Stelle internazionali e giovani talenti per Novara Jazz che chiude con 10000 presenze

La recensione del secondo e ultimo weekend. Appuntamento in autunno

Dire che il jazz contemporaneo sia un genere senza confini è un po’ enunciare una ovvietà; il jazz, infatti, sembra ormai una predisposizione dello spirito e, in particolare, la predisposizione a non avere confini. Per non essere ipocriti, bisogna dire che questa predisposizione è ormai entrata, a vari livelli, nella forma mentis di tanti/tutti i jazzisti contemporanei i quali sono stati protagonisti del secondo e ultimo weekend di Novara Jazz. L’edizione numero 22 che ha registrato 10 mila presenze.

Non fa eccezione il duo Gordon Gridina (oud e chitarra) e Chrostian Lillinger (batteria) che ha aperto il secondo fittissimo weekend di “Novara Jazz Festival 2024”. Il duo in realtà potrebbe essere anche un trio poiché, con l’aggiunta di Andrea Grossi al contrabbasso, forma gli “Area Sismica”; per questa sera “accontentiamoci” del formidabile duo. Ci vuol poco prima che il “monolite sonoro” di Grdina e Lillinger prenda forma. Sembra di trovarsi in presenza di una specie di totem fatto di suoni che, dalla chitarra e dall’oud di Gridina prendono le forme più varie, incominciando dal profondo vibrare delle corde della chitarra che, via via, modellano disarmonie e si vanno a mescolare con i tormentosi e sibillini effetti elettronici della strumentazione di Lillinger, alternati a violenti colpi di rullante e soavi disturbi percussivi. Siamo di fronte a quella “musica concreta”, materica, la cui poesia è definita anche dalla assenza di pause, come un flusso continuo di energetico vitalismo che si va a innestare su un ricamo di ricerca e sperimentazione. Suggestivo il concerto ma altrettanto degno di nota, sotto il Portico dell’antico Palazzo Orelli, l’allestimento del “Collettivo Cicinin” (in dialetto locale letteralmente “un pochino) con creazioni di grande qualità e originalità: cuscini (Acid Pillow), tappeti, tessuti, ceramiche, grafica, pittura).

Si sa che Novara Jazz Festival, è sempre stata una manifestazione itinerante in città e nei suoi dintorni e, in quest’ottica, quest’anno è stato aggiunto alle abituali “location”, un altro luogo molto fascinoso della città, ovvero l’Abbazia di San Nazzaro della Costa del XV secolo, in omaggio a quella sezione del Festival che, sulla scorta dell’omonimo progetto londinese, prende il nome di “Sound of Church”. Quando si dice “religioso silenzio” in realtà ci immaginiamo sempre qualcosa che non è proprio silenzio allo stato puro, bensì qualcosa che ci fa restare in armonia con noi stessi e in comunicazione col divino (o con il trascendente se non si è credenti). L’operazione riesce alla perfezione, grazie al concerto serale di Yazz Ahmed & Ralph Wyld: lei Yazz Ahmed grande trombonista londinese di origini mediorientali e lui Ralph Wyld, ai vibrafoni, mistico quanto basta, con le basi solide nel jazz soft di ricerca. Ne scaturisce un’atmosfera molto intima e misurata con uno stringente dialogo tra gli strumenti, senza eccessi ma con costruzioni armoniche complesse e anche qualche piccola concessione alla manipolazione del vibrafono di Wyld. Il sabato riserva la bella sorpresa del gruppo “Tendha” (Giulia Vallissari voce e synth, Mariano Ciotto voce e synth, Arturo Garra al clarinetto basso, Fabrizio Carriero alla batteria), con un lavoro che prende ispirazione dalle colonne sonore dei videogiochi, idea ben sviluppata con una parte fondamentale per le due belle voci del gruppo. Il sabato sera due grandi concerti sul palco del Broletto, il primo con il trio di Joanna Duda (pianoforte ed elettronica), musicista polacca vecchia conoscenza di Novara Jazz, Maksymillian Mucha al basso e Michael Brynfal alla batteria e all’elettronica. Minimalismo e ricerca non intaccano la piacevolezza della musica che, sembra sempre essere sul punto di strizzare l’occhio a un genere, per poi modificarsi nelle battute successive. Potremmo dire un jazz “allusivo”.

Ma uno dei più attesi musicisti dell’intero Festival era lui, Alexander Hawkins, con il suo Dialect Quintet (Alexander Hawkins pianoforte, Camila Nebbia sassofono tenore, Giacomo Zanus chitarra, Ferdinando Romano basso, elettronica, Francesca Remigi batteria) in un progetto firmato WeStart e NJ). Avere sul palco Alexander Hawkins, uno dei pianisti più celebrati sulla scena del jazz internazionale, è un privilegio di cui non tutti possono fregiarsi. Il tocco al piano, vorticoso, imperioso e allo stesso tempo delicato dà il tono di un jazz fresco a tutto il concerto, con Hawkins che lascia spazio alle individualità del gruppo in particolare al possente sax di Camilla Battaglia. Il luogo, fascinoso come il Complesso monumentale del Broletto è la cornice ideale per un concerto del genere, magari avendo cura di non sovrapporre troppi eventi.

Il sabato si apre alla Galleria Giannoni che per tradizione del festival ospita sempre un assolo di contrabbasso, quest’anno tocca a Joëlle Léandre, per l’occasione premiata con la “Chiave d’oro” di Novara Jazz. Non si sentiva nulla di simile dai tempi di Barre Philipps che, anche allora, davanti al quadro “Sinfonia del Mare” del pittore ottocentesco Filiberto Minozzi, ipnotizzò il pubblico del Festival. Ci è riuscita anche Joëlle Léandre, con il suo contrabbasso, “istoriato” dalla sua voce che ci ha fatto viaggiare per la storia della musica, con tante suggestioni fino ad una sorta di blues che Joëlle ha modulato con la sua voce e il suo fiato. Subito dopo l’incanto di Joëlle Léandre, è la volta di Ferdinando Romano (contrabbasso) e del suo ensemble con “Invisible Painters”, progetto anch’esso sostenuto da WeStart e Nj, sotto il portico di un edificio storico come Palazzo Tornielli. Il bel piano di Valentin Gerhardus leggermente “traviato” da un sintetizzatore abbastanza discreto, un convincentissimo clarinetto, quello di Federico Calcagno a guidare il gruppo nonché a trasformare le ispirazioni in idee, poi al basso Ferdinando Romano e alla batteria la grintosa Evita Polidoro.

Per il pomeriggio ancora un nobile palazzo storico come Palazzo Bellini nel cui cortile il solo della pianista Myra Melford, stupisce (me non sorprende certo) per potenza ed espressività. Sembra così ricostituirsi idealmente a Novara Jazz, quel “Tiger Trio” del 2016 di cui facevano parte, oltre alla Melford, proprio Joëlle Léandre e Nicole Mitchell, ospite dell’edizione di NJ dello scorso anno, qui nello stesso cortile Per il resto c’è poco da dire tranne forse che Myra Melford sembra suonare dieci pianoforti contemporaneamente seguendo una linea melodica tempestata di “accidenti” che rendono i suoi brani godibili fino al più assoluto trasporto, ma sempre imprevedibili negli sviluppi improvvisi e possenti, che sembrano spingere le complesse melodie fino ad un momentaneo deragliamento per poi essere riprese e riportate sulla retta via (che proprio retta non è mai). Concerto letteralmente straordinario per questa leggenda vivente dal jazz internazionale. Certo che venire dopo Myra Melford nel programma è una vera e propria iattura, quindi doppio merito ai giovani interpreti del concerto successivo, nel cortile di Palazzo Faraggiana dove Marco Centasso (contrabbasso) presenta l’originale “Um/Welt” Il titolo allude al concetto di “ambiente” e in senso lato, come spiega all’attento pubblico lo stesso Centasso, tutto ciò che circonda, mutevolmente, l’individuo, quindi non solo i rapporti con l’ambiente fisico, ma anche, dialetticamente, quelli con gli altri individui. Magnificamente ispirata la voce (e oud) della giovane Sarra Douik, che poeticamente accompagna un ensemble che propone sonorità misurate, di grande raffinatezza. Completano il gruppo Riccardo Sellan all’elettronica e Manuel Caliumi al sax contralto eclarinetto basso.

