Kennedy secondo la stampa italiana del 1963

Quando avevo dieci anni fui colpito moltissimo da un quadro a casa di un cugino di mia madre: un grande collage delle prime pagine dei quotidiani italiani, che aveva composto e fatto incorniciare, che riportavano la notizia dell’attentato al Presidente John F. Kennedy a Dallas. 

Erano trascorsi, allora, solo dieci anni dall’assassinio di Kennedy ma l’eco dell’avvenimento era ancora forte in una generazione di quarantenni anche italiani  come mio cugino che avevano visto in Kennedy, il Presidente più giovane la promessa di una stagione di libertà e di progresso per tutto il mondo .

D’altra parte tanti sondaggi hanno dimostrato che negli USA moltissimi americani ricordavano perfettamente cosa stavano facendo quel giorno mentre a Dallas sparavano a Kennedy.

Sparavano o sparò e chi e su mandato di chi è stato il tema di tanti libri e documentari e inchieste giornalistiche e film, ricordo solo fra tutti il bellissimo JFK di Oliver Stone del 1991.

Non sull’attentato ma su come i principali giornalisti italiani analizzarono e commentarono questo avvenimento epocale ne tratta lo storico novarese Giovanni Cerutti, collaboratore de La Voce di Novara, nel libro edito dalla novarese Interlinea dal titolo : “Kennedy, Dallas 1963. L’assassinio del Presidente nella stampa italiana“.

Sono giornalisti, in un’epoca in cui il quotidiano era ancor più della Tv il principale informatore e formatore dell’ opinione pubblica, del calibro e del peso di Eugenio Scalfari, Enzo Biagi, Italo Pietra, Piero Ottone, Raniero La Valle, Giuseppe Lazzati, Furio Colombo, Alberto Ronchey, per dirne alcuni. 

Il meglio dei protagonisti di sempre della stampa italiana che Cerutti ha raccolto per ricreare l’atmosfera in cui gli italiani lessero e vissero un fatto che, come sempre tutto quello che riguarda gli USA , ha avuto un influsso anche sulle vicende del vecchio Continente e su quelle italiane che guardano agli USA come, ci piaccia o no, un modello da imitare o detestare o tutte e due le cose, magari insieme, e che, comunque, non si può ignorare,

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Pier Luigi Tolardo

54 anni, novarese da sempre, passioni: politica, scrittura. Blogger dal 2001.

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Quando avevo dieci anni fui colpito moltissimo da un quadro a casa di un cugino di mia madre: un grande collage delle prime pagine dei quotidiani italiani, che aveva composto e fatto incorniciare, che riportavano la notizia dell’attentato al Presidente John F. Kennedy a Dallas. 

Erano trascorsi, allora, solo dieci anni dall’assassinio di Kennedy ma l’eco dell’avvenimento era ancora forte in una generazione di quarantenni anche italiani  come mio cugino che avevano visto in Kennedy, il Presidente più giovane la promessa di una stagione di libertà e di progresso per tutto il mondo .

D’altra parte tanti sondaggi hanno dimostrato che negli USA moltissimi americani ricordavano perfettamente cosa stavano facendo quel giorno mentre a Dallas sparavano a Kennedy.

Sparavano o sparò e chi e su mandato di chi è stato il tema di tanti libri e documentari e inchieste giornalistiche e film, ricordo solo fra tutti il bellissimo JFK di Oliver Stone del 1991.

Non sull’attentato ma su come i principali giornalisti italiani analizzarono e commentarono questo avvenimento epocale ne tratta lo storico novarese Giovanni Cerutti, collaboratore de La Voce di Novara, nel libro edito dalla novarese Interlinea dal titolo : “Kennedy, Dallas 1963. L’assassinio del Presidente nella stampa italiana“.

Sono giornalisti, in un’epoca in cui il quotidiano era ancor più della Tv il principale informatore e formatore dell’ opinione pubblica, del calibro e del peso di Eugenio Scalfari, Enzo Biagi, Italo Pietra, Piero Ottone, Raniero La Valle, Giuseppe Lazzati, Furio Colombo, Alberto Ronchey, per dirne alcuni. 

Il meglio dei protagonisti di sempre della stampa italiana che Cerutti ha raccolto per ricreare l’atmosfera in cui gli italiani lessero e vissero un fatto che, come sempre tutto quello che riguarda gli USA , ha avuto un influsso anche sulle vicende del vecchio Continente e su quelle italiane che guardano agli USA come, ci piaccia o no, un modello da imitare o detestare o tutte e due le cose, magari insieme, e che, comunque, non si può ignorare,

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