milioni di euro i mancati incassi di tre comparti dell’offerta culturale regionale: i musei perdono tra i 19 e i 20 milioni di euro, ripartiti in una cifra attorno ai 14 milioni per la sola città di Torino e attorno ai 6 milioni per tutto il resto della regione. Per lo spettacolo dal vivo la perdita è stimata attorno ai 17,5 milioni (1,5 da servizi non effettuati come laboratori, didattica, affitti, service a manifestazioni ecc. mentre i restanti 16 milioni da mancati incassi da biglietteria, da ripartirsi in una quota attorno al 75% per la città di Torino e i rimanenti 4 milioni per il territorio regionale). Una forte variabilità nella cifra complessiva è relativa, anno per anno, ai grandi concerti pop che rappresentano macchine economiche di forte impatto. Inoltre, la stima sulle perdite del primo semestre non comprende la stagione estiva, ricca di eventi ma soprattutto di festival che intersecano i diversi settori, musica di generi differenti, teatro, danza, cinema. Il cinema registra una perdita di 13,5 milioni di euro, se si tiene conto della media di incassi negli ultimi 5 anni, suddivisibili in circa 5,5 milioni per Torino e 8 milioni per il territorio regionale. In questo conteggio non rientrano i contratti per forniture esterne che musei e organizzazioni di spettacolo dal vivo hanno interrotto verso le cooperative, le imprese di pulizie, i servizi didattici, tutte risorse che vengono a mancare all’insieme del comparto culturale e al suo indotto. Vanno aggiunti al conteggio anche gli operatori e le imprese che si occupano della produzione di attività culturali, dagli eventi all’organizzazione di mostre, alla valorizzazione dei beni culturali e del comparto che viene compreso nel termine imprese culturali e creative. Considerando l'intero paesaggio, il computo delle perdite si estende ed emerge con evidenza come nel primo semestre si possa considerare già superata la soglia dei 100 milioni di euro. Il lavoro culturale e l'emergenza degli invisibili Il comparto culturale vede tra le fila dei propri lavoratori una forte presenza di soggetti non inquadrati nei contratti di dipendenza. Oltre alle partite Iva, i Co.Co.Co., ma anche lavoratori intermittenti (soprattutto dello Spettacolo Dal Vivo) con forme contrattuali che non permettono, nella gran parte dei casi, di essere inclusi nella platea dei destinatari di possibili sussidi. Lavoratori inquadrati, titolari di contratti regolari, che pagano tasse e contributi ma invisibili ai database degli istituti nazionali al momento di erogare forme di sussidio e aiuto, che si stima prossimo alle 300 mila unità  a livello nazionale. Cosa è stato fatto in digitale durante il lockdown Nonostante le difficoltà, durante il lockdown le organizzazioni culturali hanno manifestato un comportamento reattivo per riaffermare la propria presenza in modo alternativo attraverso strumenti digitali e canali social. Dai questionari compilati risulta che il 64% ha avviato iniziative, progettato o ideato contenuti per compensare la chiusura dei siti con un rapporto almeno virtuale con i propri pubblici. Una quota pari al 20% del totale ha prodotto contenuti nuovi espressamente progettati per il web, mentre per la maggioranza dei soggetti si è trattato di “spostare in rete” materiali già disponibili in formato digitale. Si evidenzia un balzo in avanti nell’uso del digitale e l’85% dei rispondenti ha reso disponibili le offerte digitali in maniera completamente gratuita. Vale la pena sottolineare anche l’importante ruolo dell’offerta digitale nel caso delle biblioteche: la stima di 220 mila prestiti mancati viene attenuata dal potenziamento dei servizi digitali presenti già prima del lockdown e offerti attraverso la piattaforma di MLOL: nei sistemi bibliotecari piemontesi in cui è attivo il servizio gli accessi nei mesi da marzo a giugno sono raddoppiati, tanto che nel primo semestre del 2020 sono stati quasi raggiunti gli accessi di tutto il 2019. Simile la crescita dei prestiti di e-book che nel 2019 sono stati circa 62 mila e nei primi 5 mesi del 2020 poco meno di 52 mila. Le consultazioni dei quotidiani e delle riviste in tutto il 2019 sono state di 1,3 milioni mentre alla fine di maggio 2020 erano poco meno di 1,1 milioni. La sfida per il futuro e il compito della cultura Oggi la cultura si trova a fare i conti con i costi del distanziamento sociale e le limitazioni che abbassano le soglie di pubblico in moltissimi casi ben al di sotto delle soglie di sostenibilità economica. Molte istituzioni e organizzazioni culturali dovranno ripensare da zero le forme di sostenibilità e ri-inventare nuovi business model. Come afferma Luca Dal Pozzolo, Direttore dell’Osservatorio Culturale del Piemonte: «Pensare a un pubblico più che dimezzato, non significa un automatismo nel chiedere più soldi allo Stato per ripianare le perdite, indipendentemente dalla natura dell’organizzazione, ma implica trovare un altro modello di sostenibilità, economica, sociale e culturale e ripensare completamente la propria missione. Il pubblico nelle sale non significa solo euro nelle biglietterie, ma è anche l’indicatore di come le risorse – e specie quelle pubbliche – vengano distribuite nel corpo sociale. La conquista del più vasto pubblico possibile è un compito etico delle istituzioni, oltre a essere l’indicatore dell’efficacia della redistribuzione delle risorse pubbliche nella società. Un’offerta culturale costretta entro dimensioni di pubblico ridotte al limite dell’elitario, deve necessariamente pensare a un diverso modo di diffondere la propria produzione culturale, se vuole mantenere margini di legittimazione sociale per la propria spesa e per la quota di parte pubblica».

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore