“StraborDante” spettacolo di Nu Arts al Broletto

Quando John de Leo comincia a recitare in maniera, quasi completamente distorta, il primo canto della Divina Commedia, il ricordo di chi ne ha anagraficamente la possibilità, potrebbe correre a Carmelo Bene, alla Voce, alla sua concezione di Voce che fonda il Teatro. Ma la Divina commedia è un puro affare di Voce? È questa la domanda che possiamo porci all’inizio di questo spettacolo, “StraborDante” del nutrito programma di “Nu Arts & Community” andato in scena venerdì 24 settembre al Broletto. Certo la selva (sonora) in cui l’XY Quaret ci introduce, è piuttosto inquietante e rende bene l’idea del tormento che si può essersi impossessato dei due viaggiatori danteschi.

È innegabile che il testo, il puro testo, ne esca forse un po’ sacrificato, a tutto vantaggio dell’effetto fatto di “suono” più che di “parola”. Per uno spettacolo multimediale è giusto che sia così, anche se viene comunque da domandarsi se la parola dantesca sia idonea ad una trasposizione elettronica, che poi è la stessa domanda che si poneva André Bazin per il cinema di carattere storico: cosa ci faceva lì la macchina da presa? Domande superflue, il reale è razionale come ricordava Hegel. Allora lasciamoci trasportare dai due poeti. Se l’elettronica la fa da padrone, è certo che qui, tra una terzina e l’altra, sax e vibrafono costruiscono commenti sonori molto suggestivi : “io sentivo d’ogni parte trarre guai…” dice Dante-De Leo mentre attorno il corposo commento sonoro sembra condurre lo spettatore in un girone dantesco vero, anche grazie alle proiezioni di Francesco Lopergolo su una schermatura della scena, forse non originalissima, ma confacente ad una certa idea di multimedialità.

Come avrete capito non si è trattato di uno spettacolo di facile digeribilità. La selva resta oscura e, se possibile, diviene sempre più oscura col procedere del cammino, grazie soprattutto agli artifici elettronici che però finiscono col frantumare il testo, tanto che quando la voce riaffiora per descrivere Malebolge “di ferrigna pietra”, sembra riaffiorare alla superficie da un mondo infero e poco intellegibile. Toccare la materia dantesca ed uscirne indenni è indubbiamente difficile, anche se è stato molto ardimentoso provarci.

Nota di merito agli intrepidi interpreti ovvero Saverio Tasca al vibrafono, Luca Colussi alla batteria, Alessandro Fedrigo al basso, Nicola Fazzini al sax e Franco Naddei all’elettronica.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Quando John de Leo comincia a recitare in maniera, quasi completamente distorta, il primo canto della Divina Commedia, il ricordo di chi ne ha anagraficamente la possibilità, potrebbe correre a Carmelo Bene, alla Voce, alla sua concezione di Voce che fonda il Teatro. Ma la Divina commedia è un puro affare di Voce? È questa la domanda che possiamo porci all’inizio di questo spettacolo, “StraborDante” del nutrito programma di “Nu Arts & Community” andato in scena venerdì 24 settembre al Broletto. Certo la selva (sonora) in cui l’XY Quaret ci introduce, è piuttosto inquietante e rende bene l’idea del tormento che si può essersi impossessato dei due viaggiatori danteschi.

È innegabile che il testo, il puro testo, ne esca forse un po’ sacrificato, a tutto vantaggio dell’effetto fatto di “suono” più che di “parola”. Per uno spettacolo multimediale è giusto che sia così, anche se viene comunque da domandarsi se la parola dantesca sia idonea ad una trasposizione elettronica, che poi è la stessa domanda che si poneva André Bazin per il cinema di carattere storico: cosa ci faceva lì la macchina da presa? Domande superflue, il reale è razionale come ricordava Hegel. Allora lasciamoci trasportare dai due poeti. Se l’elettronica la fa da padrone, è certo che qui, tra una terzina e l’altra, sax e vibrafono costruiscono commenti sonori molto suggestivi : “io sentivo d’ogni parte trarre guai…” dice Dante-De Leo mentre attorno il corposo commento sonoro sembra condurre lo spettatore in un girone dantesco vero, anche grazie alle proiezioni di Francesco Lopergolo su una schermatura della scena, forse non originalissima, ma confacente ad una certa idea di multimedialità.

Come avrete capito non si è trattato di uno spettacolo di facile digeribilità. La selva resta oscura e, se possibile, diviene sempre più oscura col procedere del cammino, grazie soprattutto agli artifici elettronici che però finiscono col frantumare il testo, tanto che quando la voce riaffiora per descrivere Malebolge “di ferrigna pietra”, sembra riaffiorare alla superficie da un mondo infero e poco intellegibile. Toccare la materia dantesca ed uscirne indenni è indubbiamente difficile, anche se è stato molto ardimentoso provarci.

Nota di merito agli intrepidi interpreti ovvero Saverio Tasca al vibrafono, Luca Colussi alla batteria, Alessandro Fedrigo al basso, Nicola Fazzini al sax e Franco Naddei all’elettronica.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.