Oggi, 27 gennaio, ricorre il Giorno della Memoria

Istituito ormai venticinque anni fa con la legge n. 211/2000, il Giorno della Memoria è stabilmente entrato a far parte del nostro calendario civile fin da subito, diventando un appuntamento denso di significato in diversi ambiti della nostra società, segno che gli eventi collegati alla tragedia della persecuzione razziale e dello sterminio intercettano sentimenti profondi e inquietudini diffuse nelle articolazioni del nostro vivere associato.

Non c’è istituzione che non lo celebri in qualche forma, e, soprattutto nelle scuole di ogni ordine e grado, ogni anno vengono organizzate iniziative di diverso tipo, da conferenze e lezioni alla proiezione di film, dall’incontro con testimoni, laddove ancora possibile, all’allestimento di spettacoli teatrali, anche se non di rado tentando di stabilire improbabili connessioni con questioni tratte dall’attualità, non solo politica.

Possiamo dire che ciò è avvenuto naturalmente, senza particolari direttive o imposizione dei pubblici poteri, a differenza di quanto è accaduto e, soprattutto, sta accadendo per il Giorno del ricordo, che, nonostante gli sforzi imponenti per promuoverlo e imporlo – fin dall’articolatissima legge istitutiva che risalta non poco a fronte della semplicità dei due articoli di cui è composta la legge che istituisce il Giorno della Memoria – non riesce a trovare una chiara collocazione nella sensibilità dell’opinione pubblica nazionale.

Sembra aver anche rapidamente oscurato la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini, improvvidamente – sotto molti punti di vista, non ultimo quello di celebrare la ritirata ignominiosa con cui si è conclusa l’aggressione gratuita alla sovranità di un altro stato, anzi, l’umiliante e totalmente subalterno vassallaggio all’aggressione tedesca ordinato dal capo del governo Benito Mussolini – fissata tre anni fa dal Parlamento italiano il 26 gennaio. Come naturalmente ha finito per passare in secondo piano l’indicazione di ricordare anche i deportati politici e militari inserita nel testo di legge nel corso delle contrattazioni che hanno accompagnato l’iter parlamentare di approvazione della legge istitutiva della Giornata della Memoria.

Contrattazione parlamentare che all’articolo 1 del testo legislativo ha lasciato qualche traccia incongrua, che testimonia la difficoltà persistente delle forze politiche nello stabilire una relazione con la nostra storia non mediata da riserve mentali e calcoli contingenti.

Dopo aver ricordato «la persecuzione italiana dei cittadini ebrei», infatti, si ricordano «gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte», quasi che gli ebrei italiani non fossero italiani del tutto, assumendo paradossalmente – e involontariamente, sia chiaro – la medesima prospettiva riflessa nelle leggi razziali. «Nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio». E qui proprio non si capisce, se non avendo a mente la configurazione del sistema politico italiano nella XIIIª legislatura, perché mai sia importante conoscerne il campo e lo schieramento – campo e schieramento! – per ricordare chi si oppose al progetto di sterminio, dando per scontato, oltretutto, che gli uomini debbano per forza far parte di un campo e di uno schieramento e non possano semplicemente essere uomini tra gli uomini.

Queste difficoltà non hanno impedito, però, al Giorno della Memoria di diventare una ricorrenza che continua a sollecitare un numero significativo di cittadini, segnalando, semmai, la permanente distanza tra ceto politico e cittadini, che non si riesce proprio a colmare. Anzi, il termine memoria ha finito per diventare pervasivo, un imperativo dei nostri tempi, che si è esteso a tutte le ricorrenze civili, soprattutto quelle più vicine a noi nel tempo.

Così la memoria della Resistenza, la memoria delle lotte per i diritti civili, la memoria della persecuzione sovietica, la memoria del colonialismo… hanno sostituito anniversari e feste. Tanto che quando si è trattato di istituire una legge per segnalare nel calendario civile il dramma delle foibe, l’esodo dei nostri connazionali dai territori assegnati allo stato jugoslavo con il trattato di Parigi del 1947 e in generale la questione del confine orientale, si è ricorsi a un – quasi – sinonimo, fors’anche, in questo caso, con il malcelato intento di sottolineare una, per altro inesistente e fin oltraggiosa, specularità.

Ma si può fare memoria soltanto di ciò che si conosce e lo sterminio del popolo ebraico non è stato dimenticato, molto più semplicemente non è mai stato conosciuto, studiato, compreso nella sua terribile e agghiacciante specificità. Ragion per cui l’intensa partecipazione emotiva al destino delle vittime continua a rimanere del tutto sconnessa con la storia e con le implicazioni che quella storia riverbera sul nostro tempo, non riuscendo, così, ad alimentare un percorso di riflessione sulla natura del patto di cittadinanza e, prima ancora, della condizione umana.

