Non so chi di Voi ricordi il tempo in cui, prima delle feste natalizie, ci si spediva biglietti di auguri. Non intendo parlare di quelli attaccati ai pacchetti-regalo, intendo riferirmi proprio a quelli spediti per posta. Ricordo sempre come una festa il momento in cui mia mamma Angelica mi diceva “Mariulin, oggi andremo in cartoleria a comperare i biglietti!” Succedeva sempre intorno a Santa Lucia ed io cadevo in preda ad uno stato di eccitazione per l’avvenimento. Andavamo nella cartoleria della Piazza della Chiesa di Sant’Agabio, dove non c’era “una” cartoleria, ma “la cartoleria”.

Era il regno delle carte assorbenti, delle cannucce, dei pennini (la mamma a volte mi comprava bustine di cinque pennini A.B.T. ovvero “Achille Busti Torino”) e anche delle irraggiungibili stilografiche di madreperla. Ma ho divagato. I biglietti di Natale non avevano una grande varietà di temi: il presepe e l’albero di Natale, pochi babbi natale, nessun cedimento a “Merry Chritmas”, “Happy New Year” e amenità varie. Sui biglietti non c’era scritto quasi niente a parte “Buon Natale e Felice anno nuovo”, (così si risparmiava, due festività, un solo biglietto) anche perché poi, una volta acquistato biglietto e busta, ci si trasferiva dal tabaccaio (anzi dal “tabacchino”) per acquistare i francobolli.

Di solito, ci si concedeva il lusso di una cifra tonda: dieci biglietti con busta e dieci francobolli. Poi a casa, alla sera e a famiglia riunita intorno al tavolo della cucina, mio papà Renato prendeva la penna e cominciava a scrivere gli auguri. Decideva lui a chi scriverli: i suoi genitori al sud, le sue sorella, poi i cugini di mia mamma, qualche persona di riguardo e due o tre amici. Stop. Altro che copia e incolla e sperticate liste di gente come abbiamo su “Whatsapp” o “Messenger” e di cui sovente ci importa poco o niente.

Quei dieci biglietti dovevano esaurire il campo degli affetti famigliari e delle amicizie. Pochi penserete voi; sì pochi, ma sentiti. Oggi nessuno o quasi spedisce più auguri. Quasi nessuno, perché io ho un caro amico che me li manda da decenni. Ma va oltre: disegna anche i biglietti. In questi tempi non tanto frenetici, quanto distratti, è bello pensare che c’è ancora chi compera della carta, scelta con cura, si mette al tavolo da disegno con inchiostro di China o acquarello, pennini e pennelli e disegna.

Ma non disegna a caso, solo per fare qualcosa di “carino”, no, progetta, e nel progetto c’è del pensiero. Quest’anno il biglietto di Mario O. è particolarmente adatto ai tempi che ci troviamo a vivere. Ricambio gli auguri a Mario e condivido con i miei lettori questo bellissimo soggetto.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Auguri fatti a mano

Non so chi di Voi ricordi il tempo in cui, prima delle feste natalizie, ci si spediva biglietti di auguri. Non intendo parlare di quelli attaccati ai pacchetti-regalo, intendo riferirmi proprio a quelli spediti per posta. Ricordo sempre come una festa il momento in cui mia mamma Angelica mi diceva “Mariulin, oggi andremo in cartoleria a comperare i biglietti!” Succedeva sempre intorno a Santa Lucia ed io cadevo in preda ad uno stato di eccitazione per l’avvenimento. Andavamo nella cartoleria della Piazza della Chiesa di Sant’Agabio, dove non c’era “una” cartoleria, ma “la cartoleria”. Era il regno delle carte assorbenti, delle cannucce, dei pennini (la mamma a volte mi comprava bustine di cinque pennini A.B.T. ovvero “Achille Busti Torino”) e anche delle irraggiungibili stilografiche di madreperla. Ma ho divagato. I biglietti di Natale non avevano una grande varietà di temi: il presepe e l’albero di Natale, pochi babbi natale, nessun cedimento a “Merry Chritmas”, “Happy New Year” e amenità varie. Sui biglietti non c’era scritto quasi niente a parte “Buon Natale e Felice anno nuovo”, (così si risparmiava, due festività, un solo biglietto) anche perché poi, una volta acquistato biglietto e busta, ci si trasferiva dal tabaccaio (anzi dal “tabacchino”) per acquistare i francobolli. Di solito, ci si concedeva il lusso di una cifra tonda: dieci biglietti con busta e dieci francobolli. Poi a casa, alla sera e a famiglia riunita intorno al tavolo della cucina, mio papà Renato prendeva la penna e cominciava a scrivere gli auguri. Decideva lui a chi scriverli: i suoi genitori al sud, le sue sorella, poi i cugini di mia mamma, qualche persona di riguardo e due o tre amici. Stop. Altro che copia e incolla e sperticate liste di gente come abbiamo su “Whatsapp” o “Messenger” e di cui sovente ci importa poco o niente. Quei dieci biglietti dovevano esaurire il campo degli affetti famigliari e delle amicizie. Pochi penserete voi; sì pochi, ma sentiti. Oggi nessuno o quasi spedisce più auguri. Quasi nessuno, perché io ho un caro amico che me li manda da decenni. Ma va oltre: disegna anche i biglietti. In questi tempi non tanto frenetici, quanto distratti, è bello pensare che c’è ancora chi compera della carta, scelta con cura, si mette al tavolo da disegno con inchiostro di China o acquarello, pennini e pennelli e disegna. Ma non disegna a caso, solo per fare qualcosa di “carino”, no, progetta, e nel progetto c’è del pensiero. Quest’anno il biglietto di Mario O. è particolarmente adatto ai tempi che ci troviamo a vivere. Ricambio gli auguri a Mario e condivido con i miei lettori questo bellissimo soggetto.

© 2020-2024 La Voce di Novara
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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.