Il dibattito sui generi dei ruoli professionali e politici di uomini e donne è uno dei più frequenti, più frementi, più ferventi e ridondanti sui social in Italia. Ora siamo in piena tumultuosa discussione: come si devono chiamare le donne soprattutto quelle che fanno lavori ritenuti per tanti anni maschili.
I fronti che si oppongono sono numerosi, trasversali e aggressivi. Ci sono molti linguisti, molti professori dalla materna al liceo classico fino ai dottorati di ricerca.
Molti sostengono che solo i professori possano dirimere la questione, non solo i professori lo dicono, altri dicono che la lingua è di tutti e non hanno torto.
Essendo la lingua Italiana molto basata sulla pratica più che sulla grammatica la questione si complica e diventa politica.
Ci sono i conservatori che non ammettono innovazioni e possono passare per maschilisti, poi ci sono gli “altristi” e le “ altriste” che sostengono che i problemi della parità siano altri e non di terminologia e non hanno torto pure loro.
Ci sono quelle che sostengono la diversificazione fra i generi in nome della differenza che la parità non deve sopprimere e ci sono quelle che sostengono l’omologazione fra i generi in nome della perfetta parità , e ci sono ragioni dall’una e dall’ altra parte, in chi dice direttore ad una ragazza bionda, in chi dice direttrice ad una ragazza mora, in chi dice direttora ad una rossa .
Alla fine è una Torre di Babele delle lingue e dei modi di dire che può produrre dei potenti mal di testa senza arrivare ad una conclusione che sia.
Non so chi vincerà alla fine, se mai qualcuno vincerà, noi vorremmo dominare con le parole la realtà ma questa si serve delle parole per dominarci.