L’inserimento di una giornata nel calendario civile ha l’indubbio pregio di fissare un momento preciso nel flusso temporale in cui siamo immersi intorno al quale richiamare l’attenzione della comunità civile, mantenendo costante l’attenzione su passaggi storici cruciali, ma espone al rischio del logoramento, della ripetitività, della maniera. Anche istituzioni che dovrebbero produrre riflessione e conoscenza finiscono per farsi riassorbire dalla logica celebrativa, improvvisando iniziative senza progettualità, privilegiando immagine e visibilità e mortificando qualità e riflessione, o, peggio ancora, assolvendo per inerzia a compiti a cui non possono sottrarsi.

L’azione civile non è ricordare, è comprendere. Memoria è stato scelto dal promotore della legge, Furio Colombo, perché è un termine profondamente connesso con la cultura ebraica e ne contiene e trasmette gli echi. Ma una comunità civile non ricorda, perché, se per il popolo ebraico si tratta di fare memoria della violenza inenarrabile che ha subito, per i popoli europei si tratta di capire perché è stato possibile lo sterminio, quali forze delle società europee lo hanno concepito e perpetrato, chi l’ha sostenuto attivamente o passivamente, chi ha finto di non vedere, quale contesto storico ha reso possibile quella catastrofe, quali ferite e lacerazioni, forse permanenti, ha lasciato nel tessuto civile delle nostre società, come ci si oppone a chi utilizza sistematicamente la violenza per imporre il proprio ordine, violando le più elementari regole della convivenza civile, perché l’antisemitismo – che non è un accidente, volentieri rimosso, anche nei contesti più impensabili, ma l’essenza dello sterminio e della persecuzione – continua pervicacemente a sopravvivere nelle società europee, anzi in alcuni paesi come il nostro conosce una virulenza senza precedenti, stavolta travestito da sostegno al popolo palestinese.

È solo dal confronto con la storia, con le domande che pone, che può emergere una consapevolezza dei limiti umani e della assoluta necessità di costruire strumenti per contenerli e dar loro forma. Ma conoscere, studiare, approfondire, collocare, comparare costa fatica e nelle nostre democrazie nessuno ha più voglia di fare fatica. Meglio un bel tablet, con qualche animazione, o una fiction su Raiuno.

Ma così le democrazie muoiono. E infatti, si annuncia un tempo di nuovi profeti, che risolvono con il loro vigore problemi che solo gli imbelli possono definire complessi. Voglia Dio che il 18 brumaio di Luigi Bonaparte sia una legge storica e che ci aspetti soltanto di dover sopportare per qualche tempo un manipolo di clown.

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Oggi, 27 gennaio, ricorre il Giorno della Memoria

Istituito ormai venticinque anni fa con la legge n. 211/2000, il Giorno della Memoria è stabilmente entrato a far parte del nostro calendario civile fin da subito, diventando un appuntamento denso di significato in diversi ambiti della nostra società, segno che gli eventi collegati alla tragedia della persecuzione razziale e dello sterminio intercettano sentimenti profondi e inquietudini diffuse nelle articolazioni del nostro vivere associato.

Non c’è istituzione che non lo celebri in qualche forma, e, soprattutto nelle scuole di ogni ordine e grado, ogni anno vengono organizzate iniziative di diverso tipo, da conferenze e lezioni alla proiezione di film, dall’incontro con testimoni, laddove ancora possibile, all’allestimento di spettacoli teatrali, anche se non di rado tentando di stabilire improbabili connessioni con questioni tratte dall’attualità, non solo politica.

Possiamo dire che ciò è avvenuto naturalmente, senza particolari direttive o imposizione dei pubblici poteri, a differenza di quanto è accaduto e, soprattutto, sta accadendo per il Giorno del ricordo, che, nonostante gli sforzi imponenti per promuoverlo e imporlo – fin dall’articolatissima legge istitutiva che risalta non poco a fronte della semplicità dei due articoli di cui è composta la legge che istituisce il Giorno della Memoria – non riesce a trovare una chiara collocazione nella sensibilità dell’opinione pubblica nazionale.

Sembra aver anche rapidamente oscurato la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini, improvvidamente – sotto molti punti di vista, non ultimo quello di celebrare la ritirata ignominiosa con cui si è conclusa l’aggressione gratuita alla sovranità di un altro stato, anzi, l’umiliante e totalmente subalterno vassallaggio all’aggressione tedesca ordinato dal capo del governo Benito Mussolini – fissata tre anni fa dal Parlamento italiano il 26 gennaio. Come naturalmente ha finito per passare in secondo piano l’indicazione di ricordare anche i deportati politici e militari inserita nel testo di legge nel corso delle contrattazioni che hanno accompagnato l’iter parlamentare di approvazione della legge istitutiva della Giornata della Memoria.

Contrattazione parlamentare che all’articolo 1 del testo legislativo ha lasciato qualche traccia incongrua, che testimonia la difficoltà persistente delle forze politiche nello stabilire una relazione con la nostra storia non mediata da riserve mentali e calcoli contingenti.

