Tim e americani: il problema non è la nazionalità ma un piano di sviluppo

Tim ora ha fra come maggiore azionista un gruppo francese, la Vivendi che ha a sua volta rilevato il pacchetto azionario dagli spagnoli di Telefonica.

Il piano di Vivendi, gruppo specializzato nei media era molto ambizioso: erano partiti alla conquista di Mediaset, ma Berlusconi non ha mollato e con l’appoggio di tutta la politica italiana , anche quella di sinistra che lo ha sempre osteggiato è riuscito a sconfiggere e neutralizzare il disegno di portargli via la sua azienda, in questo caso la politica ha fatto muro usando anche la Cdp che è pubblica per controbilanciare Vivendi nel capitale Tim.

Ora c’è in campo un’Offerta Pubblica di acquisto del fondo americano Kkr dopo che cinque anni fa il Governo del Pd aveva bloccato il progetto del miliardario messicano Carlos Slim di acquisire il controllo di Tim poiché si trattava di un soggetto “ extracomunitario” cioè non europeo e ha definito perciò una legge sul “ golden power” , cioè un diritto di veto sulla cessione di attività economiche nell’energia, nella difesa e nelle TLC ritenute strategiche per garantire la sicurezza nazionale e la libertà di comunicazione.

Esiste quindi un diritto dello Stato a interferire legittimamente nel mercato per quanto riguarda le TLC e Tim che hanno condiviso a suo tempo centrodestra e centrosinistra.

Oltre e prima ancora della nazionalità l’interesse del Paese dovrebbe essere quello che un soggetto imprenditoriale che prenda il controllo dell’impresa che a sua volta controlla la Rete in rame, la più grande rete nazionale in fibra ottica rimanga un’azienda sana, capace di garantire l’occupazione non solo dei suoi 40.000 addetti ma di altrettanti addetti dell’indotto e questo in Tim è problematico perché la privatizzazione prima e poi molti cambiamenti di proprietà l’hanno caricata di debiti, debiti esclusivamente di natura finanziaria che non hanno nulla a che fare con problemi gestionali o di mercato come è stato nel caso di Alitalia e Ilva per esempio .

Ora se l’Opa degli americani di Kkr dovesse essere, come purtroppo sembra, l’ennesima operazione finanziaria il rischio per Tim sarebbe troppo forte e il Governo Draghi, la maggioranza e l’opposizione parlamentare avrebbero l’obbligo di fermarla. 

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Pier Luigi Tolardo

54 anni, novarese da sempre, passioni: politica, scrittura. Blogger dal 2001.

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Tim e americani: il problema non è la nazionalità ma un piano di sviluppo

Tim ora ha fra come maggiore azionista un gruppo francese, la Vivendi che ha a sua volta rilevato il pacchetto azionario dagli spagnoli di Telefonica.

Il piano di Vivendi, gruppo specializzato nei media era molto ambizioso: erano partiti alla conquista di Mediaset, ma Berlusconi non ha mollato e con l’appoggio di tutta la politica italiana , anche quella di sinistra che lo ha sempre osteggiato è riuscito a sconfiggere e neutralizzare il disegno di portargli via la sua azienda, in questo caso la politica ha fatto muro usando anche la Cdp che è pubblica per controbilanciare Vivendi nel capitale Tim.

Ora c’è in campo un’Offerta Pubblica di acquisto del fondo americano Kkr dopo che cinque anni fa il Governo del Pd aveva bloccato il progetto del miliardario messicano Carlos Slim di acquisire il controllo di Tim poiché si trattava di un soggetto “ extracomunitario” cioè non europeo e ha definito perciò una legge sul “ golden power” , cioè un diritto di veto sulla cessione di attività economiche nell’energia, nella difesa e nelle TLC ritenute strategiche per garantire la sicurezza nazionale e la libertà di comunicazione.

Esiste quindi un diritto dello Stato a interferire legittimamente nel mercato per quanto riguarda le TLC e Tim che hanno condiviso a suo tempo centrodestra e centrosinistra.

Oltre e prima ancora della nazionalità l’interesse del Paese dovrebbe essere quello che un soggetto imprenditoriale che prenda il controllo dell’impresa che a sua volta controlla la Rete in rame, la più grande rete nazionale in fibra ottica rimanga un’azienda sana, capace di garantire l’occupazione non solo dei suoi 40.000 addetti ma di altrettanti addetti dell’indotto e questo in Tim è problematico perché la privatizzazione prima e poi molti cambiamenti di proprietà l’hanno caricata di debiti, debiti esclusivamente di natura finanziaria che non hanno nulla a che fare con problemi gestionali o di mercato come è stato nel caso di Alitalia e Ilva per esempio .

Ora se l’Opa degli americani di Kkr dovesse essere, come purtroppo sembra, l’ennesima operazione finanziaria il rischio per Tim sarebbe troppo forte e il Governo Draghi, la maggioranza e l’opposizione parlamentare avrebbero l’obbligo di fermarla. 

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