Per scoprire la bellezza e l’incanto di Venezia non è certo sufficiente un viaggio, ma dopo aver visitato l’esposizione “Il Mito di Venezia da Hayez alla Biennale” inaugurata ieri al castello di Novara si può partire e andare alla ricerca degli scorci presenti nelle opere in mostra e, soprattutto, dell’atmosfera unica di questa città sospesa sull’acqua e inondata di luce.
Grazie all’accurata selezione delle opere provenienti da collezioni private effettuata dalla curatrice, Elisabetta Chiodini, e dal comitato scientifico che ha curato l’evento proposto da Mets, Fondazione Castello e Comune di Novara, fin dalla prima sala ci si immerge nella storia e nella memoria della città. La prima sala è dominata dalla figura di Francesco Hayez, il nostro pittore dell’Ottocento più noto a livello internazionale fin dalla sua epoca, di cui la “Venere che scherza con due colombe”, ovvero la prima ballerina de “La Fenice” Cecile Chabert, già da sola vale la visita all’intera esposizione. Oltre a questo dipinto, spiccano un “Ritratto di Gentildonna”, genere tra i più felici praticati dall’artista, e opere di pittura di storia, immancabili nell’arte ottocentesca, tra cui la bella “Valenzia Gradenigo davanti agli Inquisitori” di ambientazione veneziana, scena dipinta da Hayez in altre tre versioni, protagoniste di una interessante mostra nel 2018 a Milano.
Notevole anche il grande dipinto di Lipparini, bolognese trasferito a Venezia per studio, e i piccoli ritratti di Molmenti, allievo di Lipparini e poi docente di pittura all’Accademia di Belle Arti, dove ebbe come allievi Giacomo Favretto, Luigi Nono, Ettore Tito e Guglielmo Ciardi, che si susseguono nelle sale successive. La seconda sala presenta vedute diurne e notturne della città e della laguna, con scorsi ormai perduti della Riva degli Schiavoni, di San Pietro in Castello, delle Zattere a Dorsoduro: gli unici paesaggi urbanisticamente inalterati – sebbene il campanile raffigurato sia quello antico, precedente al crollo del 14 luglio 1902 – sono quelli dello scorcio della basilica marciana dalle Procuratie Vecchie e della chiesa della Madonna della Salute dal Palazzo Ducale.
A Guglielmo Ciardi è interamente dedicata la terza sala, con dodici opere tra il 1867 e il 1891, tra cui spiccano il capolavoro luministico “Un pascolo sul Sile”, dove nell’acqua della terraferma – siamo nell’entroterra veneziano – si specchiano i caratteri del paesaggio, e “Veduta della laguna veneziana” al tramonto, immagine simbolo della mostra, che spazia nel bacino dalla chiesa di San Giorgio Maggiore sull’omonima isola fino alla Riva degli Schiavoni, paesaggio che si può rimirare dai Giardini di Castello, sede della Biennale.
Le tre sezioni successive sono dedicate alla pittura del vero, anche dal vero e non solo attraverso la fotografia: una sala è dedicata all’universo femminile, con la bellissima opera di Giacomo Favretto “Coco mio”, la cui scena è costruita attraverso il colore, o ancora il recente riscoperto “Il bambino malato” di Luigi Nono, opera realizzata per il mercato straniero e ricomparsa sul mercato antiquario nel 2011, realizzata almeno in due versioni. Al lavoro e alla vita quotidiana è dedicata invece la sala successiva, con tele databili tra il 1873 e il 1892 realizzate ancora da Nono, Favretto, Dall’Oca Bianca, Milesi e Tito: “Il mercato di Campo San Polo a Venezia in giorno di sabato” di Favretto fu presentata all’Esposizione di Belle Arti a Roma nel 1883 ed acquisita dalla Casa Reale per l’intensa vitalità cromatica, sebbene i volumi non siano perfettamente equilibrati.
Il tema dell’idillio amoroso, molto amato dai collezionisti sia italiani sia stranieri, domina la sesta sala: “La partenza degli sposi” da un palazzo veneziano, affacciato su un rio, venne esposta alla Biennale del 1899 in occasione della retrospettiva dedicata a Favretto, deceduto nel 1887, e dimostra già una sensibilità decisamente moderna, distaccandosi dalla veduta tradizionale.
Altrettanto interessanti “Idillio” di Luigi Nono, opera di grandissima qualità con la firma per esteso che indica la destinazione per il mercato straniero, e “Corteggiamenti al mercato” di Alessandro Milesi, opera en plein air di ampio respiro forse eseguita su commissione per il mercato francese e poi finita su quello inglese. I due protagonisti della scena, legati da un gioco di sguardi che si focalizzano sul cavolo che viene passato dal fruttivendolo alla giovane, si ritrovano in altre due opere dell’artista, “Proposta d’amore” e “Due popolane e pescatore”.
La penultima sala è interamente dedicata a Luigi Nono ed al suo celebre “Refugium peccatorum”: dipinto già noto al pubblico novarese perché una delle due versioni fu esposta alla mostra “Ottocento in collezione” organizzata sempre da Mets nel 2018, l’opera, insieme ad “Ave Maria” e “Le due madri”, è testimonianza della devozione popolare di fine secolo, devozione in questo caso per la statua della Madonna “Stella Maris” presente davanti al “sagraeto” della cattedrale di Santa Maria Assunta di Chioggia.
Nella saletta sono presenti anche studi, schizzi, disegni dal vero e fotografie che testimoniano il metodo di lavoro del pittore, che lavora dal vivo e non solo utilizzando fotografie. L’ultima sala, infine, punta l’attenzione sul rinnovamento ed il cambiamento di stile e gusto della pittura veneziana tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, con evoluzioni simboliste: troviamo ancora opere di Fragiacomo, Ciardi con “Il Bucintoro” del 1903, Milesi, Tito, Laurenti con “Visione antica” del 1901 e il suo allievo Selvatico con “Ritratto di donna” del 1911, opere che testimoniano i fermenti sia artistici sia socio-culturali che caratterizzeranno il nuovo secolo, come si evince dalle schede presenti nei cataloghi delle numerose esposizioni che in quegli anni si susseguono e a cui i pittori partecipano, in particolare proprio le Biennali che daranno alla città un ruolo sempre più importante nel contesto dell’arte internazionale.
E non resta che auspicare che questo sottile filo rosso tra Novara e Venezia in occasione dei 1600 anni di storia della Serenissima consenta di riscoprire anche la figura del nostro illustre concittadino Giovanni Bordiga, che fu non solo il primo Presidente della Biennale della città lagunare tra il 1920 e il 1926 ed il fondatore dell’Istituto Universitario di Architettura ma anche il Presidente dell’Accademia delle Belle Arti e della Fondazione Querini Stampalia, di cui nel 1925 curò il riallestimento della pinacoteca.
Info e prenotazioni sul sito di Mets.
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