Scoprire i “Paesaggi” di Migliara e Pellizza con la mostra di Mets al castello

Una nuova grande esposizione apre le porte al Castello di Novara grazie a Mets. Un percorso con poco più di settanta opere straordinarie, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, per presentare una nuova storia che nessuno ancora ha mai raccontato, l’evoluzione della pittura di paesaggio tra Piemonte e Lombardia dagli anni Venti dell’Ottocento al primo decennio del Novecento. Un aspetto non sempre valorizzato, ma fondamentale per la storia dell’arte dell’Italia e dell’intera Europa, i cui protagonisti sono alcuni dei più importanti artisti di quegli anni. Ancora una volta la curatrice Elisabetta Chiodini ed il comitato scientifico della mostra “PAESAGGI. Realtà Impressione Simbolo. Da Migliara a Pellizza da Volpedo” ci guidano in un viaggio dalla campagna all’alta montagna tra Piemonte, Svizzera e la Lombardia, dai laghi al mare fino ad arrivare ai paesaggi urbani del cuore di Milano, ai Navigli e al Carrobbio. Un viaggio che non è solo meraviglia per gli occhi, ma poesia per l’anima e il cuore. Un viaggio che conquista, risvegliando nel visitatore il desiderio di andare alla scoperta di colori, scorci e prospettive che, complice la luce, possono suscitare infinite suggestioni.

Si parte, nella prima sezione, con la “Pittura di paese”: dalla veduta al paesaggio, con sguardi sul paesaggio di età romantica colti da alcuni dei più valenti artisti di area settentrionale, con alcuni esempi di veduta prospettica, paesaggio vero e proprio e paesaggio istoriato. Troviamo Marco Gozzi, trait d’union tra il gusto neoclassico e quello romantico, Giovanni Migliara con il pregevole “Esterno di città con ponte illuminato da chiaro di luna ed officina di maniscalco”, Luigi Basiletti, la mirabile “Veduta della laguna di Venezia presa dal Campo di Marte” di Giuseppe Canella, Massimo d’Azeglio con “La morte del conte Josselin di Montmorency” e ancora Giuseppe Bisi, il titolare della prima cattedra di paesaggio dell’Accademia di Belle Arti di Brera, istituita nel 1838.

Nella seconda sezione si valica il confine: “Il naturalismo romantico d’oltralpe e la sua influenza sul paesaggismo italiano” permette di scoprire le tendenze della pittura di paesaggio romantico-naturalistica di area mitteleuropea. Protagonisti di pregevole qualità il ginevrino Alexandre Calame con “Paese con macchia”, manifesto della pittura romantica alpestre, e il tedesco Julius Lange con il fiabesco “Paesaggio nordico con montagne”: entrambi, grazie alla loro presenza alle esposizioni di Brera, influenzeranno la nuova generazione di paesaggisti che cominceranno a recarsi a dipingere sul motivo e a studiare la natura dal vero aprendo la strada alle future ricerche. La sezione si chiude con Antonio Fontanesi e lo straordinario “Vespero”, credibilmente identificabile con “Le soir”, tela presentata al Salon di Parigi nel 1859. Il paesaggio è stato al centro degli studi di Fontanesi fin dai primi anni ginevrini, a stretto contatto con Calame, ma sarà l’incontro con la pittura dei paesaggisti francesi della scuola di Barbizon di Corot, Daubigny, Rousseau e Troyon – conosciuta direttamente visitando le sale dell’Esposizione Universale di Parigi del 1855 – a spingere l’emiliano Fontanesi a proseguire la propria ricerca lavorando en plein air.