Per la sera, la carovana di pubblico si sposta nuovamente al Broletto per ascoltare “The Elephant” ovvero Gabriele Mitelli trombino, voce, elettronica, Pasquale Mirra vibrafono, voce, elettronica, Cristiano Calcagnile batteria, percussioni, voce. I musicisti già noti al pubblico di Novara Jazz, ma il concerto di sabato riserva piacevoli conferme in un jazz fluido con al centro della scena Gabriele Mitelli, (stavo per dire in cattedra, vista la strumentazione elettronica dinnanzi a lui) con il suo trombino insinuante e argentino; accanto a lui le consuete acrobazie “vibrafoniche” di Pasquale Mirra e la batteria concreta senza inutili fronzoli di Cristiano Calcagnile. Subito dopo sul palco saliranno anche i ragazzi di “Studio Murena” con un hip-hop “personalizzato” sul Festival, ma su quale non mi pronuncio per scarsa conoscenza del genere.

Si arriva così, sempre più provati dall’incalzare dei concerti (almeno per chi ha una certa età), ma anche sazi di suoni e atmosfere ai concerti di domenica. Per “onorare le feste” si comincia con il concerto d’organo di Guus Janssen alla Chiesa di San Giovanni Decollato. Da quando è stata restituita alla fruizione pubblica, grazie all’omonima Confraternita, l’organo di San Giovanni Decollato ha ospitato, per Novara Jazz una serie di grandiosi concerti di musicisti che solitamente non si ha modo di ascoltare in una chiesa. Di questa lunga teoria di compositori adesso fa parte anche Guus Janssen. L’organo in purezza? L’organo destrutturato? L’organo smontato? Chissà quale di queste definizioni può essere confacente alle composizioni di Guus Janssen. Quello che è certo, è che chi avesse pensato ad un tradizionale concerto d’organo, non poteva che rimanere deluso. C’è da dire che tra il pubblico di questo Festival, ormai maturo, nessuno si è mai sognato di venire ad ascoltare il già ascoltato e quindi i delusi sono pochissimi o forse nessuno. Ironia, solennità, inquietudine, gioia, soavità, aleatorietà, Guus Janssen tira fuori tutto questo dalle maestose canne del magnifico organo: cavatine, embrioni di sonate, barcarole, ritmi da balera, opera lirica e finanche sottofondi da cabaret. E alla fine ci infila dentro anche il “Silenzio” di Nini Rosso. Certamente uno dei concerti più straordinari dell’intero Festival.

Per il mezzodì ecco il solo di sax di un mostro sacro del jazz portoghese, Rodrigo Amado, ascoltato dagli organizzatori in occasione dell’International Jazz Conference del 2018 che si tenne a Lisbona. Musicista quindi lungamente “corteggiato” e finalmente approdato al Festival novarese. Nell’austero salone dell’Arengo del Broletto, Amado fa navigare nello spazio un suono possente e definitivo, un sax colto e modulato sulla lezione di Sonny Rollins (di cui Amado è grande estimatore). Pubblico attento e disposto al trasporto di un sound che concilia la riflessione estatica. E’certamente valsa la pena di aspettare per ascoltare un grande “solo”. Ci si avvia quindi alla conclusione del Festival con un altro “solo”, quello del trombone di Filippo Vignato nella Chiesa del Carmine, anch’essa fascinosa location nel cuore di Novara. Qui, le suggestioni sono veramente intense, sia per il brano lungo, profondo, con una varietà timbrica del trombone quasi infinita, sia per la maestria di Filippo Vignato nell’uso della voce che, come una nenia, accompagna le volute del trombone e che, cosa non di poco conto, sa “far suonare”, pause e silenzi. Dal cilindro di questo mago del trombone esce anche la manipolazione dello strumento: oltre a maneggiare la campana del trombone con sordine di vario tipo, lo smembra, suonandone separatamente la coulisse, il bocchino e terminando l’esecuzione con un improvviso schiocco dato dalla separazione improvvisa delle due parti restanti. Non semplicemente un “coup de theatre”, ma una soluzione di chiusura efficacissima dopo le tante variazioni proposte.

