Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist

“I designer producono oggetti di cui la società non ha bisogno…” Vorrei iniziare a scrivere della bellissima mostra “Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist”, con questa citazione di Mari stesso. E lo faccio perché Enzo Mari, come molti designer (ma anche architetti) della sua generazione, erano molto di più di “disegnatori”, di “creativi” o di “artisti”: erano intellettuali, figura oggi praticamente negletta, negata, aborrita a favore di una pletora di “influencer”, “creativi”, “archi-star” che non possono oggettivamente reggere il paragone con personalità del calibro di Mari, ma anche di Munari, di Castiglioni, di Zanuso e di tanti altri designer-intellettuali degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta.

Valeva la pena prenderla alla lontana per parlare di questa magnifica mostra curata da Hans Ulrich Obrist e da Francesca Giacomelli aperta fino al prossimo settembre presso la Triennale di Milano, che ci restituisce la figura a tutto tondo di Enzo Mari.

Dire che Mari è stato un grande maestro del design italiano e internazionale, sarebbe affermare una ovvietà, meno ovvio è ricordare come Mari fu un designer antidivo per eccellenza, ma anche fortemente anti capitalista. Racconta Hans Ulrich Obrist nell’introduzione al poderoso catalogo della mostra, edito da Electa, che “ciò che lo infastidiva di più era che il mondo del design puntasse al profitto: voleva liberarsi di questa idea di guadagno, di commercializzazione, di industria, di marchi, persino di pubblicità.” Del resto per chi concepiva il design come “sovrastruttura del socialismo”, quella riportata da Obrist non sembra essere una affermazione poi così sorprendente.

Ecco, con questo spirito è possibile approcciarsi alla mostra di Milano. Non si tratta di andare a vedere i “soliti oggetti belli e fighi”, si tratta di sapere che per Enzo Mari, come per i grandi designer italiani di quegli anni, il design era una visione del mondo, anzi era una visione “per cambiare il mondo”. La serializzazione della produzione di un oggetto necessitava che questo oggetto fosse anche bello, funzionale e poco costoso. L’esatto contrario della filosofia dell’oggetto esclusivo, progettato per pochi, l’esatto contrario dello “status-symbol. Se non si capisce e non si condivide questo “spirito di servizio” di Enzo Mari, si può anche restare a casa, perché la mostra della Triennale potrebbe anche deludervi.

Davvero impressionante la quantità dei progetti e degli oggetti esposti. Ci accoglie, a scanso di equivoci, “44 valutazioni”, ovvero la scultura in marmo di Carrara di 44 parti di una falce e martello esposta alla XXXVIII Biennale di Venezia. Da quella scultura-installazione fortemente ideologica e simbolica si dipana un percorso delle meraviglie, quasi un viaggio nel nostro vissuto (almeno di chi non è più giovanissimo), fatto di oggetti noti, notissimi o meno noti. Il tavolo “Cuginetto”, la francescana sedia “Delfina”, i geniali vasi “Sparta e Athena”, l’essenziale scaffalatura porta libri “Trieste”, la libreria modulare “Glifo”, l’imbuto “Smith&Smith”, il calendario perpetuo “Timor” e poi ancora gli incredibili vetri della serie “Che fare a Murano”, il servizio di porcellane “Berlin”, il lavabo “Nemea”… Impossibile anche solo elencare tutto.

Ma insieme alla produzione strettamente progettuale e industriale, la mostra presenta un apparato di grafiche, di dipinti, opere concettuali, manifesti, allestimenti destinati ad incantare il pubblico più esigente. Di incredibile fascino, proprio al centro dell’esposizione, l’allestimento per la mostra “Vodun: African Voodoo” del 2011 presso la parigina “Fondation Cartier pour l’art contemporain”, di una bellezza essenziale e “povera” incantò l’esigentissimo pubblico parigino. Le serigrafie de “La serie della natura” per la Fondazione Danese di Milano così pop e allo stesso tempo “nature” che colorano lo spazio espositivo, poi ancora le fiabe illustrate, frutto di un approfondito e proficuo studio dell’età evolutiva, poi opere più vicine allo studio della percezione visiva come il “Multiplo d’arte da George Perec”, dipinti come il famoso encausto su tavola “Pittura 103” e le cosiddette “Piattaforme di ricerca”, dove Mari si cimenta nello sviluppo di attività di progettazione partecipata.