“Dallo studio ginevrino di Alexandre Calame a Rivara e Carcare” è il viaggio che si snoda lungo le pareti della terza sezione, a cominciare da “Il mattino” e “Aprile. Sulle rive del lago del Bourget” – quest’ultimo già alla mostra novarese di Mets del 2018 – di Antonio Fontanesi e il modernissimo “La via Ferrata” del genovese Tammar Luxoro, tra i fondatori nel 1849 della Società Promotrice di Belle arti di Genova. Da Ginevra e dalla scuola di Calame passeranno la maggior parte dei giovani pittori paesaggisti, i torinesi Carlo Pittara e Vittorio Avondo, dal portoghese Alfredo De Andrade allo spagnolo Serafin De Avendaño e, ancora, il genovese Ernesto Rayper. I tavolini del caffè du Bourg, luogo eletto anche dal Bertea, da Castan e dallo stesso Fontanesi, ospitano un ricco intreccio di incontri, amicizie e vedranno nascere sodalizi artistici fondamentali per le successive esperienze d’ambito realista, quelle oggi note con i nomi delle località dove gli artisti si riuniranno a dipingere sul motivo, ovvero Rivara, nel canavese, dove i pittori saranno ospitati a Villa Ogliani, residenza di Carlo Ogliani, cognato di Pittara, e Carcare, in provincia di Savona, dove i “liguri” De Avendaño, De Andrade e Rayper daranno vita alla “Scuola dei Grigi”. Tra le opere in sala spiccano il realista “Le imposte anticipate – buoi al carro” di Pittara, il cinematografico “Motivo sulla Bormida” di De Andrade, il bucolico “Sulle rovine dell’antico castello a Volpiano” di Rayper e l’abbagliante “Primavera” di De Avendaño.

Nella sezione successiva, “Verso la pittura di impressione”, si arriva alla prima metà degli anni settanta quando il paesaggio diviene il luogo privilegiato per il confronto con il vero anche per Filippo Carcano, fino ad allora considerato solo un pittore di scene di genere. Da quel momento in poi si spingerà, in compagnia del milanese Eugenio Gignous, a lavorare en plein air nelle terre dei laghi lombardi, nei dintorni di Stresa, sulle alture del Mottarone, cercando di elaborare un nuovo linguaggio che potesse rappresentare al meglio “l’impressione del vero”. Con un unico colpo d’occhio, la sala consente di spostare lo sguardo tra le acque ferme del modernissimo “La quiete del lago” di Carcano, l’impetuosità rumorosa de “Il ruscello – impressioni d’estate” di Gignous e la sorprendente malinconica “L’isola dei Pescatori” sempre di Carcano, dai toni chiari e dalle pennellate veloci e leggere che narrano “una delle pagine più sorprendenti di bellezza descrittiva che siansi finora fatte sul nostro superbo Verbano”, come si legge in un articolo del 1880.

“Il trionfo del naturalismo lombardo e la diffusione del nuovo linguaggio” dominano la quinta sezione: a partire da Carcano – dai primi anni Ottanta riconosciuto caposcuola del Naturalismo lombardo con la vasta e imponente “Pianura Lombarda” – la sezione presenta alcune tra le opere più significative di Eugenio Gignous, con la sua verista “Isola dei pescatori”, “Il raccolto delle castagne” a Miazzina di Leonardo Bazzaro, le lavandaie “Sulla Strona” di Achille Befani Formis, la suggestiva alba de “Il porto di Genova da Palazzo Doria” di Pompeo Mariani, il “Vespero di novembre” di Francesco Filippini, con suggestivi piccoli gioielli di Lorenzo Delleani e di altri artisti che documentano vita, abitudini e costumi della gente che abitava quei “paesaggi” o li frequentava come mete turistiche. Che Milano, a cui è stata dedicata la mostra dell’autunno 2022 al Castello, sarebbe diventata meta di rilevanza anche turistica certo nell’Ottocento non se lo immaginava nessuno: la sezione de “Il naturalismo nel paesaggio urbano: tra i Navigli e il Carrobbio” ci propone alcuni scorci del paesaggio urbano milanese dall’inizio degli anni Ottanta ai primi anni Novanta del XIX secolo, un paesaggio colto in pieno sole e sotto la neve, di giorno e di notte, con formicolanti personaggi sempre in movimento: troviamo “Il Naviglio al Ponte San Marco” e la meravigliosa “Nevicata” o “Scena d’inverno” di Giovanni Segantini, una buia ma vecchia e rassicurante “Milano di notte” di Mosè Bianchi e le sempre attuali “Colonne di San Lorenzo” di Emilio Gola. Scorci che grazie a stampe, cartoline e foto possiamo solo osservare ed evocare, ma di cui ciascuno oggi vorrebbe essere di nuovo protagonista, anche solo per un momento.

