Il Paese ripiegato su se stesso

La crisi economica prima e la Pandemia poi hanno prodotto paura, scoramento e scoraggiamento, crescita delle disuguaglianze e della precarietà, meno ottimismo e speranze a tutti i livelli. 

La guerra con il suo portato di inflazione, carovita, crisi energetica e stagnazione economica ha suggellato questa epoca dell’incertezza. 

La globalizzazione che ha messo in crisi tante certezze, lavori, modi di vivere e di pensare, in pratica ogni tipo di identità da quelle culturali e politiche perfino a quelle sessuali e di costume sembra colpita gravemente, fermata e in ritirata.

In momenti storici come questo forse è normale, perfino fisiologico che un Paese voglia fermarsi, prendere fiato, bloccare almeno per un momento, o illudersi di poterlo fare, il processo incessante di innovazione e trasformazione che abbiamo vissuto, anche freneticamente, negli ultimi trent’anni.

A molti che sono sempre a lamentare il ritardo e la lentezza con cui i cambiamenti arrivano in Italia e vengono accolti sembrerà istintivamente un discorso sbagliato e arretrato.

La gente, la maggioranza più o meno silenziosa, invece  non vuole essere costretta sempre a cambiare, a ricredersi, a innovare usi e costumi, sente a volte un bisogno forte di certezze, sicurezze, perfino tradizioni.

È questo forse il motivo più forte del previsto e prevedibile successo della destra  italiana che si potrà anche spiegare con questo o quell’altro errore tattico e strategico della sinistra e dei suoi leaders, ma in realtà se la sinistra ha avuto un torto è quello che a furia di smantellare tutte le certezze, quelle degli altri ma spesso e volentieri anche le proprie, si sarebbe tirata troppo la corda e ottenuto l’effetto contrario. 

Senza pensare che quando il centrosinistra ha vinto , con Prodi ad esempio, è perché è riuscito a tranquillizzare e rassicurare gli italiani che le cose fondamentali sarebbero rimaste le stesse ma se non si riesce a farlo è quasi normale che la gente si rifugi in un passato spesso anche ingiustamente idealizzato e all’interno del proprio villaggio e Paese illudendosi che sia l’unica via di salvezza. 

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Pier Luigi Tolardo

54 anni, novarese da sempre, passioni: politica, scrittura. Blogger dal 2001.

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La guerra con il suo portato di inflazione, carovita, crisi energetica e stagnazione economica ha suggellato questa epoca dell’incertezza. 

La globalizzazione che ha messo in crisi tante certezze, lavori, modi di vivere e di pensare, in pratica ogni tipo di identità da quelle culturali e politiche perfino a quelle sessuali e di costume sembra colpita gravemente, fermata e in ritirata.

In momenti storici come questo forse è normale, perfino fisiologico che un Paese voglia fermarsi, prendere fiato, bloccare almeno per un momento, o illudersi di poterlo fare, il processo incessante di innovazione e trasformazione che abbiamo vissuto, anche freneticamente, negli ultimi trent’anni.

A molti che sono sempre a lamentare il ritardo e la lentezza con cui i cambiamenti arrivano in Italia e vengono accolti sembrerà istintivamente un discorso sbagliato e arretrato.

La gente, la maggioranza più o meno silenziosa, invece  non vuole essere costretta sempre a cambiare, a ricredersi, a innovare usi e costumi, sente a volte un bisogno forte di certezze, sicurezze, perfino tradizioni.

È questo forse il motivo più forte del previsto e prevedibile successo della destra  italiana che si potrà anche spiegare con questo o quell’altro errore tattico e strategico della sinistra e dei suoi leaders, ma in realtà se la sinistra ha avuto un torto è quello che a furia di smantellare tutte le certezze, quelle degli altri ma spesso e volentieri anche le proprie, si sarebbe tirata troppo la corda e ottenuto l’effetto contrario. 

Senza pensare che quando il centrosinistra ha vinto , con Prodi ad esempio, è perché è riuscito a tranquillizzare e rassicurare gli italiani che le cose fondamentali sarebbero rimaste le stesse ma se non si riesce a farlo è quasi normale che la gente si rifugi in un passato spesso anche ingiustamente idealizzato e all’interno del proprio villaggio e Paese illudendosi che sia l’unica via di salvezza. 

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