Quando un parigino sta per atterrare ad Orly o al Charles De Gaulle, occhieggiando dal finestrino la vede subito, la “Dame de Fer”, sempre lì, piantata sulla città, elegante e salda. Così come, quando un romano cammina lungo i Fori Imperiali e vede spuntare il Colosseo, è fiero di quello che i suoi antenati sono riusciti a costruire. Il parigino riconosce nel simbolo della sua città l’idea di progresso, di faro di civiltà. Il romano vede nel Colosseo l’elemento più rappresentativo della grande Roma. Dietro la Tour Eiffel, c’era davvero un’epoca di progresso pur con tutte le sue contraddizioni, come a Roma ci furono repubblica e impero; architetture simboliche di qualcosa che è davvero esistito. Il cittadino di New York potrà sempre guardare a Miss Liberty, come a un’incomparabile dono che rappresenta, forse, il valore spirituale più grande dell’essere umano: la libertà. Ma se guardasse anche un altro simbolo della Grande Mela, per esempio l’Empire State Building, ne riconoscerebbe immediatamente il messaggio simbolico, cioè la potenza economica, che davvero esiste. Un berlinese sa che la Porta di Brandeburgo ha diviso in due la sua città. E la divisione esisteva davvero, da una parte la Germania Ovest, dall’altra la Germania Est. Ora quella porta è una porta di pace e la città è effettivamente unita. Ma quando un novarese ateo vede spuntare dalla pianura la sua Cupola di San Gaudenzio, a cosa pensa? Che il monumento più famoso della città è stato eretto a un impostore? È molto difficile essere atei in certe circostanze. Magari è più comodo, ma fa cadere in mille contraddizioni. Si può festeggiare il santo patrono e rispettarne le tradizioni, senza essere credenti? Naturalmente succede anche per tutti gli altri cittadini, le cui città abbiano come simbolo una architettura religiosa. È l’ironia del destino che fa sì che un ateo novarese debba rimpiangere di non avere per simbolo un ponte, un vulcano o una lanterna. Per fortuna a me è andata bene. Buon San Gaudenzio!