È Leonardo Bazzaro, invece, il protagonista indiscusso della “cella” del Castello, con 5 brillanti opere tra vita all’aperto e intimità familiare. Il visitatore si ritrova tra le alture della montagna verbanese, nella campagna nei dintorni di Gignese, tra i fiori del giardino del villino del pittore all’Alpino ancora oggi esistente – costruito nel 1894 proprio sulla strada che da Gignese conduceva al Mottarone – e luogo prediletto sia da lui sia dalla moglie, la nobildonna Corona Douglas Scotti della Scala. Tra le opere in sala, “I miei fiori”, dominato dall’abbagliante luce estiva che scandisce la quiete vita familiare, e “Passa la funicolare”, già nota come “Donne a Gignese”, che coglie l’impressione di un momento rubato alla quotidianità. L’ampio respiro degli spazi montani resta protagonista anche dell’ottava sezione, il cui viaggio corre “Dalle Prealpi all’alta montagna” attraverso opere degli anni Novanta dell’800, tra cui l’imponete tela con il “Lago del Mucrone” del biellese Lorenzo Delleani, mai più esposta dal 1947, e due straordinari dipinti dell’ormai celeberrimo Filippo Carcano, “Dall’alto” e “Il ghiacciaio di Cambrena”, il punto più alto della ricerca del pittore sul paesaggio nonché caposaldo del naturalismo lombardo improntato sul “vero”, affiancati da una tela del giovanissimo Ludovico Cavaleri, “ Dalle montagne del lago Maggiore”.

A chiudere, nell’ultima sezione, ci accoglie “Il paesaggio divisionista: dal vero al simbolo”, con Giovanni Segantini con “Mezzogiorno sulle Alpi”, importante prestito dal Museo di Saint Moritz, e “L’amore alla fonte della vita” dalla Gam di Milano. Dopo l’esposizione alla Galleria Ricci Oddi di Piacenza, anche qui al Castello troviamo il “dittico” di Angelo Morbelli con “Nebbia domenicale” (1890) e “Alba domenicale”, scene ambientate sulla collina di Rosignano Monferrato qui affiancate, in una grande occasione di confronto tra le due redazioni che dimostra l’indiscutibile risultato raggiunto dal pittore dopo 25 anni di lavoro alla ricerca della luce. Una sottosezione speciale, in preparazione della grande mostra del 2025 presso la Gam di Milano, presenta infine alcune opere di Giuseppe Pelizza: il pienamente divisionista “Sul fienile”, già presso il Castello nel 2020-21, e il ritrovato piccolo paesaggio autunnale “La Clementina”, esposto solo nel 1909 e già in mostra questo agosto a Volpedo, presso lo studio dell’artista, e fino a una settimana fa a Villa San Martino Necchi Campiglio di Barasso presso Varese. Completano, anche a livello cromatico, il celebre “Per sempre” di Emilio Longoni, noto come “Era già l’ora che volge al desio”, opera di carattere romantico con giovane donna malata in punto di morte e paesaggio al vero che arriva però “oltre”, e il potente e limpidamente freddo “L’Aquilone” di Carlo Fornara, già alla mostra sul Divisionismo del 2020-21, cui fa da pendant la “Fine d’autunno in valle Maggia”. Per alcuni di loro, il paesaggio diventerà soggetto privilegiato non solo di sperimentazione linguistica ma anche luogo ideale per qualche incursione nel clima simbolista. Un viaggio che scalda l’anima.

Condividi:

Facebook
WhatsApp
Telegram
Email
Twitter

Condividi l'articolo

© 2020-2024 La Voce di Novara - Riproduzione Riservata
Iscrizione al registro della stampa presso il Tribunale di Novara

Picture of Francesca Bergamaschi

Francesca Bergamaschi

Francesca Bergamaschi Nata a Novara nel 1978 laureata in Lettere Moderne presso l'Università del Piemonte Orientale, specializzata in Storia dell'Architettura Medievale presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Ha poi conseguito un master in "Management per i Beni e le Attività Culturali" presso la Facoltà di Economia dell'Università del Piemonte Orientale. Autrice di monografie, articoli di carattere storico-artistico e progetti scientifici per esposizioni temporanee, affianca all'attività di guida turistica abilitata anche l'attività giornalistica. Docente di lettere nelle scuole superiori, dal 2013 è consigliere della Società Storica Novarese. nonchè membro del comitato di redazione del Bollettino Storico per la Provincia di Novara.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

