We3 e Collocutor, delocalizzazioni in jazz alla Barriera Albertina e in Basilica

Proseguono i concerti di Novara Jazz nei luoghi del centro storico

Se Jimmy Giuffre diceva che il rumore delle stoviglie di un ristorante ci poteva star bene in un brano jazz suonato dal vivo, come la mettiamo con il traffico? Beh, non sarà la prima e nemmeno l’ultima volta che Novara Jazz è pronta a raccogliere una sfida e, come Ernesto Calindri che i meno giovani ricorderanno al centro di una rotonda per pubblicizzare un celebre amaro, ecco che Corrado Belìi e Riccardo Cigolotti pensano bene di piazzare i musicisti di “We3” alla Barriera Albertina di Novara, punto nodale del traffico veicolare della città. E allora? Sfida vinta naturalmente, poiché i “We3”, ovvero Francesco Chiapperini al sax baritono, clarinetto basso e synt, Luca Pissavini al contrabbasso, e Stefano Grasso alla batteria, sembrano completamente a loro agio tra clacson e rombo di motori. Pubblico attentissimo e automobilisti distratti dalla musica, e che musica! Brani originali di Francesco Chiapperini e omaggi a Sun Ra e Barre Philipps.

La vena creativa di Francesco Chiapperini non sembra esaurirsi ed è una vena che spazia dalle citazioni del grande jazz alla musica popolare (ricordiamo i suoi due magnifici lavori sulle musiche tradizionali della settimana Santa in Puglia e quello più recente sui canti della montagna), fino alle soglie (e oltre) del Free Jazz. Senza nulla togliere ai brani di mostri sacri, i pezzi originali sono sembrati carichi di novità e di fulgore creativo e la possenza del suono ha avuto la meglio sulla mobilità urbana (sempre poco sostenibile).

C’è stato solo il tempo per un piccolo spuntino e un calice di buon vino offerto dalla Azienda agricola Barbaglia, ed è già ora di trasferirsi nel cuore sacro di Novara, sotto la Cupola antonelliana della Basilica di San Gaudenzio, per un concerto di grande rilievo (anche internazionale), nato proprio per luoghi sacri: si tratta di “Church of Sound”, un progetto londinese dell’ensemble “Collocutor” di Tamara Osborn, leader carismatica del gruppo oltre che sassofonista e flautista, già portato a spasso per i più grandi festival jazz in UK; con lei in Basilica Christopher Williams al sax tenore, Suman Joshi al basso elettrico, Marco Piccioni alla chitarra, Maurizio Ravalico alle percussioni (termine finanche restrittivo, visto l’attrezzatura più simile ad un altare cerimioniale).

E’ innegabile che in una Basilica non sia opportuna una musica “qualsiasi”, ed infatti la musica dell’ensemble è indelebilmente segnata dalla cifra stilistica della soavità e, anche nei momenti più intensi e ritmici, le note fatte vibrare e ascendenti sotto l’ampio spettro della Cupola antonelliana, creano un’architettura sonora di grande spiritualità, anche quando, o forse proprio per questo, le vibrazioni provengono dallo strisciamento di piatti di rame sul pavimento della basilica o dalle corde di un basso elettrico monocordemente pizzicato, a cui risponde un sax nudo e puntillista. La spiritualità è tutta nelle intenzioni mentali e la sincerità di queste intenzioni si riflette in maniera automatica nella musica. Un suono che è jazz, funk, punk ed etnico, eppure esattamente niente di tutto questo e dal quale traspare con molta evidenza l’impronta di formazione classica della poliedrica Tamara Osborn, soprattutto nei brani che la vedono al flauto traverso.

Oltre alle amabilità del jazz più dolcemente melodioso, il folto pubblico novarese ha potuto gustare anche percorsi irti di picchi sperimentali e di ricerca, soprattutto grazie alle non convenzionali percussioni di Maurizio Ravalico, un po’ l’officiante in seconda, dopo la sacerdotessa Tamara. Perché in fondo di questo si tratta dell’officio laico della spiritualità della musica in un luogo sacro. Sono ormai parecchi anni che Novara Jazz porta avanti questo discorso di delocalizzazione del jazz verso “contenitori” inconsueti come cortili, palazzi storici, chiese, ambienti naturali.

Per quel che concerne le chiese, occorre ricordare che, oltre che nella Basilica di San Gaudenzio, si sono tenuti e si terranno altri concerti in altre chiese della città ed occorre sottolineare la lungimiranza e la grande apertura mentale della Curia novarese, che ha sempre concesso i luoghi di culto al festival novarese. Nella circostanza particolare, gli organizzatori hanno ringraziato sia il Vescovo, Monsignor Brambilla, sia il Parroco delle Parrocchie Unite del Centro, Don Renzo Cozzi, per l’ospitalità e per la fattiva collaborazione nell’organizzazione del concerto. Non si tratta di parole di circostanza, poiché non è una circostanza così normale che il jazz entri nelle chiese, benché per Novara Jazz si tratti sempre di jazz di altissima qualità. È un bel gesto di apertura mentale, oltre che umana, e che dimostra come il dialogo tra le culture e la contaminazione degli ambienti, siano sempre semi che cadono nella terra fertile, quella che dà frutto. Un bel segnale per questi tempi orribili che stiamo attraversando.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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We3 e Collocutor, delocalizzazioni in jazz alla Barriera Albertina e in Basilica

