Smart working: avanti tutta, quasi indietro

Dopo che il “giuslavorista” (vorrei conoscere chi ha inventato questo termine), per eccellenza, Pietro Ichino, ha detto che lo smart working è un modo per imboscarsi e non fare niente, oggi è stato Giuseppe Sala detto “Beppe”, primo cittadino di Milano, a sbottare contro lo smart working che, anche secondo lui, non è un vero e proprio modo di lavorare. Se Pietro Ichino mi è sempre sembrato essere un uomo legato a mitologie lavorative del passato, Sala, mi sembrava un uomo al passo coi tempi. Purtroppo, ultimamente sembra non averne azzeccata una: prima il video su Milano che doveva ripartire (e la cosa era giustificabile dal fatto che poco si sapeva della pericolosità effettiva del virus), poi il tira e molla su chiusure-riaperture vere, presunte e minacciate, oggi questa sparata contro lo smart working.

Non starò qui ad elencare cosa ho fatto io, lavorando da casa, in questi tre mesi, perché sarebbe poco elegante, ma certo è che il discorso di Sala è bizzarro, per usare un eufemismo. Il motivo principale, per cui non sarebbe consigliato il lavoro da casa, è che le persone non fanno la pausa pranzo. Per meglio dire la fanno, ma a casa loro e quindi la metropoli lombarda risulta meno affollata, ma soprattutto i bar e i ristoranti guadagnano meno. É un po’ come esortare le persone a farsi un po’ male, altrimenti il pronto soccorso lavora poco. “Niente sarà più come prima” blateravano tutti fino a un mese fa, Sala compreso.

E avevano ragione, non è come prima, ma è peggio, perché un cumulo di sciocchezze, pareri contrastanti, appelli e contro-appelli e adesso anche gli strali contro lo smart working, così non si erano mai sentiti. Lo smart working, da terra promessa del lavoro futuro, è diventato, se non proprio l’inferno, almeno lo Stige, dove “Caron Dimonio con gli occhi di bragia” traghetta le anime dei dannati: mancanza di rapporti sociali, alienazione, indolenza, scarsa produttività e scarsa possibilità di controllo, il lavoro agile è in poche parole, causa di ogni male nella città del lavoro per eccellenza. Insomma, in questa sua ultima esternazione, Sala Beppe da Milano più che a Larry Page o Sergey Brin, assomiglia a un “capitano d’industria” del primo Novecento e, per incanto l’inquinamento praticamente sparito dalla pianura Padana, il traffico più scorrevole, i costi degli spostamenti abbattuti, la comodità di aver sul proprio tablet documenti contabili o amministrativi, tutto questo non conta più niente. Avanti tutta, quasi indietro.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Smart working: avanti tutta, quasi indietro

Dopo che il “giuslavorista” (vorrei conoscere chi ha inventato questo termine), per eccellenza, Pietro Ichino, ha detto che lo smart working è un modo per imboscarsi e non fare niente, oggi è stato Giuseppe Sala detto “Beppe”, primo cittadino di Milano, a sbottare contro lo smart working che, anche secondo lui, non è un vero e proprio modo di lavorare. Se Pietro Ichino mi è sempre sembrato essere un uomo legato a mitologie lavorative del passato, Sala, mi sembrava un uomo al passo coi tempi. Purtroppo, ultimamente sembra non averne azzeccata una: prima il video su Milano che doveva ripartire (e la cosa era giustificabile dal fatto che poco si sapeva della pericolosità effettiva del virus), poi il tira e molla su chiusure-riaperture vere, presunte e minacciate, oggi questa sparata contro lo smart working.

Non starò qui ad elencare cosa ho fatto io, lavorando da casa, in questi tre mesi, perché sarebbe poco elegante, ma certo è che il discorso di Sala è bizzarro, per usare un eufemismo. Il motivo principale, per cui non sarebbe consigliato il lavoro da casa, è che le persone non fanno la pausa pranzo. Per meglio dire la fanno, ma a casa loro e quindi la metropoli lombarda risulta meno affollata, ma soprattutto i bar e i ristoranti guadagnano meno. É un po’ come esortare le persone a farsi un po’ male, altrimenti il pronto soccorso lavora poco. “Niente sarà più come prima” blateravano tutti fino a un mese fa, Sala compreso.

E avevano ragione, non è come prima, ma è peggio, perché un cumulo di sciocchezze, pareri contrastanti, appelli e contro-appelli e adesso anche gli strali contro lo smart working, così non si erano mai sentiti. Lo smart working, da terra promessa del lavoro futuro, è diventato, se non proprio l’inferno, almeno lo Stige, dove “Caron Dimonio con gli occhi di bragia” traghetta le anime dei dannati: mancanza di rapporti sociali, alienazione, indolenza, scarsa produttività e scarsa possibilità di controllo, il lavoro agile è in poche parole, causa di ogni male nella città del lavoro per eccellenza. Insomma, in questa sua ultima esternazione, Sala Beppe da Milano più che a Larry Page o Sergey Brin, assomiglia a un “capitano d’industria” del primo Novecento e, per incanto l’inquinamento praticamente sparito dalla pianura Padana, il traffico più scorrevole, i costi degli spostamenti abbattuti, la comodità di aver sul proprio tablet documenti contabili o amministrativi, tutto questo non conta più niente. Avanti tutta, quasi indietro.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.