SEGUICI SUI SOCIAL

Sezioni

Condividi

SEGUICI SUI SOCIAL

Sezioni

Scoprire i “Paesaggi” di Migliara e Pellizza con la mostra di Mets al castello

Una nuova grande esposizione apre le porte al Castello di Novara grazie a Mets. Un percorso con poco più di settanta opere straordinarie, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, per presentare una nuova storia che nessuno ancora ha mai raccontato, l’evoluzione della pittura di paesaggio tra Piemonte e Lombardia dagli anni Venti dell'Ottocento al primo decennio del Novecento. Un aspetto non sempre valorizzato, ma fondamentale per la storia dell’arte dell’Italia e dell’intera Europa, i cui protagonisti sono alcuni dei più importanti artisti di quegli anni. Ancora una volta la curatrice Elisabetta Chiodini ed il comitato scientifico della mostra “PAESAGGI. Realtà Impressione Simbolo. Da Migliara a Pellizza da Volpedo” ci guidano in un viaggio dalla campagna all’alta montagna tra Piemonte, Svizzera e la Lombardia, dai laghi al mare fino ad arrivare ai paesaggi urbani del cuore di Milano, ai Navigli e al Carrobbio. Un viaggio che non è solo meraviglia per gli occhi, ma poesia per l’anima e il cuore. Un viaggio che conquista, risvegliando nel visitatore il desiderio di andare alla scoperta di colori, scorci e prospettive che, complice la luce, possono suscitare infinite suggestioni.

Si parte, nella prima sezione, con la “Pittura di paese”: dalla veduta al paesaggio, con sguardi sul paesaggio di età romantica colti da alcuni dei più valenti artisti di area settentrionale, con alcuni esempi di veduta prospettica, paesaggio vero e proprio e paesaggio istoriato. Troviamo Marco Gozzi, trait d’union tra il gusto neoclassico e quello romantico, Giovanni Migliara con il pregevole “Esterno di città con ponte illuminato da chiaro di luna ed officina di maniscalco”, Luigi Basiletti, la mirabile “Veduta della laguna di Venezia presa dal Campo di Marte” di Giuseppe Canella, Massimo d’Azeglio con “La morte del conte Josselin di Montmorency” e ancora Giuseppe Bisi, il titolare della prima cattedra di paesaggio dell’Accademia di Belle Arti di Brera, istituita nel 1838.

Nella seconda sezione si valica il confine: “Il naturalismo romantico d’oltralpe e la sua influenza sul paesaggismo italiano” permette di scoprire le tendenze della pittura di paesaggio romantico-naturalistica di area mitteleuropea. Protagonisti di pregevole qualità il ginevrino Alexandre Calame con “Paese con macchia”, manifesto della pittura romantica alpestre, e il tedesco Julius Lange con il fiabesco “Paesaggio nordico con montagne”: entrambi, grazie alla loro presenza alle esposizioni di Brera, influenzeranno la nuova generazione di paesaggisti che cominceranno a recarsi a dipingere sul motivo e a studiare la natura dal vero aprendo la strada alle future ricerche. La sezione si chiude con Antonio Fontanesi e lo straordinario “Vespero”, credibilmente identificabile con “Le soir”, tela presentata al Salon di Parigi nel 1859. Il paesaggio è stato al centro degli studi di Fontanesi fin dai primi anni ginevrini, a stretto contatto con Calame, ma sarà l’incontro con la pittura dei paesaggisti francesi della scuola di Barbizon di Corot, Daubigny, Rousseau e Troyon – conosciuta direttamente visitando le sale dell’Esposizione Universale di Parigi del 1855 – a spingere l’emiliano Fontanesi a proseguire la propria ricerca lavorando en plein air.