E come tutte le cose belle, anche Novara Jazz 2024, arriva alla fine della sua lunga e intensa cavalcata nei territori della ricerca e della sperimentazione contemporanea. A chiudere è una formazione inedita e straordinaria in un progetto denominato “The Secret Lives of Color” con François Houle al clarinetto, Myra Melford al pianoforte, Gordon Grdina all’oud/chitarra, Joëlle Léandre al contrabbasso, Gerry Hemingway alla batteria, che nell’antico Chiostro della Canonica del Duomo di Novara, hanno letteralmente deliziato il pubblico con un jazz che ha strizzato più di un occhio anche alla musica folk. L’orchestratore della situazione, François Houle, col suo raffinato clarinetto ha impostato tutta la serata sui toni dolci e suadenti, pur non rinunciando alla ricerca tipica del jazz, con più di una melodia o embrioni di melodie, in un magico intreccio combinatorio e contaminante. Il pianoforte di Myra Melford ha contribuito a far restare con i piedi ben piantati in un ambito jazzistico un concerto assolutamente fuori dagli schemi, dettato anche dai silenzi lasciati risuonare, con il compiacente e rispettoso silenzio delle campane del Duomo soprastante che sembravano aver capito la spiritualità del momento, ma anche dei tuoni sordi dell’imminente temporale. Insomma, quando anche elementi esterni concorrono alla riuscita di un concerto, si ha l’occasione di vivere momenti che resteranno per sempre impressi nella memoria di chi c’era e, spero, anche attraverso queste cronache nell’immaginazione di chi non c’era.

Al Festival ha dato poi il suo contributo anche divulgativo la “Dedalo Big Band”, la “Erios Junior Orchestra”, Radio Raheem” coi suoi dj set, come già detto, il collettivo “Cicinin” con creazioni artigianali e artistiche di grande originalità e raffinatezza e i cuscini firmati “Acid Pillow” sui quali si sono seduti più o meno tutti gli spettatori dei concerti.

È sempre difficile immaginare che bisognerà aspettare un altro lungo anno per la nuova edizione, anche se l’attività di “Novara Jazz” non si ferma mai attraverso tante iniziative come “NJ Fall Edition” in autunno e “NJ Spring Edition” in primavera, “Taste of Jazz” all’Opificio nel corso di tutto l’anno, gli “Apertivi in Jazz” della domenica mattina presso il “Piccolo Coccia”. Insomma, una inarrestabile e gioiosa macchina da guerra.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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La recensione del secondo e ultimo weekend. Appuntamento in autunno

Dire che il jazz contemporaneo sia un genere senza confini è un po’ enunciare una ovvietà; il jazz, infatti, sembra ormai una predisposizione dello spirito e, in particolare, la predisposizione a non avere confini. Per non essere ipocriti, bisogna dire che questa predisposizione è ormai entrata, a vari livelli, nella forma mentis di tanti/tutti i jazzisti contemporanei i quali sono stati protagonisti del secondo e ultimo weekend di Novara Jazz. L'edizione numero 22 che ha registrato 10 mila presenze.

Non fa eccezione il duo Gordon Gridina (oud e chitarra) e Chrostian Lillinger (batteria) che ha aperto il secondo fittissimo weekend di “Novara Jazz Festival 2024”. Il duo in realtà potrebbe essere anche un trio poiché, con l’aggiunta di Andrea Grossi al contrabbasso, forma gli “Area Sismica”; per questa sera “accontentiamoci” del formidabile duo. Ci vuol poco prima che il "monolite sonoro" di Grdina e Lillinger prenda forma. Sembra di trovarsi in presenza di una specie di totem fatto di suoni che, dalla chitarra e dall'oud di Gridina prendono le forme più varie, incominciando dal profondo vibrare delle corde della chitarra che, via via, modellano disarmonie e si vanno a mescolare con i tormentosi e sibillini effetti elettronici della strumentazione di Lillinger, alternati a violenti colpi di rullante e soavi disturbi percussivi. Siamo di fronte a quella "musica concreta", materica, la cui poesia è definita anche dalla assenza di pause, come un flusso continuo di energetico vitalismo che si va a innestare su un ricamo di ricerca e sperimentazione. Suggestivo il concerto ma altrettanto degno di nota, sotto il Portico dell'antico Palazzo Orelli, l'allestimento del “Collettivo Cicinin” (in dialetto locale letteralmente “un pochino) con creazioni di grande qualità e originalità: cuscini (Acid Pillow), tappeti, tessuti, ceramiche, grafica, pittura).

