I tassi di crescita demografica della striscia di Gaza sono tra i più alti nel mondo: nonostante la povertà diffusa, la mancanza di lavoro, le condizioni igienico sanitarie che questi giorni di guerra e di assedio stanno ancora ulteriormente aggravando. I bambini e i giovani a Gaza sono la maggioranza della popolazione.
Anche Israele ha una popolazione ancora giovane, forti minoranze di ebrei ortodossi hanno ancora famiglie numerose, i tanti giovani sterminati mentre si divertivano ballando e cantando sono un’immagine reale del Paese.
Sono popoli giovani, ancora giovani, rispetto a un’Europa e a un’Italia sempre più vecchie e con più anziani che bambini.
Poi il premier israeliano e i leader di Hamas sono ultra sessantenni e sono loro a comandare i giovani e a decidere della loro vita e della loro morte ma certo che sono popoli giovani che si contendono la terra palmo per palmo armati di sassi o delle più moderne tecnologie, si contendono il loro futuro con lo strumento più antico e primitivo: la guerra.
Vita e morte sono intrecciate in Palestina, così come il passato, quello prossimo e quello più remoto, schiaccia il futuro.
Tutto nella vicenda della Palestina ci richiama alle tensioni più antiche e alle passioni più primordiali della vita umana: il rapporto con il vicino che è tanto lontano, l’odio, il rancore, la vendetta, il dovere e il voler uccidere per affermarsi ma anche solo per difendersi. E poi la fame, la sete, il buio, la paura, perfino la religione nelle sue contraddizioni e contrapposizioni.
Per questo noi europei guardiamo a tutto questo attoniti, increduli , scettici, storditi, come ad un passato lontano, da cui ci siamo distaccati per sempre e che rischia di travolgerci in qualcosa di ignoto e assurdo.