“Dallo studio ginevrino di Alexandre Calame a Rivara e Carcare” è il viaggio che si snoda lungo le pareti della terza sezione, a cominciare da “Il mattino” e “Aprile. Sulle rive del lago del Bourget” – quest’ultimo già alla mostra novarese di Mets del 2018 – di Antonio Fontanesi e il modernissimo “La via Ferrata” del genovese Tammar Luxoro, tra i fondatori nel 1849 della Società Promotrice di Belle arti di Genova. Da Ginevra e dalla scuola di Calame passeranno la maggior parte dei giovani pittori paesaggisti, i torinesi Carlo Pittara e Vittorio Avondo, dal portoghese Alfredo De Andrade allo spagnolo Serafin De Avendaño e, ancora, il genovese Ernesto Rayper. I tavolini del caffè du Bourg, luogo eletto anche dal Bertea, da Castan e dallo stesso Fontanesi, ospitano un ricco intreccio di incontri, amicizie e vedranno nascere sodalizi artistici fondamentali per le successive esperienze d’ambito realista, quelle oggi note con i nomi delle località dove gli artisti si riuniranno a dipingere sul motivo, ovvero Rivara, nel canavese, dove i pittori saranno ospitati a Villa Ogliani, residenza di Carlo Ogliani, cognato di Pittara, e Carcare, in provincia di Savona, dove i “liguri” De Avendaño, De Andrade e Rayper daranno vita alla “Scuola dei Grigi”. Tra le opere in sala spiccano il realista “Le imposte anticipate – buoi al carro” di Pittara, il cinematografico “Motivo sulla Bormida” di De Andrade, il bucolico “Sulle rovine dell’antico castello a Volpiano” di Rayper e l’abbagliante “Primavera” di De Avendaño.

Nella sezione successiva, “Verso la pittura di impressione”, si arriva alla prima metà degli anni settanta quando il paesaggio diviene il luogo privilegiato per il confronto con il vero anche per Filippo Carcano, fino ad allora considerato solo un pittore di scene di genere. Da quel momento in poi si spingerà, in compagnia del milanese Eugenio Gignous, a lavorare en plein air nelle terre dei laghi lombardi, nei dintorni di Stresa, sulle alture del Mottarone, cercando di elaborare un nuovo linguaggio che potesse rappresentare al meglio “l’impressione del vero”. Con un unico colpo d’occhio, la sala consente di spostare lo sguardo tra le acque ferme del modernissimo “La quiete del lago” di Carcano, l’impetuosità rumorosa de “Il ruscello – impressioni d’estate” di Gignous e la sorprendente malinconica “L’isola dei Pescatori” sempre di Carcano, dai toni chiari e dalle pennellate veloci e leggere che narrano “una delle pagine più sorprendenti di bellezza descrittiva che siansi finora fatte sul nostro superbo Verbano”, come si legge in un articolo del 1880.

“Il trionfo del naturalismo lombardo e la diffusione del nuovo linguaggio” dominano la quinta sezione: a partire da Carcano – dai primi anni Ottanta riconosciuto caposcuola del Naturalismo lombardo con la vasta e imponente “Pianura Lombarda” – la sezione presenta alcune tra le opere più significative di Eugenio Gignous, con la sua verista “Isola dei pescatori”, “Il raccolto delle castagne” a Miazzina di Leonardo Bazzaro, le lavandaie “Sulla Strona” di Achille Befani Formis, la suggestiva alba de “Il porto di Genova da Palazzo Doria” di Pompeo Mariani, il “Vespero di novembre” di Francesco Filippini, con suggestivi piccoli gioielli di Lorenzo Delleani e di altri artisti che documentano vita, abitudini e costumi della gente che abitava quei “paesaggi” o li frequentava come mete turistiche. Che Milano, a cui è stata dedicata la mostra dell’autunno 2022 al Castello, sarebbe diventata meta di rilevanza anche turistica certo nell’Ottocento non se lo immaginava nessuno: la sezione de “Il naturalismo nel paesaggio urbano: tra i Navigli e il Carrobbio” ci propone alcuni scorci del paesaggio urbano milanese dall’inizio degli anni Ottanta ai primi anni Novanta del XIX secolo, un paesaggio colto in pieno sole e sotto la neve, di giorno e di notte, con formicolanti personaggi sempre in movimento: troviamo “Il Naviglio al Ponte San Marco” e la meravigliosa “Nevicata” o “Scena d’inverno” di Giovanni Segantini, una buia ma vecchia e rassicurante “Milano di notte” di Mosè Bianchi e le sempre attuali “Colonne di San Lorenzo” di Emilio Gola. Scorci che grazie a stampe, cartoline e foto possiamo solo osservare ed evocare, ma di cui ciascuno oggi vorrebbe essere di nuovo protagonista, anche solo per un momento.