Si sa che Novara Jazz Festival, è sempre stata una manifestazione itinerante in città e nei suoi dintorni e, in quest'ottica, quest'anno è stato aggiunto alle abituali "location", un altro luogo molto fascinoso della città, ovvero l'Abbazia di San Nazzaro della Costa del XV secolo, in omaggio a quella sezione del Festival che, sulla scorta dell'omonimo progetto londinese, prende il nome di "Sound of Church". Quando si dice "religioso silenzio" in realtà ci immaginiamo sempre qualcosa che non è proprio silenzio allo stato puro, bensì qualcosa che ci fa restare in armonia con noi stessi e in comunicazione col divino (o con il trascendente se non si è credenti). L'operazione riesce alla perfezione, grazie al concerto serale di Yazz Ahmed & Ralph Wyld: lei Yazz Ahmed grande trombonista londinese di origini mediorientali e lui Ralph Wyld, ai vibrafoni, mistico quanto basta, con le basi solide nel jazz soft di ricerca. Ne scaturisce un’atmosfera molto intima e misurata con uno stringente dialogo tra gli strumenti, senza eccessi ma con costruzioni armoniche complesse e anche qualche piccola concessione alla manipolazione del vibrafono di Wyld. Il sabato riserva la bella sorpresa del gruppo “Tendha” (Giulia Vallissari voce e synth, Mariano Ciotto voce e synth, Arturo Garra al clarinetto basso, Fabrizio Carriero alla batteria), con un lavoro che prende ispirazione dalle colonne sonore dei videogiochi, idea ben sviluppata con una parte fondamentale per le due belle voci del gruppo. Il sabato sera due grandi concerti sul palco del Broletto, il primo con il trio di Joanna Duda (pianoforte ed elettronica), musicista polacca vecchia conoscenza di Novara Jazz, Maksymillian Mucha al basso e Michael Brynfal alla batteria e all’elettronica. Minimalismo e ricerca non intaccano la piacevolezza della musica che, sembra sempre essere sul punto di strizzare l’occhio a un genere, per poi modificarsi nelle battute successive. Potremmo dire un jazz “allusivo”.

Ma uno dei più attesi musicisti dell’intero Festival era lui, Alexander Hawkins, con il suo Dialect Quintet (Alexander Hawkins pianoforte, Camila Nebbia sassofono tenore, Giacomo Zanus chitarra, Ferdinando Romano basso, elettronica, Francesca Remigi batteria) in un progetto firmato WeStart e NJ). Avere sul palco Alexander Hawkins, uno dei pianisti più celebrati sulla scena del jazz internazionale, è un privilegio di cui non tutti possono fregiarsi. Il tocco al piano, vorticoso, imperioso e allo stesso tempo delicato dà il tono di un jazz fresco a tutto il concerto, con Hawkins che lascia spazio alle individualità del gruppo in particolare al possente sax di Camilla Battaglia. Il luogo, fascinoso come il Complesso monumentale del Broletto è la cornice ideale per un concerto del genere, magari avendo cura di non sovrapporre troppi eventi.

Il sabato si apre alla Galleria Giannoni che per tradizione del festival ospita sempre un assolo di contrabbasso, quest’anno tocca a Joëlle Léandre, per l’occasione premiata con la “Chiave d’oro” di Novara Jazz. Non si sentiva nulla di simile dai tempi di Barre Philipps che, anche allora, davanti al quadro “Sinfonia del Mare” del pittore ottocentesco Filiberto Minozzi, ipnotizzò il pubblico del Festival. Ci è riuscita anche Joëlle Léandre, con il suo contrabbasso, “istoriato” dalla sua voce che ci ha fatto viaggiare per la storia della musica, con tante suggestioni fino ad una sorta di blues che Joëlle ha modulato con la sua voce e il suo fiato. Subito dopo l’incanto di Joëlle Léandre, è la volta di Ferdinando Romano (contrabbasso) e del suo ensemble con “Invisible Painters”, progetto anch'esso sostenuto da WeStart e Nj, sotto il portico di un edificio storico come Palazzo Tornielli. Il bel piano di Valentin Gerhardus leggermente “traviato” da un sintetizzatore abbastanza discreto, un convincentissimo clarinetto, quello di Federico Calcagno a guidare il gruppo nonché a trasformare le ispirazioni in idee, poi al basso Ferdinando Romano e alla batteria la grintosa Evita Polidoro.

