I quaderni di Giancarlo De Carlo 1966-2005

el 1978 acquistai il numero uno di “Spazio & Società”, una nuova rivista di architettura che si presentava allora nel panorama editoriale italiano e che altro non era che l’edizione italiana di una prestigiosa rivista francese, “Espace et Societé” fondata e diretta da Henri Lefebvre, urbanista, che fu anche (forse soprattutto), sociologo, filosofo, geografo e saggista.

A dirigere l’edizione italiana fu chiamato Giancarlo De Carlo architetto e teorico dell’architettura: è proprio a questo aspetto di teorico dell’architettura che è dedicata la mostra, alla Triennale di Milano dal titolo “I quaderni di Giancarlo De Carlo 1966-2005”, che raccoglie il materiale di elaborazione teorica dell’architetto italiano. Mi colpì molto, in quel lontano 1978, lo studio effettuato da De Carlo su una piccola comunità inglese, quella di Byker, nei pressi di Newcastle, chiamata a riprogettare gli spazi comuni della propria città attraverso la partecipazione dei propri cittadini. Era la prima volta che leggevo di “progettazione partecipata”, uno dei cavalli di battaglia di De Carlo ed uno dei più evidenti segni dei tempi, nel campo dell’architettura e dell’urbanistica di quegli anni.

 

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Visitando la mostra della Triennale, mi sono tornati alla memoria quegli anni di grande fermento culturale e politico, fermento che coinvolgeva praticamente ogni aspetto della vita culturale. I “Quaderni” di De Carlo sono una miniera di idee, un giacimento di elaborazioni teoriche che facevano dell’architettura e dell’urbanistica, discipline anche (o soprattutto?) teoriche, appendici del pensiero che orientavano l’agire progettuale, istanze già presenti nella fondazione del “Team X”, sul finire degli anni Cinquanta, in aperta polemica col Movimento Moderno. “Occupazione della triennale e chiusura delle mostre prima che chiunque potesse vederle. Gli occupanti sono intellettuali di varia provenienza che si sono uniti a un primo cerchio di pittori e scultori protestatari perché davanti all’ingresso c’era uno sproporzionato cordone di poliziotti.

Un rivoltoso è un uomo che dice no e col dire no dice sì, fin da primo momento – questa frase di Camus mi pareva avesse un senso prima dell’esperienza Triennale. Adesso ho qualche dubbio che quando ci si muove insieme ad altri possa avere un senso positivo dire no senza sapere perché…” Parole che oggi possono suonare strane, se non proprio assurde, se pronunciate da un architetto, ma che allora, in tempi di grande elaborazione del pensiero, costituivano parte integrante del processo creativo e progettuale. I quaderni sono una insostituibile testimonianza del pensiero di quegli anni e non solo del pensiero intorno ai temi dell’architettura.

Osservazioni e appunti di viaggio, testimonianze di incontri con altri architetti e con intellettuali, dubbi metodologici, e considerazioni antropologiche: “Attraverso la Germania fertile e verde e, in breve tempo, noiosa. Fare i concorsi è una stoltezza perché manca il dialogo col committente e si piomba nell’astrazione…” Un grande patrimonio, anche letterario, che la mostra di Milano restituisce nella sua “inattuale-attualità”, soprattutto oggi un cui il termine “archistar” lascia già intendere l’architettura come un far mostra di sé, la mancanza, molto spesso, del confronto con la committenza o almeno la mancanza di volontà di confronto.

Non ci si stupisca troppo se poi anche la politica appare distante, ostile, autoreferenziale. Il materiale, esposto nella mostra di Milano, appare completo anche nel documentare le opere realizzate dal De Carlo architetto militante a cominciare dalla Sede dell’Università di Urbino e dal Piano Regolatore della città degli anni 1958-1964, che fece non poco clamore, dalla Sede dell’Università della stessa città e dalla bellissima sede della Facoltà di Magistero del 1968-1976. Un elenco di realizzazioni assai nutrito per sgombrare il campo dall’idea di un De Carlo solo teorico dell’architettura.

Unico neo della mostra, ma non di poco conto, consiste nel fatto che i quaderni di De Carlo siano visibili solo attraverso le scansioni digitalizzate delle pagine, facendo perdere completamente al visitatore l’aura un po’ feticista, ma necessaria, dell’originale cartaceo. Lacuna che può essere in parte sanata con l’acquisto di un magnifico catalogo “in folio”, in vendita al modestissimo prezzo di dieci euro presso book-shop della Triennale. Anche visti così, i quaderni di De Carlo appaiono come tasselli fondamentali della storia dell’architettura italiana. Mostra aperta sino al 29 marzo prossimo.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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I quaderni di Giancarlo De Carlo 1966-2005

el 1978 acquistai il numero uno di “Spazio & Società”, una nuova rivista di architettura che si presentava allora nel panorama editoriale italiano e che altro non era che l’edizione italiana di una prestigiosa rivista francese, “Espace et Societé” fondata e diretta da Henri Lefebvre, urbanista, che fu anche (forse soprattutto), sociologo, filosofo, geografo e saggista.

