Un tempo, la Pasqua era una festa grande quanto il Natale. Senza regali, certo, ma ricca di solennità, di significato, di attesa. Era uno dei momenti più importanti dell’anno, per uomini e donne, credenti e non. Era innanzitutto la festa della Primavera, della Rinascita della Natura: il caldo che tornava, il sole che riscaldava di nuovo la pelle, la vita che rifioriva dopo l’inverno. Un richiamo potente alla Resurrezione di Cristo per chi frequentava la Chiesa, ma anche per chi non lo faceva, un tempo dell’anima che coincideva col risveglio della terra. Sentivamo, tutti, il fascino di quella Vita che esplodeva.

Oggi questo sentire è più difficile. Il cambiamento climatico – che sia indotto dall’uomo, naturale, o entrambe le cose – è sotto gli occhi di tutti. Le stagioni si confondono, le primavere arrivano stanche, o violente. E mentre pochi fuggono alle Maldive o a Sharm per scappare da piogge torrenziali o alluvioni, il senso profondo di questa festa sembra sfumare.

Eppure, a tutti va l’augurio di ritrovare, in un contatto più autentico con la Natura, il desiderio e la responsabilità di prendersi cura del Creato. La Terra ha i suoi cicli, i suoi ritmi, ma è anche fragile, e dipende da noi: dai nostri stili di vita, dalle nostre scelte quotidiane – non solo a Pasqua.

Pasqua era anche sinonimo di convivialità. Si mangiava insieme, in famiglia, con gli amici. La carne era poca durante l’anno, ma a Pasqua si celebrava anche con la tavola: non per esagerare, ma per gustare. Non esistevano allevamenti intensivi, si mangiava meno non per etica o prescrizioni mediche, ma per dare valore a ogni boccone, per vivere il cibo come premio e gioia della festa. Poca carne, buona, accanto a tante verdure, sapori veri, condivisi.

Che il nostro augurio, oggi, sia quello di ritrovarci. Non divisi da ideologie o estremismi, ma uniti nel diritto – e nel piacere – di mangiare bene, sano, gustoso, e soprattutto insieme. Un grazie sentito va a chi cucinerà con amore e pazienza, nelle famiglie o nei ristoranti, anche durante questi giorni di festa.

Pasqua, inevitabilmente, ci parla anche di Pace. Una Pace che oggi avvertiamo fragile come non mai. Non è più scontata, non è più garantita. È oscurata da guerre, odi, contrapposizioni che non diventano mai confronto, dialogo, mediazione. Si preferisce imporre, piuttosto che incontrare.

Per questo, la Pace è l’augurio più grande. Non formale, non rituale, ma urgente. Un augurio necessario, per tutti e per ciascuno. Perché oggi, più che mai, la Pace è ciò di cui abbiamo più bisogno. Senza alcuna distinzione.

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Pier Luigi Tolardo

54 anni, novarese da sempre, passioni: politica, scrittura. Blogger dal 2001.

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Una Pasqua da ritrovare

Un tempo, la Pasqua era una festa grande quanto il Natale. Senza regali, certo, ma ricca di solennità, di significato, di attesa. Era uno dei momenti più importanti dell’anno, per uomini e donne, credenti e non. Era innanzitutto la festa della Primavera, della Rinascita della Natura: il caldo che tornava, il sole che riscaldava di nuovo la pelle, la vita che rifioriva dopo l’inverno. Un richiamo potente alla Resurrezione di Cristo per chi frequentava la Chiesa, ma anche per chi non lo faceva, un tempo dell’anima che coincideva col risveglio della terra. Sentivamo, tutti, il fascino di quella Vita che esplodeva.

Oggi questo sentire è più difficile. Il cambiamento climatico – che sia indotto dall’uomo, naturale, o entrambe le cose – è sotto gli occhi di tutti. Le stagioni si confondono, le primavere arrivano stanche, o violente. E mentre pochi fuggono alle Maldive o a Sharm per scappare da piogge torrenziali o alluvioni, il senso profondo di questa festa sembra sfumare.

Eppure, a tutti va l’augurio di ritrovare, in un contatto più autentico con la Natura, il desiderio e la responsabilità di prendersi cura del Creato. La Terra ha i suoi cicli, i suoi ritmi, ma è anche fragile, e dipende da noi: dai nostri stili di vita, dalle nostre scelte quotidiane – non solo a Pasqua.

Pasqua era anche sinonimo di convivialità. Si mangiava insieme, in famiglia, con gli amici. La carne era poca durante l’anno, ma a Pasqua si celebrava anche con la tavola: non per esagerare, ma per gustare. Non esistevano allevamenti intensivi, si mangiava meno non per etica o prescrizioni mediche, ma per dare valore a ogni boccone, per vivere il cibo come premio e gioia della festa. Poca carne, buona, accanto a tante verdure, sapori veri, condivisi.

Che il nostro augurio, oggi, sia quello di ritrovarci. Non divisi da ideologie o estremismi, ma uniti nel diritto – e nel piacere – di mangiare bene, sano, gustoso, e soprattutto insieme. Un grazie sentito va a chi cucinerà con amore e pazienza, nelle famiglie o nei ristoranti, anche durante questi giorni di festa.

Pasqua, inevitabilmente, ci parla anche di Pace. Una Pace che oggi avvertiamo fragile come non mai. Non è più scontata, non è più garantita. È oscurata da guerre, odi, contrapposizioni che non diventano mai confronto, dialogo, mediazione. Si preferisce imporre, piuttosto che incontrare.

Per questo, la Pace è l’augurio più grande. Non formale, non rituale, ma urgente. Un augurio necessario, per tutti e per ciascuno. Perché oggi, più che mai, la Pace è ciò di cui abbiamo più bisogno. Senza alcuna distinzione.

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Pier Luigi Tolardo

54 anni, novarese da sempre, passioni: politica, scrittura. Blogger dal 2001.