“Milano da Romantica a Scapigliata” centra in pieno l’obiettivo artistico

Finalmente, dopo vari tentativi, il Castello di Novara centra in pieno una mostra, o per meglio dire, esprime già nel titolo. Questa colta con “Milano da Romantica a Scapigliata” – curata da Elisabetta Chiodini con il coordinamento del comitato tecnico scientifico dell’associazione Mets Percorsi d’Arte – c’è in pieno per la qualità delle opere esposte, ma soprattutto perché, nel percorso espositivo, si coglie appieno quella temperie artistica che si sviluppa a partire dal Romanticismo e che culminerà, proprio in ambito milanese, nel movimento artistico e letterario della Scapigliatura. Dopo il quasi doveroso omaggio a Francesco Hayez in apertura con “Imelda De’ Lambertazzi” che, se anche suscitò la scettica ironia di Gramsci, resta pur sempre un gran bel quadro, forse uno dei più intensi di Hayez, eccoci quindi immersi nella Milano prima sotto la dominazione austriaca e poi durante la guerra d’Indipendenza con le opere ragguardevoli (anche per la documentaristica storica) di Giuseppe Canella e Carlo Bossoli.

Mi piace ricordare del Canella un vivace scorcio di Piazza Santo Stefano a Milano (cara ai ricordi di molti studenti della Statale, me compreso), fremente di vitalità e di commerci. Sempre del Canella la magnifica prospettiva della “Corsia dei Servi” (l’attuale Corso Vittorio Emanuele) qui pulsante di vita, in una radiosa giornata di sole. Così come di grande valore documentario, oltre che di ottima fattura pittorica, è il cosiddetto “Tumbum de San Marc”, piccolo salto delle acque del Naviglio, proprio in corrispondenza della attuale Via San Marco. E se grande meraviglia desta Piazza Vetra di Giuseppe Elena, non da meno sono gli scorci di Angelo Inganni e la varia umanità di cui sono popolati, forse un po’ troppo pittoreschi per i nostri smaliziati gusti, ma sempre molto godibili.

Di grande fattura prospettica e architettonica è l’interno della chiesa di Santa Maria presso San Celso di Luigi Bisi e, per continuare in questo affascinante gioco della ricostruzione di ciò che non c’è più, ecco lo strabiliante aspetto (rispetto ai giorni nostri), di un Piazzale Loreto, quasi agreste, descritto da Giovanni Migliara. Ma il percorso della “geostoria” comprende naturalmente anche episodi importanti per la storia di Milano, ma anche d’Italia, come quelli descritti dai quadri di Carlo Canella, in particolare quelli con episodi delle Cinque giornate di Milano o il magnifico “Carlo Alberto al balcone di Palazzo Greppi” del 1849. Vale la pena soffermarsi anche sui volti patetici o trasognati di Domenico Induno, con quella che il mio professore di figura disegnata al liceo artistico amava definire “la pittura dei bulbi oculari rovesciati”. È certo che pur con qualche sospiro di troppo o con una eccessiva inclinazione al “pittoresco”, i fratelli Induno (l’altro è Gerolamo) sono sempre godibili, pur nella loro minuta retorica, qualche volta un po’ troppo stucchevole.

Con i dipinti di Filippo Carcano (non a caso allievo di Hayez), si incomincia ad intravedere una deviazione dai canoni pittorici tradizionali che rileva uno spiccato interesse per luce, per il colore e la loro modulazione sulla figura umana. Con lui una serie di artisti come Eleuterio Pagliano e Giuseppe Bertini (gli ultimi due messi opportunamente a confronto con due opere parallele), Federico Faruffini (di raffinata bellezza la sua “Toletta antica” del 1865), che danno la stura alle vibrazioni e ai moti dell’animo della pittura scapigliata. Sempre del Faruffini la “Saffo”, coloristicamente e luministicamente molto rilevante, sembra in realtà alludere già al Simbolismo. Dove invece è palpitante e necessaria, oltre che tangibile, l’innovazione formale è nel quasi modiglianesco “Ritratto di giovane donna” di Daniele Ranzoni del 1863-1864.