A dirigere l’edizione italiana fu chiamato Giancarlo De Carlo architetto e teorico dell’architettura: è proprio a questo aspetto di teorico dell’architettura che è dedicata la mostra, alla Triennale di Milano dal titolo “I quaderni di Giancarlo De Carlo 1966-2005”, che raccoglie il materiale di elaborazione teorica dell’architetto italiano. Mi colpì molto, in quel lontano 1978, lo studio effettuato da De Carlo su una piccola comunità inglese, quella di Byker, nei pressi di Newcastle, chiamata a riprogettare gli spazi comuni della propria città attraverso la partecipazione dei propri cittadini. Era la prima volta che leggevo di “progettazione partecipata”, uno dei cavalli di battaglia di De Carlo ed uno dei più evidenti segni dei tempi, nel campo dell’architettura e dell’urbanistica di quegli anni.

 

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Visitando la mostra della Triennale, mi sono tornati alla memoria quegli anni di grande fermento culturale e politico, fermento che coinvolgeva praticamente ogni aspetto della vita culturale. I “Quaderni” di De Carlo sono una miniera di idee, un giacimento di elaborazioni teoriche che facevano dell’architettura e dell’urbanistica, discipline anche (o soprattutto?) teoriche, appendici del pensiero che orientavano l’agire progettuale, istanze già presenti nella fondazione del “Team X”, sul finire degli anni Cinquanta, in aperta polemica col Movimento Moderno. “Occupazione della triennale e chiusura delle mostre prima che chiunque potesse vederle. Gli occupanti sono intellettuali di varia provenienza che si sono uniti a un primo cerchio di pittori e scultori protestatari perché davanti all’ingresso c’era uno sproporzionato cordone di poliziotti.

Un rivoltoso è un uomo che dice no e col dire no dice sì, fin da primo momento – questa frase di Camus mi pareva avesse un senso prima dell’esperienza Triennale. Adesso ho qualche dubbio che quando ci si muove insieme ad altri possa avere un senso positivo dire no senza sapere perché…” Parole che oggi possono suonare strane, se non proprio assurde, se pronunciate da un architetto, ma che allora, in tempi di grande elaborazione del pensiero, costituivano parte integrante del processo creativo e progettuale. I quaderni sono una insostituibile testimonianza del pensiero di quegli anni e non solo del pensiero intorno ai temi dell’architettura.

Osservazioni e appunti di viaggio, testimonianze di incontri con altri architetti e con intellettuali, dubbi metodologici, e considerazioni antropologiche: “Attraverso la Germania fertile e verde e, in breve tempo, noiosa. Fare i concorsi è una stoltezza perché manca il dialogo col committente e si piomba nell’astrazione…” Un grande patrimonio, anche letterario, che la mostra di Milano restituisce nella sua “inattuale-attualità”, soprattutto oggi un cui il termine “archistar” lascia già intendere l’architettura come un far mostra di sé, la mancanza, molto spesso, del confronto con la committenza o almeno la mancanza di volontà di confronto.

Non ci si stupisca troppo se poi anche la politica appare distante, ostile, autoreferenziale. Il materiale, esposto nella mostra di Milano, appare completo anche nel documentare le opere realizzate dal De Carlo architetto militante a cominciare dalla Sede dell’Università di Urbino e dal Piano Regolatore della città degli anni 1958-1964, che fece non poco clamore, dalla Sede dell’Università della stessa città e dalla bellissima sede della Facoltà di Magistero del 1968-1976. Un elenco di realizzazioni assai nutrito per sgombrare il campo dall’idea di un De Carlo solo teorico dell’architettura.

Unico neo della mostra, ma non di poco conto, consiste nel fatto che i quaderni di De Carlo siano visibili solo attraverso le scansioni digitalizzate delle pagine, facendo perdere completamente al visitatore l’aura un po’ feticista, ma necessaria, dell’originale cartaceo. Lacuna che può essere in parte sanata con l’acquisto di un magnifico catalogo “in folio”, in vendita al modestissimo prezzo di dieci euro presso book-shop della Triennale. Anche visti così, i quaderni di De Carlo appaiono come tasselli fondamentali della storia dell’architettura italiana. Mostra aperta sino al 29 marzo prossimo.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.