È proprio da “Fall Editon” l’atmosfera che si respirato a Nòva lo scorso fine settimana, dove le prime foschie serali rendono argentea la luce che entra dalle grandi vetrate. A riscaldare i cuori però ci pensa lui, Jeff Parker (in copertina) con la sua chitarra e con un ritmo incalzante, ma non frettoloso che culla il foltissimo pubblico in attesa. La ripetizione non ci mette molto a trasformarsi in un fraseggio e il fraseggio si trasforma in un’onda di harmonium, un sottofondo sopra il quale Jeff arzigogola a suo piacimento e poi la “narrazione” si fa pacata come una conversazione tra vecchi amici. La chitarra di Parker sembra procedere per quadri narrativi, piccole scene di vita, quasi uno story-board con qualche asperità, persino qualche dissidio e successive riconciliazioni. E arriva anche il momento del rumore, quasi un sottofondo di traffico urbano, sopra il quale Jeff Parker può imbastire una trama sonora ironica e minimale che sembra, con la sua delicata indifferenza, annullare il rumore di sottofondo: pezzo davvero originale per composizione e ambientazione. Il pezzo seguente (strepitoso) é una destrutturata ninna nanna di rara intensità e di ineguagliabile raffinatezza.
“Parterre du rois ” per questo “solo” di Jeff Parker, con jazzisti, giornalisti specializzati, un curioso Riccardo Bertoncelli e anche Maurizio Cattelan capitato, non si sa come, a Novara Jazz e che partecipa ,anche divertendosi, al successivo dj-set energetico di Nicola Conte. Quello che segue, invece, può entrare direttamente nella storia del festival novarese ed essere ricordato tra i più sbalorditivi concerti ascoltati a Novara. Appena comincia a suonare il “Kahlil ‘El Zabar Quartet”, l’incanto è immediato. Anche se citare sè stessi è una cosa da non fare, sembra proprio che “le onde del sound di Kahlil El’Zabar vengano direttamente dall’Africa per infrangersi sulle sponde del lago Michigan”, come scrissi in un recente articolo. Qui c’è praticamente tutto quello che un amante del jazz può desiderare, ma anche un amante del blues o dell’afro-music , insomma c’è tutto quello che un “amante” in senso lato può desiderare perché prima di tutto nella musica di Khalil ‘El Zabar c’è l’anima. Multi-percussionista, compositore, voce, ma anche educatore, “filosofo” e divulgatore della musica nera, Kahlil è certamente molto di più che un jazzista, ma allo stesso tempo incarna alla perfezione l’anima del jazz. Pezzi dai ritmi trascinanti, dominati dalla batteria e dalle percussioni di varia natura di Khalil e dalla tromba onirico-lirica di Corey Wilkes, dal tuonante sax di Alex Harding, che ha sostituito degnamente Isaiah Collier, e infine dalle tastiere suonate meravigliosamente, in modo tutt’altro che ortodosso, da Justin Dillard. È indubitabile che Kahlil sia più di un musicista e forse è il corpo stesso di Kahlil ad essere uno strumento vocale e musicale ed il pubblico di Nòva sembra ipnotizzato nel sentire il suo fiato diventare suono, le lunghe digressioni vocali che hanno il sapore dell’avanguardia cólta e della più raffinata ricerca e contemporaneamente sembrano aliti ancestrali. I numerosi bis eseguiti nel finale del concerto la dicono lunga sul gradimento del pubblico, ma soprattutto di quella voglia di jazz che questo straordinario quartetto porta in giro per il mondo. Finisce così tra il delirio del pubblico (e un soddisfattissimo Maurizio Cattelan), questa straordinaria due giorni di “Nj Weekender Fall Edition”, ennesima, rutilante invenzione regalata alla città da Corrado Beldì, Riccardo Cigolotti ed Enrico Bettinello.