È Leonardo Bazzaro, invece, il protagonista indiscusso della “cella” del Castello, con 5 brillanti opere tra vita all’aperto e intimità familiare. Il visitatore si ritrova tra le alture della montagna verbanese, nella campagna nei dintorni di Gignese, tra i fiori del giardino del villino del pittore all’Alpino ancora oggi esistente – costruito nel 1894 proprio sulla strada che da Gignese conduceva al Mottarone – e luogo prediletto sia da lui sia dalla moglie, la nobildonna Corona Douglas Scotti della Scala. Tra le opere in sala, “I miei fiori”, dominato dall’abbagliante luce estiva che scandisce la quiete vita familiare, e “Passa la funicolare”, già nota come “Donne a Gignese”, che coglie l’impressione di un momento rubato alla quotidianità. L’ampio respiro degli spazi montani resta protagonista anche dell’ottava sezione, il cui viaggio corre “Dalle Prealpi all’alta montagna” attraverso opere degli anni Novanta dell’800, tra cui l’imponete tela con il “Lago del Mucrone” del biellese Lorenzo Delleani, mai più esposta dal 1947, e due straordinari dipinti dell’ormai celeberrimo Filippo Carcano, “Dall’alto” e “Il ghiacciaio di Cambrena”, il punto più alto della ricerca del pittore sul paesaggio nonché caposaldo del naturalismo lombardo improntato sul “vero”, affiancati da una tela del giovanissimo Ludovico Cavaleri, “ Dalle montagne del lago Maggiore”.

A chiudere, nell’ultima sezione, ci accoglie “Il paesaggio divisionista: dal vero al simbolo”, con Giovanni Segantini con “Mezzogiorno sulle Alpi”, importante prestito dal Museo di Saint Moritz, e “L’amore alla fonte della vita” dalla Gam di Milano. Dopo l’esposizione alla Galleria Ricci Oddi di Piacenza, anche qui al Castello troviamo il “dittico” di Angelo Morbelli con “Nebbia domenicale” (1890) e “Alba domenicale”, scene ambientate sulla collina di Rosignano Monferrato qui affiancate, in una grande occasione di confronto tra le due redazioni che dimostra l’indiscutibile risultato raggiunto dal pittore dopo 25 anni di lavoro alla ricerca della luce. Una sottosezione speciale, in preparazione della grande mostra del 2025 presso la Gam di Milano, presenta infine alcune opere di Giuseppe Pelizza: il pienamente divisionista “Sul fienile”, già presso il Castello nel 2020-21, e il ritrovato piccolo paesaggio autunnale “La Clementina”, esposto solo nel 1909 e già in mostra questo agosto a Volpedo, presso lo studio dell’artista, e fino a una settimana fa a Villa San Martino Necchi Campiglio di Barasso presso Varese. Completano, anche a livello cromatico, il celebre “Per sempre” di Emilio Longoni, noto come “Era già l’ora che volge al desio”, opera di carattere romantico con giovane donna malata in punto di morte e paesaggio al vero che arriva però “oltre”, e il potente e limpidamente freddo “L’Aquilone” di Carlo Fornara, già alla mostra sul Divisionismo del 2020-21, cui fa da pendant la “Fine d’autunno in valle Maggia”. Per alcuni di loro, il paesaggio diventerà soggetto privilegiato non solo di sperimentazione linguistica ma anche luogo ideale per qualche incursione nel clima simbolista. Un viaggio che scalda l’anima.

© 2020-2024 La Voce di Novara
Riproduzione Riservata

Picture of Francesca Bergamaschi

Francesca Bergamaschi

Francesca Bergamaschi Nata a Novara nel 1978 laureata in Lettere Moderne presso l'Università del Piemonte Orientale, specializzata in Storia dell'Architettura Medievale presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Ha poi conseguito un master in "Management per i Beni e le Attività Culturali" presso la Facoltà di Economia dell'Università del Piemonte Orientale. Autrice di monografie, articoli di carattere storico-artistico e progetti scientifici per esposizioni temporanee, affianca all'attività di guida turistica abilitata anche l'attività giornalistica. Docente di lettere nelle scuole superiori, dal 2013 è consigliere della Società Storica Novarese. nonchè membro del comitato di redazione del Bollettino Storico per la Provincia di Novara.