Non avevo mai pensato che gentilezza e coraggio potessero essere pensate come due facce della stessa medaglia. Nel mio immaginario ho sempre pensato che le persone gentili stessero da una parte con le loro buone maniere, la loro timidezza, il loro “savoir faire” e i coraggiosi da un’altra con i loro muscoli, le loro mascelle volitive e i loro tatuaggi. Ho smesso di pensarlo quando vidi la famosa foto di Charlie Cole, che ritraeva un uomo con in mano un sacchetto della spesa in Piazza Tienanmen che fermava, con gentilezza e coraggio, una fila di carri armati.
eve pensarla così anche Gianrico Carofiglio che nel suo prezioso e profondo “Della gentilezza e del coraggio”, espone e cerca di corroborare la tesi che la politica si possa fare con queste due rare doti umane. Lo fa attraverso i nove intensi capitoli attraverso i quali si sviluppa il libro, edito da Feltrinelli. Si parte dall’ascolto, come primario atto del rispetto del nostro “competitor” politico, sottolineando come l’atto dell’ascolto sia molto diverso da quello del sentire e richieda un grande grado di partecipazione all’altrui pensiero.
Concetto in realtà non nuovo che tra gli altri sviluppò molto bene Paul Watzlawick in un suo celebre saggio, “Di bene in peggio”. Ma Carofiglio sembra giocare, non solo sul piano della psicologia e sociologia politica, ma anche su alcuni piani diversi, come il tentativo di demolire il luogo comune e la stupidità attraverso l’analisi dei vezzi linguistici (come nel bellissimo capitolo dedicato alla fallacia) del demagogo e del politico d’assalto, ma soprattutto con gli strumenti di un’analisi, anche piuttosto approfondita, della saggezza delle cosiddette arti marziali orientali. “Sconfiggere il nemico senza combattere è l’abilità suprema” dice Gichin Funakoshi, fondatore del karate moderno e la citazione, fatta propria da Carofiglio sembra pervadere, e anche sovrastare, tutte le altre argomentazioni.
In fondo è proprio la neutralizzazione dell’aggressività e l’eliminazione o la riduzione della violenza e del conflitto ad essere la mossa principale della dialettica politica. Come è noto il pensiero di Carofiglio non è neutro o senza colore politico, tutt’altro, identificando nei populismi e nei sovranismi della destra contemporanea, il brodo di coltura della aggressività verbale della dialettica politica. In realtà l’aggressività verbale non è sempre e solo stata della destra, ma quel che è certo che in questi ultimi decenni, lo strumento principale con cui la destra in Italia e altrove ha portato avanti le proprie battaglie è sempre passata attraverso ad essa insieme alla costruzione di un nemico (quasi sempre immaginario) e alla demagogia.
Il libro di Carofiglio, forse ingenuo nella finalità ultima, propone una dialettica diversa, basata su un rispetto vero e non di facciata, ma soprattutto sulla capacità di neutralizzazione della spirale della sopraffazione linguistica, attraverso l’esercizio di queste due grandi doti umane quali gentilezza e coraggio. Un esercizio difficile, ma fruttuoso, magari cominciando proprio dai social…