Per il pomeriggio ancora un nobile palazzo storico come Palazzo Bellini nel cui cortile il solo della pianista Myra Melford, stupisce (me non sorprende certo) per potenza ed espressività. Sembra così ricostituirsi idealmente a Novara Jazz, quel “Tiger Trio” del 2016 di cui facevano parte, oltre alla Melford, proprio Joëlle Léandre e Nicole Mitchell, ospite dell’edizione di NJ dello scorso anno, qui nello stesso cortile Per il resto c’è poco da dire tranne forse che Myra Melford sembra suonare dieci pianoforti contemporaneamente seguendo una linea melodica tempestata di “accidenti” che rendono i suoi brani godibili fino al più assoluto trasporto, ma sempre imprevedibili negli sviluppi improvvisi e possenti, che sembrano spingere le complesse melodie fino ad un momentaneo deragliamento per poi essere riprese e riportate sulla retta via (che proprio retta non è mai). Concerto letteralmente straordinario per questa leggenda vivente dal jazz internazionale. Certo che venire dopo Myra Melford nel programma è una vera e propria iattura, quindi doppio merito ai giovani interpreti del concerto successivo, nel cortile di Palazzo Faraggiana dove Marco Centasso (contrabbasso) presenta l’originale “Um/Welt” Il titolo allude al concetto di "ambiente" e in senso lato, come spiega all'attento pubblico lo stesso Centasso, tutto ciò che circonda, mutevolmente, l'individuo, quindi non solo i rapporti con l'ambiente fisico, ma anche, dialetticamente, quelli con gli altri individui. Magnificamente ispirata la voce (e oud) della giovane Sarra Douik, che poeticamente accompagna un ensemble che propone sonorità misurate, di grande raffinatezza. Completano il gruppo Riccardo Sellan all'elettronica e Manuel Caliumi al sax contralto eclarinetto basso.

Per la sera, la carovana di pubblico si sposta nuovamente al Broletto per ascoltare “The Elephant” ovvero Gabriele Mitelli trombino, voce, elettronica, Pasquale Mirra vibrafono, voce, elettronica, Cristiano Calcagnile batteria, percussioni, voce. I musicisti già noti al pubblico di Novara Jazz, ma il concerto di sabato riserva piacevoli conferme in un jazz fluido con al centro della scena Gabriele Mitelli, (stavo per dire in cattedra, vista la strumentazione elettronica dinnanzi a lui) con il suo trombino insinuante e argentino; accanto a lui le consuete acrobazie “vibrafoniche” di Pasquale Mirra e la batteria concreta senza inutili fronzoli di Cristiano Calcagnile. Subito dopo sul palco saliranno anche i ragazzi di “Studio Murena” con un hip-hop “personalizzato” sul Festival, ma su quale non mi pronuncio per scarsa conoscenza del genere.

Si arriva così, sempre più provati dall’incalzare dei concerti (almeno per chi ha una certa età), ma anche sazi di suoni e atmosfere ai concerti di domenica. Per “onorare le feste” si comincia con il concerto d’organo di Guus Janssen alla Chiesa di San Giovanni Decollato. Da quando è stata restituita alla fruizione pubblica, grazie all’omonima Confraternita, l’organo di San Giovanni Decollato ha ospitato, per Novara Jazz una serie di grandiosi concerti di musicisti che solitamente non si ha modo di ascoltare in una chiesa. Di questa lunga teoria di compositori adesso fa parte anche Guus Janssen. L’organo in purezza? L’organo destrutturato? L’organo smontato? Chissà quale di queste definizioni può essere confacente alle composizioni di Guus Janssen. Quello che è certo, è che chi avesse pensato ad un tradizionale concerto d’organo, non poteva che rimanere deluso. C’è da dire che tra il pubblico di questo Festival, ormai maturo, nessuno si è mai sognato di venire ad ascoltare il già ascoltato e quindi i delusi sono pochissimi o forse nessuno. Ironia, solennità, inquietudine, gioia, soavità, aleatorietà, Guus Janssen tira fuori tutto questo dalle maestose canne del magnifico organo: cavatine, embrioni di sonate, barcarole, ritmi da balera, opera lirica e finanche sottofondi da cabaret. E alla fine ci infila dentro anche il “Silenzio” di Nini Rosso. Certamente uno dei concerti più straordinari dell’intero Festival.

