Il rischio e lo sviluppo

La pandemia e le reazioni conseguenti, come tutte le crisi, è in fondo una grande occasione da non sprecare. Persone ben più autorevoli di me lo hanno già detto. Ma da modesto operatore dell’economia e della finanza, e da padre di famiglia, mi pare evidente una cosa: si stanno confermando e riaffacciando, seppure sotto forme diverse e più attuali, due eterne visioni contrapposte del mondo. E su queste occorre meditare. Il “divide”, tuttavia, lo spartiacque che poi crea acque diverse a valle non è davvero fra sviluppo e sostenibilità, perché forse nessuno davvero è contrario al primo o alla seconda. Cosi come nessuno è davvero diviso fra avidità e ricchezza di pochi e benessere più diffuso e più giusto per tutti. Al netto della (spesso tanta) avidità di troppi, in generale nessuno davvero è contrario ad una società più giusta e coesa.

Io temo una divisione più profonda e perniciosa, perché attecchisce nelle nostre debolezze, anche comprensibili, nelle nostre paure, nelle nostre fragilità. Ma che nasce anche da una visione di base  del mondo e delle scelte personali che non possiamo ignorare: la cultura della responsabilità personale e della libertà che da sempre si oppone a quella dei doveri altrui a vantaggio di miei diritti e garanzie. E si arriva cosi alla più o meno esplicita ricerca (e promessa da chi cerca il nostro consenso) del rischio zero, del garantito, della tranquillità, dell’assenza di sorprese. Lo cogliamo dai commenti della politica, da molto giornalismo, da molti dibattiti, da molte mode normative e gestionali nel governo delle imprese. Penso a certe pretese di operare senza rischi grazie alle procedure, mentre i rischi vanno solo monitorati e calibrati, nessuno assegnerebbe la il,pilota automatico d’impresa ad un insieme di comitati e procedure.

Ma davvero qualcuno di noi raccomanderebbe ai figli di cercare la strada più garantita e sicura, o li stimoliamo a cercare qualcosa di buono per se stessi e per gli altri, anche se costa incertezze, tentativi, sacrifici? Davvero vogliamo insegnare ai figli che il giusto benessere e la libertà derivano dagli altri e sarebbero ovvi e garantiti per norma di legge? O dipendono dal nostro lavoro, dalla nostra serietà, dal nostro provare e fallire e più in generale dalla qualità costante  del nostro impregno. Si può correre senza mai cadere? Si deve evitare di correre per non cadere? Abbiamo davvero diritto a non perdere soldi e guadagnarne a prescindere? Abbiamo diritto a delle certezze , dovuteci da altri,  sul nostro futuro? Esiste il diritto a non ammalarsi o il più ragionevole d doveroso impegno di tutti a fare in modo che siano tutti curabili?

Non è la vecchia contrapposizione fra socialismo e liberismo. E’ qualcosa di ben più sottile e pernicioso. I buoni socialisti ed i buoni liberali hanno sempre diffuso il valore del lavoro e dell’impegno, della serietà e della competenza, del sacrificio per superare le avversità, per migliorare la condizione propria e altrui. La dolce letale debolezza del post pandemia è la ricerca di un mondo a rischio zero. Ai figli, mi auguro, non lo vorremmo mai insegnare. Cerchiamo quindi di non praticarlo come cittadini, elettori e lavoratori di ogni tipo, artigiani o imprenditori che ci capiti di essere.

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Con questo "nome de plume" un esperto di economia e finanza commenta per La Voce i principali fatti della giornata sui mercati e nel mondo dell'industria e del lavoro

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La pandemia e le reazioni conseguenti, come tutte le crisi, è in fondo una grande occasione da non sprecare. Persone ben più autorevoli di me lo hanno già detto. Ma da modesto operatore dell’economia e della finanza, e da padre di famiglia, mi pare evidente una cosa: si stanno confermando e riaffacciando, seppure sotto forme diverse e più attuali, due eterne visioni contrapposte del mondo. E su queste occorre meditare. Il “divide”, tuttavia, lo spartiacque che poi crea acque diverse a valle non è davvero fra sviluppo e sostenibilità, perché forse nessuno davvero è contrario al primo o alla seconda. Cosi come nessuno è davvero diviso fra avidità e ricchezza di pochi e benessere più diffuso e più giusto per tutti. Al netto della (spesso tanta) avidità di troppi, in generale nessuno davvero è contrario ad una società più giusta e coesa. Io temo una divisione più profonda e perniciosa, perché attecchisce nelle nostre debolezze, anche comprensibili, nelle nostre paure, nelle nostre fragilità. Ma che nasce anche da una visione di base  del mondo e delle scelte personali che non possiamo ignorare: la cultura della responsabilità personale e della libertà che da sempre si oppone a quella dei doveri altrui a vantaggio di miei diritti e garanzie. E si arriva cosi alla più o meno esplicita ricerca (e promessa da chi cerca il nostro consenso) del rischio zero, del garantito, della tranquillità, dell’assenza di sorprese. Lo cogliamo dai commenti della politica, da molto giornalismo, da molti dibattiti, da molte mode normative e gestionali nel governo delle imprese. Penso a certe pretese di operare senza rischi grazie alle procedure, mentre i rischi vanno solo monitorati e calibrati, nessuno assegnerebbe la il,pilota automatico d’impresa ad un insieme di comitati e procedure. Ma davvero qualcuno di noi raccomanderebbe ai figli di cercare la strada più garantita e sicura, o li stimoliamo a cercare qualcosa di buono per se stessi e per gli altri, anche se costa incertezze, tentativi, sacrifici? Davvero vogliamo insegnare ai figli che il giusto benessere e la libertà derivano dagli altri e sarebbero ovvi e garantiti per norma di legge? O dipendono dal nostro lavoro, dalla nostra serietà, dal nostro provare e fallire e più in generale dalla qualità costante  del nostro impregno. Si può correre senza mai cadere? Si deve evitare di correre per non cadere? Abbiamo davvero diritto a non perdere soldi e guadagnarne a prescindere? Abbiamo diritto a delle certezze , dovuteci da altri,  sul nostro futuro? Esiste il diritto a non ammalarsi o il più ragionevole d doveroso impegno di tutti a fare in modo che siano tutti curabili? Non è la vecchia contrapposizione fra socialismo e liberismo. E’ qualcosa di ben più sottile e pernicioso. I buoni socialisti ed i buoni liberali hanno sempre diffuso il valore del lavoro e dell’impegno, della serietà e della competenza, del sacrificio per superare le avversità, per migliorare la condizione propria e altrui. La dolce letale debolezza del post pandemia è la ricerca di un mondo a rischio zero. Ai figli, mi auguro, non lo vorremmo mai insegnare. Cerchiamo quindi di non praticarlo come cittadini, elettori e lavoratori di ogni tipo, artigiani o imprenditori che ci capiti di essere.

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