“Misericordia”, produzione del Piccolo Teatro di Milano, andata in scena per la penultima rappresentazione al Teatro Grassi, si potrebbe definire una “azione scenica”. L’azione scenica non deve dare tregua e “Misericordia”, scritta e diretta da un genio del teatro italiano quale è Emma Dante, non la dà. Come dice la stessa autrice, “Misericordia” ha a che fare con la pietà, quella pietà che fa sì che tre donne, di un non meglio definito “sud”, donne che abitano probabilmente in un “basso” forse napoletano, forse palermitano o forse qualcos’altro, si prendano cura di Arturo, bambino o ex-bambino problematico.

 

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Le tre donne non hanno una vita facile, sono delle prostitute, il cui mestiere però non ne ha indurito il cuore. Bettina, Nuzza e Anna, saranno le madri di Arturo fino a che non arriverà il tempo del distacco, quando Arturo verrà affidato a qualcun altro che non si vede (probabilmente un’istituzione o una struttura protetta, come si dice oggi). L’azione scenica è tutta qui, ma difficilmente si vede a teatro qualcosa di così intenso, tenero e feroce allo stesso tempo. Arturo non sta mai fermo, la sua condizione lo porta a muoversi in continuazione ed Emma Dante sceglie, per quel ruolo, l’eccezionale danzatore Simone Zambelli.

Le tre donne sulla scena vivono solo attraverso il loro linguaggio ed Emma Dante idea per loro una specie di “grammelot” meridionale, un “sussurrato con brio”, fatto dalle inflessioni e dalle cadenze di tanti dialetti del sud d’Italia, mentre la lingua diventa compiuta con lo svilupparsi della vicenda. Nuzza (Manuela Lo Scicco) e Bettina (Italia Carroccio), parlano il dialetto siciliano, Anna (Leonarda Saffi), parla il dialetto pugliese.

Ci sono quattro linguaggi sulla scena: il “grammelot” del sud, il siciliano, il pugliese e la danza, e, forse, anche un quinto, la mimica che ha la sua climax nella simulazione del rapporto sessuale delle tre donne con immaginari clienti. È un momento molto forte e di grande teatro. Non basterebbero le parole per definire l’interpretazione di Simone Zambelli, che dà vita ad un Arturo inarrestabile, quasi indemoniato.

Lo spettacolo ha una morale semplice, cristallina, lampante: in un mondo dal cuore indurito, esiste ancora la misericordia, quella umana, che sussiste anche senza dover necessariamente pensare alla misericordia divina, dalla quale discende. Spetta al teatro ricordarcelo, quel teatro da dove, quando usciamo, non siamo più uguali a quando siamo entrati. Almeno, così dovrebbe essere.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Misericordia

“Misericordia”, produzione del Piccolo Teatro di Milano, andata in scena per la penultima rappresentazione al Teatro Grassi, si potrebbe definire una “azione scenica”. L’azione scenica non deve dare tregua e “Misericordia”, scritta e diretta da un genio del teatro italiano quale è Emma Dante, non la dà. Come dice la stessa autrice, “Misericordia” ha a che fare con la pietà, quella pietà che fa sì che tre donne, di un non meglio definito “sud”, donne che abitano probabilmente in un “basso” forse napoletano, forse palermitano o forse qualcos’altro, si prendano cura di Arturo, bambino o ex-bambino problematico.

 

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Le tre donne non hanno una vita facile, sono delle prostitute, il cui mestiere però non ne ha indurito il cuore. Bettina, Nuzza e Anna, saranno le madri di Arturo fino a che non arriverà il tempo del distacco, quando Arturo verrà affidato a qualcun altro che non si vede (probabilmente un’istituzione o una struttura protetta, come si dice oggi). L’azione scenica è tutta qui, ma difficilmente si vede a teatro qualcosa di così intenso, tenero e feroce allo stesso tempo. Arturo non sta mai fermo, la sua condizione lo porta a muoversi in continuazione ed Emma Dante sceglie, per quel ruolo, l’eccezionale danzatore Simone Zambelli.

Le tre donne sulla scena vivono solo attraverso il loro linguaggio ed Emma Dante idea per loro una specie di “grammelot” meridionale, un “sussurrato con brio”, fatto dalle inflessioni e dalle cadenze di tanti dialetti del sud d’Italia, mentre la lingua diventa compiuta con lo svilupparsi della vicenda. Nuzza (Manuela Lo Scicco) e Bettina (Italia Carroccio), parlano il dialetto siciliano, Anna (Leonarda Saffi), parla il dialetto pugliese.

Ci sono quattro linguaggi sulla scena: il “grammelot” del sud, il siciliano, il pugliese e la danza, e, forse, anche un quinto, la mimica che ha la sua climax nella simulazione del rapporto sessuale delle tre donne con immaginari clienti. È un momento molto forte e di grande teatro. Non basterebbero le parole per definire l’interpretazione di Simone Zambelli, che dà vita ad un Arturo inarrestabile, quasi indemoniato.

Lo spettacolo ha una morale semplice, cristallina, lampante: in un mondo dal cuore indurito, esiste ancora la misericordia, quella umana, che sussiste anche senza dover necessariamente pensare alla misericordia divina, dalla quale discende. Spetta al teatro ricordarcelo, quel teatro da dove, quando usciamo, non siamo più uguali a quando siamo entrati. Almeno, così dovrebbe essere.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.