La consueta classifica di inizio anno dei redditi dei consiglieri regionali del Piemonte, eletti o rieletti l’anno scorso, pone i tradizionali interrogativi sul rapporto fra reddito e politica, fra ricchezza e potere. In testa alla classifica gli eletti del centrodestra, principalmente lavoratori autonomi, liberi professionisti e imprenditori; in centro classifica e nelle posizioni più basse. gli eletti del centrosinistra, principalmente dipendenti pubblici e insegnanti.
Quanto in un sistema elettorale fondato sulle preferenze come quello per il consiglio regionale possono contare le possibilità economiche personali per avere consensi ed essere eletti nella battaglia per contendersi i voti fra schieramenti e all’interno dello stesso schieramento e della stessa lista?
Alcuni degli eletti potranno sostenere, con buone ragioni, che avendo un’attività libero professionistica in questi anni di mandato dovranno necessariamente trascurarla rimettendoci economicamente a differenza dei lavoratori dipendenti che potranno godere dell’aspettativa con conservazione del posto e di un reddito da consigliere superiore a quello del loro lavoro.
Bisogna considerare però che non esiste un divieto formale che impedisca di svolgere la propria professione o di continuare la propria attività imprenditoriale e che, comunque, la politica ha un ritorno di immagine e in pubblicità che si riflette sulle attività autonome che invece non ha su attività dipendenti. Le possibilità economiche in proprio di farsi propaganda e raggiungere il maggior numero di elettori convincendoli ad andare a votare e a votare per te diventano fondamentali e determinanti.
Certo la classifica riflette la scala dei redditi della società piemontese e italiana: in testa chi svolge un’attività autonoma e in basso i lavoratori dipendenti, dove i primi sono al riparo da una fiscalità eccessiva e per i quali si prevedono forme di minimum tax soprattutto da parte delle politiche di centrodestra e i secondi soffrono della compressione dei redditi da lavoro dipendenti che non riescono a tenere il passo del costo della vita. Anche questa è una differenza storica nella politica italiana: già agli inizi del secolo scorso i parlamentari e i consiglieri provinciali erano esclusivamente i notabili locali, avvocati, notai, medici, proprietari terrieri e solo con l’arrivo del suffragio universale e dei partiti di massa, il socialista e cattolico, arrivarono nelle cariche elettive anche impiegati e operai e coltivatori.
Oggi sembra che non si siano fatti molti passi in avanti: non esistono più operai come Giulio Pastore, sindacalista autodidatta democristiano o Ferruccio Danini, operaio comunista del De Agostini che arrivarono fino in parlamento negli anni ‘60 e ‘70.
Il reddito in politica ha il suo peso, non solo l’istruzione, la cultura, la possibilità di tempo libero e la passione.
La democrazia deve prevedere una base di partenza uguale per tutti e non può avere una dimensione oligarchica che si limiti a riprodurre e confermare o addirittura allargare le differenze sociali: diversamente ne riporta una grave limitazione.