Scrivere un post su Igort e sui suoi straordinari “Quaderni Giapponesi” (arrivati al terzo volume), è problematico per due ordini di motivi: il primo è dovuto alla complessità dei piani narrativi e visivi sempre presenti nei suoi quaderni, il secondo, molto più prosaico, è il fatto che Igort potrebbe leggere il mio post e questo mi provoca una discreta ansia. La graphic novel narra e illustra il soggiorno di Igort in Giappone che gli permise di scoprire, tra le altre cose, i pionieri del racconto per immagini, arte preziosa che lo stesso Igort pratica con rara maestria e che assunse diverse definizioni a seconda di epoche e stili, “Kibyoshi”, “Ukjio-e”, “Muzan-e”, per poi essere compresa nel termine più conosciuto (così si crede almeno in occidente), di “manga” o anche “anime”.
Un viaggio affascinante, come si usa sempre dire in questi casi, quando ci si vuole trarre d’impaccio. Ma questa volta mai definizione mi è sembrata più azzeccata, un po’ perché alle tavole di Igort “dò del tu”, un po’ perché quando conoscenza e capacità di narrare per immagini si sposano in maniera così armonica, non si può che restare affascinati. Ma non si tratta di un viaggio confortevole, è un viaggio che ci fa incontrare numerose asperità, un viaggio contro corrente nel cuore del “segno giapponese” che non è sempre quello che si pensa.
Il Giappone, racconta Igort, incomincia ad uscire dell’isolamento culturale solo nei primi decenni del Novecento, quando sulla scena irruppero nuovi artisti, attori, movimenti, riviste. Potrebbe sembrare un consueto racconto delle vicende culturali di un paese qualsiasi, ma questa non è affatto una lettura qualsiasi, sia per le tematiche affrontate, sia per il modo di raccontarle. Il racconto che Igort fa delle avanguardie culturali nipponiche è di un fascino assoluto e avvolgente. I movimenti di avanguardia artistici sono raccontati attraverso la rivisitazione di opere, stili e stilemi con tavole che non sono solo l’integrazione del testo scritto, ma che costituiscono esse stesse un “corpus” di citazioni, rimandi, narrazioni, che non “illustrano” il Giappone, ma lo evocano nell’intimo, poiché intima e profonda è la conoscenza della cultura visiva giapponese da parte di Igort.
Un paese con una cultura visiva che ai nostri occhi può apparire piatta e quasi uniforme e che in realtà con l’aiuto di questo grande autore della graphic novel (non solo italiana), scopriamo essere piena di “rinascimenti e rinascenze” come avrebbe detto Erwin Panofsky. Un Giappone spesso torbido (come si intitola anche uno dei capitoli del volume), dove il sesso e la trasgressione sessuale recitano un ruolo di primo piano nella narrazione dell’immaginario, come per esempio la letteratura ero-giuro “che attingeva a temi e linguaggi della psicologia medica e dalla sessuologia, che nel fine perseguito di individuazione e classificazione delle malattie mentali e delle pratiche sessuali perverse o devianti (hentai-seiyoku), annoverava: l’omosessualità, il travestitismo, il sadomasochismo, la necrofilia, la ninfomania, il feticismo”.
Ma quello che sorprende nella “trasgressione” giapponese è il rigore della stessa, quasi un esercizio rituale. Lo si può vedere anche nella trattazione sul “Kinbaku”, ovvero l’arte della legatura erotica. Insomma il libro di Igort è una miniera di informazioni, una antologia di grandi artisti giapponesi (anche contemporanei come Suehiro Maruo, Yamamoto Takato, Tandori Yokoo, per citarne solo alcuni), oltre che una gemma di rara bellezza, non tanto uno sguardo, ma una attenta osservazione della cultura visiva dell’impero dei segni, come aveva definito il Giappone Roland Barthes. Se fossi in voi non perderei altro tempo: Igort, “Quaderni Giapponesi” (terzo volume), Oblomov Edizioni-La Nave di Teseo, € 20,00. Imperdibile.