Proseguono i concerti di Novara Jazz nei luoghi del centro storico

Se Jimmy Giuffre diceva che il rumore delle stoviglie di un ristorante ci poteva star bene in un brano jazz suonato dal vivo, come la mettiamo con il traffico? Beh, non sarà la prima e nemmeno l’ultima volta che Novara Jazz è pronta a raccogliere una sfida e, come Ernesto Calindri che i meno giovani ricorderanno al centro di una rotonda per pubblicizzare un celebre amaro, ecco che Corrado Belìi e Riccardo Cigolotti pensano bene di piazzare i musicisti di “We3” alla Barriera Albertina di Novara, punto nodale del traffico veicolare della città. E allora? Sfida vinta naturalmente, poiché i “We3”, ovvero Francesco Chiapperini al sax baritono, clarinetto basso e synt, Luca Pissavini al contrabbasso, e Stefano Grasso alla batteria, sembrano completamente a loro agio tra clacson e rombo di motori. Pubblico attentissimo e automobilisti distratti dalla musica, e che musica! Brani originali di Francesco Chiapperini e omaggi a Sun Ra e Barre Philipps.

La vena creativa di Francesco Chiapperini non sembra esaurirsi ed è una vena che spazia dalle citazioni del grande jazz alla musica popolare (ricordiamo i suoi due magnifici lavori sulle musiche tradizionali della settimana Santa in Puglia e quello più recente sui canti della montagna), fino alle soglie (e oltre) del Free Jazz. Senza nulla togliere ai brani di mostri sacri, i pezzi originali sono sembrati carichi di novità e di fulgore creativo e la possenza del suono ha avuto la meglio sulla mobilità urbana (sempre poco sostenibile).

C’è stato solo il tempo per un piccolo spuntino e un calice di buon vino offerto dalla Azienda agricola Barbaglia, ed è già ora di trasferirsi nel cuore sacro di Novara, sotto la Cupola antonelliana della Basilica di San Gaudenzio, per un concerto di grande rilievo (anche internazionale), nato proprio per luoghi sacri: si tratta di “Church of Sound”, un progetto londinese dell’ensemble “Collocutor” di Tamara Osborn, leader carismatica del gruppo oltre che sassofonista e flautista, già portato a spasso per i più grandi festival jazz in UK; con lei in Basilica Christopher Williams al sax tenore, Suman Joshi al basso elettrico, Marco Piccioni alla chitarra, Maurizio Ravalico alle percussioni (termine finanche restrittivo, visto l’attrezzatura più simile ad un altare cerimioniale).

E’ innegabile che in una Basilica non sia opportuna una musica “qualsiasi”, ed infatti la musica dell’ensemble è indelebilmente segnata dalla cifra stilistica della soavità e, anche nei momenti più intensi e ritmici, le note fatte vibrare e ascendenti sotto l’ampio spettro della Cupola antonelliana, creano un’architettura sonora di grande spiritualità, anche quando, o forse proprio per questo, le vibrazioni provengono dallo strisciamento di piatti di rame sul pavimento della basilica o dalle corde di un basso elettrico monocordemente pizzicato, a cui risponde un sax nudo e puntillista. La spiritualità è tutta nelle intenzioni mentali e la sincerità di queste intenzioni si riflette in maniera automatica nella musica. Un suono che è jazz, funk, punk ed etnico, eppure esattamente niente di tutto questo e dal quale traspare con molta evidenza l’impronta di formazione classica della poliedrica Tamara Osborn, soprattutto nei brani che la vedono al flauto traverso.

Oltre alle amabilità del jazz più dolcemente melodioso, il folto pubblico novarese ha potuto gustare anche percorsi irti di picchi sperimentali e di ricerca, soprattutto grazie alle non convenzionali percussioni di Maurizio Ravalico, un po’ l’officiante in seconda, dopo la sacerdotessa Tamara. Perché in fondo di questo si tratta dell’officio laico della spiritualità della musica in un luogo sacro. Sono ormai parecchi anni che Novara Jazz porta avanti questo discorso di delocalizzazione del jazz verso “contenitori” inconsueti come cortili, palazzi storici, chiese, ambienti naturali.

Per quel che concerne le chiese, occorre ricordare che, oltre che nella Basilica di San Gaudenzio, si sono tenuti e si terranno altri concerti in altre chiese della città ed occorre sottolineare la lungimiranza e la grande apertura mentale della Curia novarese, che ha sempre concesso i luoghi di culto al festival novarese. Nella circostanza particolare, gli organizzatori hanno ringraziato sia il Vescovo, Monsignor Brambilla, sia il Parroco delle Parrocchie Unite del Centro, Don Renzo Cozzi, per l’ospitalità e per la fattiva collaborazione nell’organizzazione del concerto. Non si tratta di parole di circostanza, poiché non è una circostanza così normale che il jazz entri nelle chiese, benché per Novara Jazz si tratti sempre di jazz di altissima qualità. È un bel gesto di apertura mentale, oltre che umana, e che dimostra come il dialogo tra le culture e la contaminazione degli ambienti, siano sempre semi che cadono nella terra fertile, quella che dà frutto. Un bel segnale per questi tempi orribili che stiamo attraversando.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.