Cavalcavia, Colonne d’Ercole

Per noi, ragazzi poveri di Sant’Agabio, le Colonne d’Ercole erano il cavalcavia. Da una parte il mondo conosciuto, dall’altra quello sconosciuto, da una parte “noi”, dall’altra “loro”, da una parte i poveri e dall’altra i ricchi. Una barriera fisica e psicologica. Fisica perché fare tutto il cavalcavia in bicicletta, l’unico mezzo di locomozione che possedevamo, era faticoso, ma anche psicologica, perché, oltre il cavalcavia, “noi” ci sentivamo a disagio. Qualche ardimentosa spedizione veniva fatta, a dire il vero; la meta era, nella maggior parte dei casi, l’oratorio dei Salesiani appena giù dal cavalcavia dall’altra parte, ma pur sempre dalla parte dei “ricchi” e comunque di quelli “non di Sant’Agabio”.

 

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Per gli adulti era più o meno la stessa cosa: si faceva una fatica del diavolo a fare “la scala del cavalcavia”: in inverno era piena di neve e in estate metteva letteralmente alla prova la capacità fisica delle persone. Un’opera buona era considerata aiutare una mamma a trasportare la carrozzina del proprio figlioletto sulla scala del cavalcavia.

Ogni tanto dal cavalcavia pioveva giù un rimorchio di un camion o un autocisterna. Il povero edicolante, il leggendario Mosca, che aveva il suo chiosco proprio sotto la curva sud del cavalcavia, spesso veniva miracolato dal Signore e riusciva a scansare quanto cadeva dalla strada: bulloni, pezzi di lamiera, tronchi, auto, pneumatici. E i diversamente abili? Beh, allora questo problema non esisteva, semplicemente perché erano affari loro e mai più avrebbero potuto superare la salita, le due curve o la scala.

Come adesso insomma. Però in quegli anni oscuri qualche agevolazione c’era: i pullman ci passavano. Erano il “due barrato” che andava in corso Trieste, il “quattro” che proseguiva in terra straniera fino a Pernate e il “tre” che andava in corso Milano. Intendo dire che sulle curve ci passavano anche due pullman insieme! Eh sì, eravamo proprio fortunati. Mio nonno Giovanni una volta mi disse: “Eh, beato te Mariulin, quando sarai grande vedrai che al posto della scala del cavalcavia ci sarà un ascensore!”Il nonno non azzeccava mai una cippa, né la schedina della Sisal, né altro.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Cavalcavia, Colonne d’Ercole

Per noi, ragazzi poveri di Sant’Agabio, le Colonne d’Ercole erano il cavalcavia. Da una parte il mondo conosciuto, dall’altra quello sconosciuto, da una parte “noi”, dall’altra “loro”, da una parte i poveri e dall’altra i ricchi. Una barriera fisica e psicologica. Fisica perché fare tutto il cavalcavia in bicicletta, l’unico mezzo di locomozione che possedevamo, era faticoso, ma anche psicologica, perché, oltre il cavalcavia, “noi” ci sentivamo a disagio. Qualche ardimentosa spedizione veniva fatta, a dire il vero; la meta era, nella maggior parte dei casi, l’oratorio dei Salesiani appena giù dal cavalcavia dall’altra parte, ma pur sempre dalla parte dei “ricchi” e comunque di quelli “non di Sant’Agabio”.   [the_ad id="62649"]   Per gli adulti era più o meno la stessa cosa: si faceva una fatica del diavolo a fare “la scala del cavalcavia”: in inverno era piena di neve e in estate metteva letteralmente alla prova la capacità fisica delle persone. Un’opera buona era considerata aiutare una mamma a trasportare la carrozzina del proprio figlioletto sulla scala del cavalcavia. Ogni tanto dal cavalcavia pioveva giù un rimorchio di un camion o un autocisterna. Il povero edicolante, il leggendario Mosca, che aveva il suo chiosco proprio sotto la curva sud del cavalcavia, spesso veniva miracolato dal Signore e riusciva a scansare quanto cadeva dalla strada: bulloni, pezzi di lamiera, tronchi, auto, pneumatici. E i diversamente abili? Beh, allora questo problema non esisteva, semplicemente perché erano affari loro e mai più avrebbero potuto superare la salita, le due curve o la scala. Come adesso insomma. Però in quegli anni oscuri qualche agevolazione c’era: i pullman ci passavano. Erano il “due barrato” che andava in corso Trieste, il “quattro” che proseguiva in terra straniera fino a Pernate e il “tre” che andava in corso Milano. Intendo dire che sulle curve ci passavano anche due pullman insieme! Eh sì, eravamo proprio fortunati. Mio nonno Giovanni una volta mi disse: “Eh, beato te Mariulin, quando sarai grande vedrai che al posto della scala del cavalcavia ci sarà un ascensore!”Il nonno non azzeccava mai una cippa, né la schedina della Sisal, né altro.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.