Vittorio Foa, quindici anni di carcere per antifascismo, fra i capi della Resistenza, già segretario nazionale della Cgil, fra i fondatori del Partito d’Azione, dello PSIUP e del Pdup e del PDS, un eroe della sinistra italiana che però non è mai stato comunista.
Un gigante della nostra democrazia ,un uomo che ha dato moltissimo alla vita della Repubblica anche sempre in minoranza e all’opposizione.
Ricordo con emozione la lettura della sua autobiografia “ La mossa del cavallo” così antiretorica e commovente e stimolante.
Oggi ho finito di leggere un libro del 2018: “ La Famiglia F.” scritto dalla figlia Anna Foa, che storica di professione ha dedicato alla sua famiglia della borghesia ebraica piemontese dal bisnonno al fratello Renzo Foa.
Il libro si chiude appunto con la vita di Renzo, che è stato direttore de L’Unita’ e di cui ricordo la bella intervista a Dubcek a vent’anni dalla Primavera di Praga poco prima della caduta del Muro di Berlino .
Renzo poco prima di morire non può spostarsi, ormai malato, ha appena sessant’anni, da Roma e Vittorio Foa, ormai novantenne, sarebbe mancato da lì a poco anche lui, decide di prendere il treno , sua pure muovendosi a fatica , per andare a vedere il figlio.
Era il luglio del 2008, dice il libro e io ho sempre ricordato quella volta alle dieci di sera di un afoso luglio torinese, di aver visto proprio alla stazione di Porta Nuova Vittorio Foa, era accompagnato da Pietro Marcenaro, molto vicino da sempre a Foa, e mi ero accorto della presenza di questo anziano con cravatta, impermeabile e bastone perché un ragazzo correndo lo aveva urtato tanto che Marcenaro dovette quasi rimproverarlo: “ Attenzione, c’è una persona anziana”.
Ecco, ora so dove andava Vittorio Foa, quella sera d’estate: all’ ultimo incontro con suo figlio.