Per il mezzodì ecco il solo di sax di un mostro sacro del jazz portoghese, Rodrigo Amado, ascoltato dagli organizzatori in occasione dell’International Jazz Conference del 2018 che si tenne a Lisbona. Musicista quindi lungamente “corteggiato” e finalmente approdato al Festival novarese. Nell’austero salone dell’Arengo del Broletto, Amado fa navigare nello spazio un suono possente e definitivo, un sax colto e modulato sulla lezione di Sonny Rollins (di cui Amado è grande estimatore). Pubblico attento e disposto al trasporto di un sound che concilia la riflessione estatica. E’certamente valsa la pena di aspettare per ascoltare un grande “solo”. Ci si avvia quindi alla conclusione del Festival con un altro “solo”, quello del trombone di Filippo Vignato nella Chiesa del Carmine, anch’essa fascinosa location nel cuore di Novara. Qui, le suggestioni sono veramente intense, sia per il brano lungo, profondo, con una varietà timbrica del trombone quasi infinita, sia per la maestria di Filippo Vignato nell’uso della voce che, come una nenia, accompagna le volute del trombone e che, cosa non di poco conto, sa “far suonare”, pause e silenzi. Dal cilindro di questo mago del trombone esce anche la manipolazione dello strumento: oltre a maneggiare la campana del trombone con sordine di vario tipo, lo smembra, suonandone separatamente la coulisse, il bocchino e terminando l’esecuzione con un improvviso schiocco dato dalla separazione improvvisa delle due parti restanti. Non semplicemente un “coup de theatre”, ma una soluzione di chiusura efficacissima dopo le tante variazioni proposte.

E come tutte le cose belle, anche Novara Jazz 2024, arriva alla fine della sua lunga e intensa cavalcata nei territori della ricerca e della sperimentazione contemporanea. A chiudere è una formazione inedita e straordinaria in un progetto denominato “The Secret Lives of Color” con François Houle al clarinetto, Myra Melford al pianoforte, Gordon Grdina all’oud/chitarra, Joëlle Léandre al contrabbasso, Gerry Hemingway alla batteria, che nell’antico Chiostro della Canonica del Duomo di Novara, hanno letteralmente deliziato il pubblico con un jazz che ha strizzato più di un occhio anche alla musica folk. L’orchestratore della situazione, François Houle, col suo raffinato clarinetto ha impostato tutta la serata sui toni dolci e suadenti, pur non rinunciando alla ricerca tipica del jazz, con più di una melodia o embrioni di melodie, in un magico intreccio combinatorio e contaminante. Il pianoforte di Myra Melford ha contribuito a far restare con i piedi ben piantati in un ambito jazzistico un concerto assolutamente fuori dagli schemi, dettato anche dai silenzi lasciati risuonare, con il compiacente e rispettoso silenzio delle campane del Duomo soprastante che sembravano aver capito la spiritualità del momento, ma anche dei tuoni sordi dell’imminente temporale. Insomma, quando anche elementi esterni concorrono alla riuscita di un concerto, si ha l’occasione di vivere momenti che resteranno per sempre impressi nella memoria di chi c’era e, spero, anche attraverso queste cronache nell’immaginazione di chi non c’era.

Al Festival ha dato poi il suo contributo anche divulgativo la “Dedalo Big Band”, la “Erios Junior Orchestra”, Radio Raheem” coi suoi dj set, come già detto, il collettivo “Cicinin” con creazioni artigianali e artistiche di grande originalità e raffinatezza e i cuscini firmati “Acid Pillow” sui quali si sono seduti più o meno tutti gli spettatori dei concerti.

È sempre difficile immaginare che bisognerà aspettare un altro lungo anno per la nuova edizione, anche se l’attività di “Novara Jazz” non si ferma mai attraverso tante iniziative come “NJ Fall Edition” in autunno e “NJ Spring Edition” in primavera, “Taste of Jazz” all’Opificio nel corso di tutto l’anno, gli “Apertivi in Jazz” della domenica mattina presso il “Piccolo Coccia”. Insomma, una inarrestabile e gioiosa macchina da guerra.

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