Non possiamo dimenticare l’attività grafica, come la copertina per le opere di Freud per Bollati Boringhieri, la copertina per il testo sacro indiano “Upanishad”, le opere di arte cinetica, le cartografie, i manifesti e tanto altro ancora. Mi piace concludere la redazione di questo ampiamente incompleto elenco, con il progetto per il monumento a Roberto Franceschi, studente antifascista ucciso dalla polizia nel gennaio del 1973 davanti all’università Bocconi di Milano. Questo dà il segno di cosa significasse essere artista e designer negli anni Settanta. Altro che Week Design e fighetti milanesi…

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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“I designer producono oggetti di cui la società non ha bisogno...” Vorrei iniziare a scrivere della bellissima mostra “Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist”, con questa citazione di Mari stesso. E lo faccio perché Enzo Mari, come molti designer (ma anche architetti) della sua generazione, erano molto di più di “disegnatori”, di “creativi” o di “artisti”: erano intellettuali, figura oggi praticamente negletta, negata, aborrita a favore di una pletora di “influencer”, “creativi”, “archi-star” che non possono oggettivamente reggere il paragone con personalità del calibro di Mari, ma anche di Munari, di Castiglioni, di Zanuso e di tanti altri designer-intellettuali degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. Valeva la pena prenderla alla lontana per parlare di questa magnifica mostra curata da Hans Ulrich Obrist e da Francesca Giacomelli aperta fino al prossimo settembre presso la Triennale di Milano, che ci restituisce la figura a tutto tondo di Enzo Mari. Dire che Mari è stato un grande maestro del design italiano e internazionale, sarebbe affermare una ovvietà, meno ovvio è ricordare come Mari fu un designer antidivo per eccellenza, ma anche fortemente anti capitalista. Racconta Hans Ulrich Obrist nell’introduzione al poderoso catalogo della mostra, edito da Electa, che “ciò che lo infastidiva di più era che il mondo del design puntasse al profitto: voleva liberarsi di questa idea di guadagno, di commercializzazione, di industria, di marchi, persino di pubblicità.” Del resto per chi concepiva il design come “sovrastruttura del socialismo”, quella riportata da Obrist non sembra essere una affermazione poi così sorprendente. Ecco, con questo spirito è possibile approcciarsi alla mostra di Milano. Non si tratta di andare a vedere i “soliti oggetti belli e fighi”, si tratta di sapere che per Enzo Mari, come per i grandi designer italiani di quegli anni, il design era una visione del mondo, anzi era una visione “per cambiare il mondo”. La serializzazione della produzione di un oggetto necessitava che questo oggetto fosse anche bello, funzionale e poco costoso. L’esatto contrario della filosofia dell’oggetto esclusivo, progettato per pochi, l’esatto contrario dello “status-symbol. Se non si capisce e non si condivide questo “spirito di servizio” di Enzo Mari, si può anche restare a casa, perché la mostra della Triennale potrebbe anche deludervi. Davvero impressionante la quantità dei progetti e degli oggetti esposti. Ci accoglie, a scanso di equivoci, “44 valutazioni”, ovvero la scultura in marmo di Carrara di 44 parti di una falce e martello esposta alla XXXVIII Biennale di Venezia. Da quella scultura-installazione fortemente ideologica e simbolica si dipana un percorso delle meraviglie, quasi un viaggio nel nostro vissuto (almeno di chi non è più giovanissimo), fatto di oggetti noti, notissimi o meno noti. Il tavolo “Cuginetto”, la francescana sedia “Delfina”, i geniali vasi “Sparta e Athena”, l’essenziale scaffalatura porta libri “Trieste”, la libreria modulare “Glifo”, l’imbuto “Smith&Smith”, il calendario perpetuo “Timor” e poi ancora gli incredibili vetri della serie “Che fare a Murano”, il servizio di porcellane “Berlin”, il lavabo “Nemea”... Impossibile anche solo elencare tutto. Ma insieme alla produzione strettamente progettuale e industriale, la mostra presenta un apparato di grafiche, di dipinti, opere concettuali, manifesti, allestimenti destinati ad incantare il pubblico più esigente. Di incredibile fascino, proprio al centro dell’esposizione, l’allestimento per la mostra “Vodun: African Voodoo” del 2011 presso la parigina “Fondation Cartier pour l’art contemporain”, di una bellezza essenziale e “povera” incantò l’esigentissimo pubblico parigino. Le serigrafie de “La serie della natura” per la Fondazione Danese di Milano così pop e allo stesso tempo “nature” che colorano lo spazio espositivo, poi ancora le fiabe illustrate, frutto di un approfondito e proficuo studio dell’età evolutiva, poi opere più vicine allo studio della percezione visiva come il “Multiplo d’arte da George Perec”, dipinti come il famoso encausto su tavola “Pittura 103” e le cosiddette “Piattaforme di ricerca”, dove Mari si cimenta nello sviluppo di attività di progettazione partecipata. Non possiamo dimenticare l’attività grafica, come la copertina per le opere di Freud per Bollati Boringhieri, la copertina per il testo sacro indiano “Upanishad”, le opere di arte cinetica, le cartografie, i manifesti e tanto altro ancora. Mi piace concludere la redazione di questo ampiamente incompleto elenco, con il progetto per il monumento a Roberto Franceschi, studente antifascista ucciso dalla polizia nel gennaio del 1973 davanti all’università Bocconi di Milano. Questo dà il segno di cosa significasse essere artista e designer negli anni Settanta. Altro che Week Design e fighetti milanesi...

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.