Di lì a poco, sarà Tranquillo Cremona (magnifica la “Visita al collegio” del 1877-78) a sfaldare la pennellata, a trasformarla in macchia e ad impastarla di luce, come nelle mani della pianista in “Melodia”. Siamo nel 1877 e tre anni prima a 800 chilometri da Milano qualcuno aveva parlato di “Impression”. Milano rincorre Parigi (succede spesso), ma in questo caso l’Italia rincorrerà Milano…

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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“Milano da Romantica a Scapigliata” centra in pieno l’obiettivo artistico

Finalmente, dopo vari tentativi, il Castello di Novara centra in pieno una mostra, o per meglio dire, esprime già nel titolo. Questa colta con “Milano da Romantica a Scapigliata” – curata da Elisabetta Chiodini con il coordinamento del comitato tecnico scientifico dell’associazione Mets Percorsi d’Arte – c’è in pieno per la qualità delle opere esposte, ma soprattutto perché, nel percorso espositivo, si coglie appieno quella temperie artistica che si sviluppa a partire dal Romanticismo e che culminerà, proprio in ambito milanese, nel movimento artistico e letterario della Scapigliatura. Dopo il quasi doveroso omaggio a Francesco Hayez in apertura con “Imelda De’ Lambertazzi” che, se anche suscitò la scettica ironia di Gramsci, resta pur sempre un gran bel quadro, forse uno dei più intensi di Hayez, eccoci quindi immersi nella Milano prima sotto la dominazione austriaca e poi durante la guerra d’Indipendenza con le opere ragguardevoli (anche per la documentaristica storica) di Giuseppe Canella e Carlo Bossoli.

Mi piace ricordare del Canella un vivace scorcio di Piazza Santo Stefano a Milano (cara ai ricordi di molti studenti della Statale, me compreso), fremente di vitalità e di commerci. Sempre del Canella la magnifica prospettiva della “Corsia dei Servi” (l’attuale Corso Vittorio Emanuele) qui pulsante di vita, in una radiosa giornata di sole. Così come di grande valore documentario, oltre che di ottima fattura pittorica, è il cosiddetto “Tumbum de San Marc”, piccolo salto delle acque del Naviglio, proprio in corrispondenza della attuale Via San Marco. E se grande meraviglia desta Piazza Vetra di Giuseppe Elena, non da meno sono gli scorci di Angelo Inganni e la varia umanità di cui sono popolati, forse un po’ troppo pittoreschi per i nostri smaliziati gusti, ma sempre molto godibili.

Di grande fattura prospettica e architettonica è l’interno della chiesa di Santa Maria presso San Celso di Luigi Bisi e, per continuare in questo affascinante gioco della ricostruzione di ciò che non c’è più, ecco lo strabiliante aspetto (rispetto ai giorni nostri), di un Piazzale Loreto, quasi agreste, descritto da Giovanni Migliara. Ma il percorso della “geostoria” comprende naturalmente anche episodi importanti per la storia di Milano, ma anche d’Italia, come quelli descritti dai quadri di Carlo Canella, in particolare quelli con episodi delle Cinque giornate di Milano o il magnifico “Carlo Alberto al balcone di Palazzo Greppi” del 1849. Vale la pena soffermarsi anche sui volti patetici o trasognati di Domenico Induno, con quella che il mio professore di figura disegnata al liceo artistico amava definire “la pittura dei bulbi oculari rovesciati”. È certo che pur con qualche sospiro di troppo o con una eccessiva inclinazione al “pittoresco”, i fratelli Induno (l’altro è Gerolamo) sono sempre godibili, pur nella loro minuta retorica, qualche volta un po’ troppo stucchevole.

Con i dipinti di Filippo Carcano (non a caso allievo di Hayez), si incomincia ad intravedere una deviazione dai canoni pittorici tradizionali che rileva uno spiccato interesse per luce, per il colore e la loro modulazione sulla figura umana. Con lui una serie di artisti come Eleuterio Pagliano e Giuseppe Bertini (gli ultimi due messi opportunamente a confronto con due opere parallele), Federico Faruffini (di raffinata bellezza la sua “Toletta antica” del 1865), che danno la stura alle vibrazioni e ai moti dell’animo della pittura scapigliata. Sempre del Faruffini la “Saffo”, coloristicamente e luministicamente molto rilevante, sembra in realtà alludere già al Simbolismo. Dove invece è palpitante e necessaria, oltre che tangibile, l’innovazione formale è nel quasi modiglianesco “Ritratto di giovane donna” di Daniele Ranzoni del 1863-1864.

Di lì a poco, sarà Tranquillo Cremona (magnifica la “Visita al collegio” del 1877-78) a sfaldare la pennellata, a trasformarla in macchia e ad impastarla di luce, come nelle mani della pianista in “Melodia”. Siamo nel 1877 e tre anni prima a 800 chilometri da Milano qualcuno aveva parlato di “Impression”. Milano rincorre Parigi (succede spesso), ma in questo caso l’Italia rincorrerà Milano…

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