Dopo il quasi terrificante “Downton Abbey” di Michael Engler, oggi non mi sono fatto mancare “Piccole donne” di Greta Gerwig dal romanzo di Louisa May Alcott. C’è in me una dose di masochismo latente che spesso mi fa operare per scelte come questa, rifiutandomi però di sottopormi a riti cinematografici di ancor più infima specie e sottospecie che vengono inscenati nella sale pre-natalize, natalizie e post-natalizie. Non contenta di aver girato “Lady Bird”, Greta Gerwig decide di trasformare, la già di per sé poco entusiasmante operina letteraria della Alcott, in una torta di compleanno per donne tristi. Evito trama e ordito che già fanno venir voglia di dar ragione ai cultori del suicidio come unica via di fuga, per concentrarmi su quel fagottone di chiome fluenti delle quattro sorelle che nel cuore della Guerra di Secessione americana cinguettano e sgallettano come la vispa Teresa, interrogandosi sul senso della vita che per loro non risiede in altro che in una forsennata ricerca di un marito, imbandire una bella tavola natalizia e ridere. Un’America fatta di poveri e di ricchi, dove i poveri invidiano i ricchi e i ricchi se ne fottono dei poveri. Il resto è un rincorrersi su e giù per le scale, con passi rumorosi sulle tavole di legno del pavimento che fanno molto cultura calvinista, con la solita scrittrice mancata che, come la povera Alcott, scrive a sua volta boiate pazzesche (come avrebbe detto il ragionier Fantozzi), e cerca di piazzarle ai giornali i cui direttori alla fine, presi da disperazione esistenziale, pubblicano. C’è poi la mancata pittrice che, per fortuna, si rende conto di “tenere la vocazione, ma di non tenere i mezzi”, come dicono a Napoli dove di disillusioni se ne intendono. C’è poi la babbiona mezza affogata nel lago ghiacciato perché,come una “pisquana”, la scema va a pattinare dove il ghiaccio del lago è sottile come un’ostia. C’è l’immancabile suonatrice di pianoforte dalla salute cagionevole che giustamente muore, seppur dopo una agonia che genera la stessa agonia anche nello spettatore. Per fortuna poi una si marita e l’altra quasi, di modo che la garrula famiglia viene decimata e il film finisce tra il tripudio di mammine e nonnine con figlie e nipotine che secondo loro dovrebbero smettere di giocare con tablet e smartphone per vedere questo film educativo. Speriamo che la Gerwig o qualcun altro non scopra che Louisa May Alcott scrisse anche “Piccole donne crescono”…