Cara dottoressa e caro dottore,
non la conosco, ma mi permetta di darle del Lei anche se potrebbe essere mio figlio o mia nipote, anche se a differenza dei suoi non ho fatto sacrifici per farla studiare e non sono stato alzato anche io fino a notte inoltrata quando doveva sostenere qualche esame per farle il caffè.
Le voglio dare del Lei perché sono certo che un giorno o l’altro lei sarà il “Mio” dottore, quello di famiglia. Anche se sono single, non voglio usare il termine improprio “della mutua” perché capisco che a sentire solo la parola “mutua” lei si senta così scoraggiato e così spaventato che voglia fuggire a gambe levate verso qualche paese estero, verso un centro clinico magari convenzionato, verso una clinica privata o dovunque ma non in uno studio che l’attende da medico di famiglia.
Mi dirà che lei non ha buttato via gli anni migliori della sua giovinezza per diventare un passacarte, un compilatore seriale di ricette, la copertura degli assenteisti, un lavoro massacrante per migliaia di mutuati a volte sconosciuti, ingrati, a volte saccenti per aver letto una cosa su internet o perché glielo ha detto un amico.
La crisi delle vocazioni del medico di famiglia o di base è in pieno atto, come quelle del prete o dell’insegnante o di chiunque non sia più visto come un’autorità, mentre gli sono chiesti sempre molteplici sacrifici; le motivazioni sono tante: dal fatto che per il medico di famiglia la professione è ancora soprattutto una missione e non è solo un problema di soldi.
Ai nostri medici di famiglia forse chiediamo davvero troppo: di essere sempre gentili, disponibili, competenti e aggiornati su ogni novità, di fornirci sempre e solo i farmaci che vogliamo quando li vogliamo e decidiamo noi, di ascoltarci come se fossimo unici e soli, e poi metterci in malattia o toglierci quando lo riteniamo giusto, e poi fare da parafulmine per tutta la malasanità possibile di liste di attesa e ospedali anche se loro c’entrano poco.
Un po’ medico, un po’ psicologo e psicologo del lavoro, un po’ medico dello sport e un po’ dietologo, sempre amico, confidente e confessore il medico di famiglia é sempre dentro un processo di burnout , di esaurimento da cui esce spesso stravolto e anche un po’ cinico e disincantato.
Le proposte dei politici di aiutarlo si succedono senza soste: dalle case della salute all’infermiere di famiglia ma rimangono nel libro dei sogni, per lo più.
Intanto un nuovo e giovane, entusiasta e promettente giovane medico, il ruolo di medico di famiglia lo sfugge come la peste.
Non so di medicina ma so un po’ di umanità, dopo un po’ di anni da paziente e parente di pazienti.
Potrei ricordarLe alcuni medici di famiglia uomini e donne, la loro pazienza, la loro condiscendenza e anche la loro severità e il fatto che oggi, che magari non solo hanno smesso la loro professione ma non ci sono più, sono rimasti davvero nei ricordi più belli, anche se legati ai momenti più difficili, di tutte le famiglie, sono presenti nei nostri album di famiglia anche se non si vedono ma noi li vediamo che loro c’erano, lì con noi.
Lo so che non bastano queste più o meno belle parole: anche se giovane, lei ha appreso già che la vita è concreta e dura, ma La prego prima di dire No definitivamente all’ipotesi di fare il medico di famiglia, ci pensi ancora un po’. Noi abbiamo bisogno di Lei, davvero. Grazie.