Lucilla Giagnoni omaggia Maria Callas sul palco del Faraggiana

Nuovo monologo di Lucilla Giagnoni sul palco del Faraggiana nel centenario della nascita della grande diva. Stasera, giovedì 9 novembre alle 21, nel secondo spettacolo della stagione “Coro”, la Giagnoni mette in relazione il mito di Callas con quello di Medea.

L’attrice e sceneggiatrice si è lasciata ispirare dalla cavatina di Bellini “Casta Diva dalla “Norma” esplorando la potenza di regine immortali, capaci nell’arte della cura ma anche accomunate da tratti rovinosi e distruttivi. «All’opera si apre il sipario – spiega la Giagnoni – La luna piena illumina il tempio. Il fuoco di un sacrificio. Una donna vestita di bianco canta. Al cinema, gli occhi ardenti di Medea-Maria riempiono lo schermo. A teatro, l’attrice racconta di vestali, sacerdotesse, maghe, regine, figlie del sole stregate dalla luna. Per me, che sono attrice, Medea ha il volto di Callas. Euripide, il cantore tragico della fine del mondo ellenico, fa di Medea una donna che uccide i suoi figli. Pasolini, il cantore della fine del mondo rurale e del sacro, fa di Maria Callas una Medea che non canta mai: fa di lei un’attrice. Medea, della stirpe del sole, porta nel sangue il canto e il sapere di ciò che cura e che uccide. Maga e regina dei pharmaka, è capace di dare la vita e la morte. È Medea l’immortale. Maria Callas è mortale, ma il sole le ha dato un dono e il canto fa di lei ‘La Callas’, l’immortale. Medea e Callas amano selvaggiamente e intensamente rovinano, senza risparmio di sé. Nessun narratore le potrà mai oscurare, contenere o limitare».

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Nuovo monologo di Lucilla Giagnoni sul palco del Faraggiana nel centenario della nascita della grande diva. Stasera, giovedì 9 novembre alle 21, nel secondo spettacolo della stagione “Coro”, la Giagnoni mette in relazione il mito di Callas con quello di Medea.

L'attrice e sceneggiatrice si è lasciata ispirare dalla cavatina di Bellini "Casta Diva dalla "Norma" esplorando la potenza di regine immortali, capaci nell’arte della cura ma anche accomunate da tratti rovinosi e distruttivi. «All’opera si apre il sipario - spiega la Giagnoni - La luna piena illumina il tempio. Il fuoco di un sacrificio. Una donna vestita di bianco canta. Al cinema, gli occhi ardenti di Medea-Maria riempiono lo schermo. A teatro, l’attrice racconta di vestali, sacerdotesse, maghe, regine, figlie del sole stregate dalla luna. Per me, che sono attrice, Medea ha il volto di Callas. Euripide, il cantore tragico della fine del mondo ellenico, fa di Medea una donna che uccide i suoi figli. Pasolini, il cantore della fine del mondo rurale e del sacro, fa di Maria Callas una Medea che non canta mai: fa di lei un’attrice. Medea, della stirpe del sole, porta nel sangue il canto e il sapere di ciò che cura e che uccide. Maga e regina dei pharmaka, è capace di dare la vita e la morte. È Medea l’immortale. Maria Callas è mortale, ma il sole le ha dato un dono e il canto fa di lei ‘La Callas’, l’immortale. Medea e Callas amano selvaggiamente e intensamente rovinano, senza risparmio di sé. Nessun narratore le potrà mai oscurare, contenere o limitare».

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