Dopo aver ricordato «la persecuzione italiana dei cittadini ebrei», infatti, si ricordano «gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte», quasi che gli ebrei italiani non fossero italiani del tutto, assumendo paradossalmente – e involontariamente, sia chiaro – la medesima prospettiva riflessa nelle leggi razziali. «Nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio». E qui proprio non si capisce, se non avendo a mente la configurazione del sistema politico italiano nella XIIIª legislatura, perché mai sia importante conoscerne il campo e lo schieramento – campo e schieramento! – per ricordare chi si oppose al progetto di sterminio, dando per scontato, oltretutto, che gli uomini debbano per forza far parte di un campo e di uno schieramento e non possano semplicemente essere uomini tra gli uomini.

Queste difficoltà non hanno impedito, però, al Giorno della Memoria di diventare una ricorrenza che continua a sollecitare un numero significativo di cittadini, segnalando, semmai, la permanente distanza tra ceto politico e cittadini, che non si riesce proprio a colmare. Anzi, il termine memoria ha finito per diventare pervasivo, un imperativo dei nostri tempi, che si è esteso a tutte le ricorrenze civili, soprattutto quelle più vicine a noi nel tempo.

Così la memoria della Resistenza, la memoria delle lotte per i diritti civili, la memoria della persecuzione sovietica, la memoria del colonialismo… hanno sostituito anniversari e feste. Tanto che quando si è trattato di istituire una legge per segnalare nel calendario civile il dramma delle foibe, l’esodo dei nostri connazionali dai territori assegnati allo stato jugoslavo con il trattato di Parigi del 1947 e in generale la questione del confine orientale, si è ricorsi a un – quasi – sinonimo, fors’anche, in questo caso, con il malcelato intento di sottolineare una, per altro inesistente e fin oltraggiosa, specularità.

Ma si può fare memoria soltanto di ciò che si conosce e lo sterminio del popolo ebraico non è stato dimenticato, molto più semplicemente non è mai stato conosciuto, studiato, compreso nella sua terribile e agghiacciante specificità. Ragion per cui l’intensa partecipazione emotiva al destino delle vittime continua a rimanere del tutto sconnessa con la storia e con le implicazioni che quella storia riverbera sul nostro tempo, non riuscendo, così, ad alimentare un percorso di riflessione sulla natura del patto di cittadinanza e, prima ancora, della condizione umana.

L’inserimento di una giornata nel calendario civile ha l’indubbio pregio di fissare un momento preciso nel flusso temporale in cui siamo immersi intorno al quale richiamare l’attenzione della comunità civile, mantenendo costante l’attenzione su passaggi storici cruciali, ma espone al rischio del logoramento, della ripetitività, della maniera. Anche istituzioni che dovrebbero produrre riflessione e conoscenza finiscono per farsi riassorbire dalla logica celebrativa, improvvisando iniziative senza progettualità, privilegiando immagine e visibilità e mortificando qualità e riflessione, o, peggio ancora, assolvendo per inerzia a compiti a cui non possono sottrarsi.

L’azione civile non è ricordare, è comprendere. Memoria è stato scelto dal promotore della legge, Furio Colombo, perché è un termine profondamente connesso con la cultura ebraica e ne contiene e trasmette gli echi. Ma una comunità civile non ricorda, perché, se per il popolo ebraico si tratta di fare memoria della violenza inenarrabile che ha subito, per i popoli europei si tratta di capire perché è stato possibile lo sterminio, quali forze delle società europee lo hanno concepito e perpetrato, chi l’ha sostenuto attivamente o passivamente, chi ha finto di non vedere, quale contesto storico ha reso possibile quella catastrofe, quali ferite e lacerazioni, forse permanenti, ha lasciato nel tessuto civile delle nostre società, come ci si oppone a chi utilizza sistematicamente la violenza per imporre il proprio ordine, violando le più elementari regole della convivenza civile, perché l’antisemitismo – che non è un accidente, volentieri rimosso, anche nei contesti più impensabili, ma l’essenza dello sterminio e della persecuzione – continua pervicacemente a sopravvivere nelle società europee, anzi in alcuni paesi come il nostro conosce una virulenza senza precedenti, stavolta travestito da sostegno al popolo palestinese.

È solo dal confronto con la storia, con le domande che pone, che può emergere una consapevolezza dei limiti umani e della assoluta necessità di costruire strumenti per contenerli e dar loro forma. Ma conoscere, studiare, approfondire, collocare, comparare costa fatica e nelle nostre democrazie nessuno ha più voglia di fare fatica. Meglio un bel tablet, con qualche animazione, o una fiction su Raiuno.

Ma così le democrazie muoiono. E infatti, si annuncia un tempo di nuovi profeti, che risolvono con il loro vigore problemi che solo gli imbelli possono definire complessi. Voglia Dio che il 18 brumaio di Luigi Bonaparte sia una legge storica e che ci aspetti soltanto di dover sopportare per qualche tempo un manipolo di clown.

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