Rinchiusa in un manicomio, esattamente, come succedeva in URSS ai tempi di Breznev per i dissidenti: se ti rifiuti di riconoscere che la società socialista è la migliore, devi avere disturbi mentali e quindi vai curato con l’Internamento, la camicia di forza, il letto di contenzione, spesso anche gli psicofarmaci e l’elettroshock.
Accade ancora oggi per qualche dissidente russo che contesta la guerra di Putin. Allora venivano puniti e internati in ospedale psichiatrico religiosi e credenti a cui veniva diagnosticata una psicosi religiosa.
La ragazza che ha osato un castissimo due pezzi nel campus universitario dell’Iran per protestare contro la “polizia morale” che l’aveva rimproverata per un velo da cui si vedevano i capelli, ora è in manicomio.
Questa volta il regime, diviso fra i falchi che lo vorrebbero trascinare in una guerra totale contro Israele e l’Occidente e le colombe più prudenti ma sempre minoritarie, tenta la carta della “follia “, invece della repressione più platealmente violenta che rischia di scioccare troppo l’opinione pubblica interna e internazionale.
Per scoprirsi i capelli lunghi sciolti, forse più peccaminosi dello stesso corpo, deve essere pazza. Invece vuole solo essere rispettata come persona, con la sua libertà e dignità di donna ed essere umano.
L’Iran di oggi è questo: senza il velo una donna rischia la vita, la prigione e perfino il manicomio.
L’immagine di questa giovane donna come quella del giovane cinese che ferma il carro armato rimarrà sempre nella storia dei diritti come un simbolo di lotta e sacrificio per la libertà.